Sommario
TARTARUGHE IN MEDITERRANEO
Respirano aria come noi ma son capaci di immergersi a mille e passa metri di profondità; possono rimanere in apnea per mesi e nuotano guidate da un fiuto infallibile che le riporta sulla stessa spiaggia a distanza di decine di anni e di molte migliaia di chilometri.
Sono tre le specie di tartaruga che nuotano in Mediterraneo: la tartaruga comune (di nome, ma non di fatto) Caretta caretta; la tartaruga verde (Chelonia mydas) e la nera tartaruga liuto (Dermochelys coriacea). Ma quante sono, come vivono e dove vanno, son domande a cui è difficile dare una risposta. Il problema è che delle tartarughe, come di gran parte degli animali marini, sappiamo davvero poco: se il mare fosse trasparente come il vetro potremmo forse riuscire a seguirle nei loro spostamenti. Ma poiché così non è, possiamo solo intercettarle quando le femmine salgono a terra per deporre le uova, o quando, più tristemente, rimangono impigliate nelle reti, negli ami dei pescatori o finiscono spiaggiate soffocate dai nostri rifiuti.
Per fare il punto sulla loro situazione nelle nostre acque abbiamo parlato con Guido Gerosa, consulente per il Programma Ambientale delle Nazioni Unite nell’ambito del Piano d’Azione Mediterraneo e membro del Marine Turtle Specialist Group dello IUCN. presidente e responsabile scientifico delle ricerche di Chelon, uno fra i maggiori gruppi di ricerca europei che si interessa della biologia e conservazione delle tartarughe marine.
Il quadro non è certo roseo, soprattutto in Italia: negli ultimi anni una ventina è il numero massimo di nidi individuati in una stagione sulle nostre spiagge, un terzo di una cinquantina d’anni fa. Negli ultimi tempi, poi, la media si è abbassata notevolmente: da cinque a zero per anno, con un nuovo picco la scorsa estate con due nidi a Linosa e tre a Lampedusa.
In collaborazione con le Università di Francia e Turchia, i ricercatori del gruppo Chelon hanno iniziato a studiare il DNA delle femmine di questi animali, nel tentativo di capire qualcosa di più sui loro spostamenti e sui contatti che possono avere con tartarughe di mari diversi. I risultati preliminari suggeriscono che le tartarughe mediterranee sono “nostre” davvero: e per quanto ogni anno molte tartarughe dall’Atlantico si infilino in Mediterraneo cavalcando la corrente in entrata, queste rimangono per lo più nelle Baleari e nel mare di Alboran, senza spingersi mai oltre l’Italia, e senza, soprattutto, mischiare il loro patrimonio genetico con le tartarughe nostrane: mai son state trovate tartarughe americane deporre nel nostro mare. In effetti il Canale di Sicilia rappresenta una sorta di confine per le tartarughe: solo pochissime lo attraversano, sia in un senso che nell’altro, e questo contribuisce a mantenere isolati i diversi gruppi.
Molti quesiti rimangono in sospeso su questi animali, anche perché le analisi del DNA riguardano in questo momento solo le femmine; non sappiamo nulla dei maschi che potrebbero non ritornare necessariamente alla loro spiaggia natale, ma visitare diverse colonie e rimescolare così le carte genetiche delle diverse popolazioni.
L’azione di Chelon si estende al controllo delle spiagge della Basilicata, indicate come le più probabili per la deposizione, degli spiaggiamenti in Adriatico e del recupero degli animali ammagliati per errore dai pescatori.
Ma sono tre i grandi progetti sui quali i ricercatori del gruppo si sono concentrati, tre campi di ricerca in Mediterraneo e in Tailandia che hanno dato risultati davvero importanti e che hanno visti coinvolte, oltre ai ricercatori, circa quattrocento persone fra volontari e stagisti di università italiane ed europee.
Da cinque anni è attivo il campo di Akayan, in Turchia, che, con ben 500 nidi l’anno, è il più importante sito di riproduzione di tartaruga verde nel nostro mare. Gli avvistamenti di questa specie nel resto del Mediterraneo sono sporadici e rarissimi oltre la Sardegna e tutto ciò ci conduce a ritenere che si tratti di una popolazione isolata, un’unicità che la rende però estremamente vulnerabile. I pericoli ad Akayan, per lo meno nella primissima parte della vita delle tartarughe, sono fortunatamente del tutto naturali: su questa lunga spiaggia non c’è (per ora) molto turismo e i locali rispettano e proteggono a modo loro le tartarughe. Notevole è però la predazione dei nidi da parte dello sciacallo e soprattutto della volpe, che riconosce gli avvallamenti nella sabbia lasciati da madre tartaruga ed è guidata poi da un fiuto infallibile. La corsa dei tartarughini sgusciati dalle uova verso il mare è intercettata poi dalle volpi e dai granchi fantasma, che in questa zona sono numerosi. Questo campo di lavoro, attivo da maggio a settembre, è composto da una équipe di sei-sette ricercatori e di studenti di università italiane e turche.
È aperto invece anche ai volontari, da luglio a settembre, il campo nella zona meridionale di Rodi, che ha finalità non solo legate allo studio del comportamento riproduttivo delle tartarughe, ma anche a coniugare lo sviluppo con il rispetto dell’ambiente. Quest’area, che solo oggi sta aprendo al turismo, oltre ad essere un sito di riproduzione della tartaruga comune (non eccessivamente importante, con 9-30 nidi l’anno, rispetto ad altre località greche) può vantare una notevole diversità di specie animali e vegetali, molti endemismi e la presenza di diverse specie protette fra cui alcuni rapaci e la foca monaca, avvistata di recente.
Davvero interessante anche dal punto di vista educativo è il campo sull’isola tailandese Phra Thong, a duecento chilometri da Phuket. Da dicembre ad aprile cinque specie diverse di tartarughe vengono sull’isola a deporre le uova, ricercatissime dai locali che le vendono al mercato per un dollaro USA l’una. Così l’attività di Chelon, in collaborazione con il Marine Biological Centre di Phuket, segue due strade: da una parte l’acquisto dei nidi a cento dollari l’uno (i fondi provengono dalla campagna di adozione dei nidi promossa dall’associazione) e dall’altra la sensibilizzazione sia dei turisti che delle popolazioni locali. L’educazione dei bambini è come sempre il modo migliore e più efficace, nel lungo termine, per cambiare il mondo: così Chelon organizza annualmente per i bimbi delle scuole la “festa della tartaruga” con giochi e premi, riconosciuta dal governo come progetto-modello di ecoturismo per la Tailandia.
Per conoscere meglio e prendere parte alle attività dell’associazione potete contattare Chelon: viale Val Padana 134B, 00141 Roma; tel e fax: 06-812.5301, email: chelon@tin.it
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