Sommario
L’ECONOMISTA: ZUPPA DI PINNE DI PESCECANE SI MA…
. Gli squali sono diventati una delle fonti di cibo più redditizie del mondo. La domanda è così pressante che a Hong Kong, dove se ne smerciano tremila tonnellate l’anno, le pinne migliori arrivano a costare 400 dollari l’una. Il problema è che gli squali non sono come gli altri pesci: cominciano infatti a riprodursi dopo molti anni e producono solo pochi piccoli per volta. Visti i prezzi che raggiungono, gli squali vengono però spesso pescati ben prima che siano riusciti a riprodursi e questo sta portando le popolazioni al collasso. Gli ambientalisti hanno trovato ora un sostegno in economisti come Quentin Fong, dell’Università dell’Alaska, che ha integrato i dati ecologici e quelli di mercato, creando un modello “bioeconomico” per il commercio di pinne di squalo. L’analisi è stata effettuata sullo squalo pinna nera (Carcharhinus limbatus), una delle specie bersaglio di questo tipo di pesca, che può raggiungere i due metri di lunghezza. Il ragionamento è questo: poiché gli chef cinesi apprezzano soprattutto le pinne più grandi, dalle quali ricavano filamenti di cartilagine più lunghi, per massimizzare i ricavi i pescatori dovrebbero pescare solo gli esemplari più grandi, quelli che si sono già riprodotti in passato. La soluzione più vantaggiosa, dal punto di vista economico, è quindi di pescare i “pinna nera” quando hanno raggiunto i dieci anni d’età: siamo solo a metà della vita media di questo tipo di squalo, sufficiente ad assicurargli cinque anni di attività riproduttiva. Tutto bene, in teoria. In pratica, invece, la mancanza di controlli fa sì che i pescatori pensino più al breve più che al lungo periodo, preferendo così guadagni ridotti ma immediati piuttosto che aspettare anni per far crescere le proprie prede. L’economista suggerisce quindi controlli più rigorosi e taglie minime di cattura anche per gli squali.
UN SOTTOMARINO DI CEMENTO
– Sembrava il delirio di un eccentrico inventore inglese, Heinz Lipschultz: un sottomarino di cemento capace d’immergersi a profondità cinque volte superiori e con una resistenza dieci volte maggiore di quella degli attuali sommergibili. Questa fantasia, nata durante il secondo conflitto mondiale, potrebbe diventare realtà in un futuro nemmeno troppo lontano, sfruttando nuovi materiali e un concetto davvero rivoluzionario: utilizzare grandi ali che, come negli aerei, generino una forza (portanza) in grado di tenere sollevato dal fondo un oggetto più pesante dell’acqua. Senza doversi preoccupare di sistemi di galleggiamento vari e con un certo grado di libertà in più: non dovendo pensare troppo al peso si può infatti costruire un battello dalle pareti molto più resistenti, in grado di resistere a pressioni elevate e quindi di scendere molto più in profondità. Per non parlare dei tempi di costruzione: una colata e via, anziché migliaia di ore di lavoro per saldare assieme le centinaia di pannelli metallici – di acciaio o titanio, oltretutto estremamente costosi – che compongono la sagoma di un sommergibile. Tanto più che ai nostri giorni esistono cementi con caratteristiche di leggerezza e resistenza talmente elevati da essere impiegati per costruire parti di aeroplano. Sono già partiti i primi studi teorici e ben presto nascerà anche il primo modello in scala.
ROSSI È MEGLIO
– Il colore migliore per nascondersi in mare aperto non è il blu marino, ma il rosso. Grazie a un modello matematico, che simula la trasmissione della luce attraverso un oceano tropicale, Sonke Johnsen, della Duke University nel North Carolina, ha verificato che a profondità superiori ai 20 metri la luce rossa si distribuisce in modo più uniforme. Così se vicino alla superficie i pesci di color blu si mimetizzano meglio con l’ambiente, oltre quella profondità il colore migliore per nascondersi è il rosso. E che sia vero basta dare un’occhiata agli animali marini: pesci come i tonni che vivono nei pressi della superficie hanno il dorso blu, mentre molti animali di profondità, come gli scampi, sono di color rosso acceso. Ora però ne abbiamo la prova matematica.
PESCI MUSICOFILI
– Le carpe riescono a distinguere tra brani di musica classica e di blues: lo ha scoperto Ava Chase del Rowland Institute for Science di Cambridge, nel Massachussets. Ricompensando le scelte giuste con il cibo, la ricercatrice ha insegnato ai pesci a riconoscere la differenza fra un brano di John Lee Hooker e un concerto per oboe di Bach. La cosa sorprendente è che in base a questa esperienza, i pesci sono stati poi in grado di valutare brani mai ascoltati prima e di catalogarli correttamente fra musica classica e blues. Ava Chase ritiene che il loro “orecchio musicale” rifletta l’importanza per i pesci selvatici di riconoscere i diversi tipi di suoni presenti nel mondo naturale.
L’ETÀ DELLE CORRENTI
– Stiamo entrando in un’era glaciale? Potremmo scoprirlo dando un’età alle correnti oceaniche, responsabili o almeno indicatrici di cambiamenti climatici come appunto le ere glaciali. Si può infatti stabilire da quanto tempo l’acqua è entrata in circolo in una corrente marina registrando il livello di decadimento dell’isotopo radioattivo carbonio 14, che si forma in superficie a contatto con i raggi cosmici e che gradatamente diminuisce man mano che le correnti lo trascinano sul fondo. Con un tempo di dimezzamento di 5000 anni, però, le stime effettuate con il C14 sono abbastanza grossolane: per questo il mondo scientifico ha accolto con interesse la notizia che Philippe Collon della Columbia University ha trovato il modo di utilizzare l’argon-39, che ha un tempo di dimezzamento di appena 269 anni. Questo consentirà analisi più dettagliate e di registrare le modificazioni delle correnti in intervalli temporali sotto il migliaio di anni.
L’ANTARTICO SI STA SCALDANDO MOLTO RAPIDAMENTE:
due volte più in fretta del resto dei mari del mondo. I rischi sono enormi perché è in questa delicatissima e isolata regione – oltretutto una delle aree marine più produttive al mondo – che si innescano le correnti che determinano il clima del nostro pianeta. Basterebbe poco per far sciogliere i ghiacci che coprono parte di questo mare: ma se si sciolgono i ghiacci scompaiono anche le alghe che vi crescono sotto e che sono alla base della dieta del krill, i gamberetti principale fonte di cibo di questa regione per balene e grandi pesci. L’allarme lo lancia Sarah Gille dello Scripps Institution of Oceanography a San Diego, una delle università più prestigiose al mondo per l’oceanografia, che per prima è riuscita a comporre un quadro della regione, unendo gli scarsi dati raccolti dalle navi oceanografiche nei decenni passati con quelli inviati via satellite dalle boe oceanografiche. Il quadro che traccia è scioccante: in cinquant’anni la temperatura tra i 700 e i 1100 metri di profondità è salita di 0,17°C, il doppio che nel resto del mondo. E se vi sembra poco pensate che l’acqua a quelle profondità è, o dovrebbe essere, praticamente isolata dalla superficie. Come abbiano fatto gli abissi antartici a scaldarsi così rapidamente è un mistero.
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