Nautica 706 Febbraio 2021

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L’editoriale

QUEI VIDEO CHE FANNO RABBRIVIDIRE

Se ben sfruttata, la disponibilità di video amatoriali sulle varie piattaforme del web ha un’utilità che va ben oltre il soddisfacimento di qualche semplice curiosità. Molti di questi “filmati”, per esempio, sono altamente istruttivi, insegnando procedimenti e trucchi in modo assai più semplice e intuitivo di quanto possano fare le parole di un manuale. Altri, dall’aria apparentemente comica, permettono di riflettere su come tanta gente in vena di bravate metta in pericolo la propria incolumità e, spesso, anche quella del suo prossimo. Altri ancora mettono in mostra gli aspetti peggiori dell’animo umano, sollevando urticanti interrogativi circa l’ampia variabilità del concetto di civiltà. Di questi ultimi ne porto a esempio soltanto due, che mi sono rimasti particolarmente impressi.
Il primo riguarda il violento respingimento di migranti provenienti da Bodrum da parte di una pattuglia della marina greca, al largo dell’isola di Kos, nel vicino Dodecaneso.

Dopo alcune azioni di disturbo a colpi di pistola sparati in aria, si nota una motovedetta che incrocia ad alta velocità e a brevissima distanza dal gommone semisgonfio con l’evidente intento di creare, con le sue alte onde di scia, una situazione di grave pericolo per le persone. Da questa stessa unità un militare esplode due colpi di fucile che finiscono a pochi metri dai migranti e, dopo il successivo abbordaggio, un suo collega li colpisce violentemente e ripetutamente con un lungo mezzo marinaio brandito a mo’ di lancia.

Il secondo, risalente a poco più di un mese fa, inquadra uno scafo da diporto in procinto di affondare nelle acque prospicenti San Marco, a Venezia. Due persone in acqua, non si sa se ferite, sono certamente in condizioni di dover essere soccorse nel più breve tempo possibile.

Un elegante taxi della laguna passa a poche decine di metri e… va. Il suo conducente sembra guardare con curiosità verso la scena del naufragio ma prosegue la sua corsa senza il minimo tentennamento. E, quando la gente che assiste incredula alla scena lo richiama animatamente, questi risponde con ampi gesti dal significato inequivocabile. Un’inchiesta è in corso.

Ebbene, chi ha vissuto in prima persona l’esperienza di ricevere un “mayday” – nel mio caso personale, alle 5.32 del 22 marzo 1996, in mezzo all’Atlantico – conosce bene quella stretta allo stomaco, quella strana sensazione che ogni cosa si congeli di fronte all’unico irrefrenabile istinto di scattare per portare soccorso.

Non a qualcuno in particolare: non all’esponente di un’etnia, di un credo religioso, di una parte politica. Molto più semplicemente a una vita. A un cuore che in quel momento pulsa all’impazzata, sicuramente più del proprio, che pure non scherza. Tanto è vero che questo misterioso sentimento può rivolgersi persino a chi umano non è. Ricordo che, qualche tempo fa, su YouTube, circolava un video nel quale un vigile del fuoco di Massa Carrara, dopo aver salvato un gattino finito incastrato per ore in una fogna, scoppiava in un pianto liberatorio. Ecco, proprio di questo sto parlando. Senza enfasi e senza esaltazione. Una differenza abissale rispetto a quei militari dell’episodio di Kos o a quel tassista di Venezia, che sono gli unici veri mezzi marinai di quelle vergognose vicende.

Corradino Corbò


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