LUSSO & SOCIAL

Superyacht 64 inverno 2019/2020Secondo molti osservatori, mettere assieme il lusso e i social network è come creare un ossimoro, cioè combinare elementi che esprimono concetti contrari. Insomma, un controsenso. Ebbene, non è più così, almeno per una moltitudine di beni che fino a pochi anni fa rifiutavano tassativamente il contatto con media ritenuti “plebei”.

Non a caso, nel 2012, nel suo “Luxury Brands in the Digital Age”, Nadine Hennings si chiedeva se si potesse ancora parlare di esclusività – elemento fondamentale del concetto stesso di lusso – se in qualche modo la si stava rendendo accessibile a tutti, anche se soltanto sotto forma di comunicazione.

Lei stessa, come molti altri esperti, ha dato una risposta affermativa a questa domanda, introducendo tuttavia la necessità di creare nel messaggio social – cosa per nulla facile – un’aura di privilegio e di esclusività. Ma molti brand di grande prestigio ci sono riusciti. Praticamente tutti quelli compresi nella cosiddetta “piramide del lusso” disegnata nel 1990 da Danielle Allérès, autorevole economista della Sorbona.

Vale la pena darle un’occhiata. Alla base di essa troviamo la fascia del Lusso Accessibile, nella quale vengono fatti rientrare gli oggetti di serie; nel piano intermedio abbiamo il Lusso Intermedio, che comprende gli oggetti prodotti in tirature limitate; in cima troviamo il Lusso Inaccessibile, del quale fanno parte i brand più prestigiosi con i loro pezzi unici, frutto di grande sapienza artigianale.

Parecchi analisti, basandosi su questa stratificazione, hanno approfondito e attualizzato lo studio di Allérès, soprattutto introducendo esempi ancor più esplicativi. Perciò, in un’immaginaria scalata della piramide rivisitata, si parte dai profumi e dalle calzature di marca, poi si passa agli arredamenti di gran classe, ai viaggi più esclusivi, alle dreamcar e, infine, si arriva ai Van Gogh, ai diamanti, agli aeroplani privati.

Stranamente, quasi mai ci si imbatte nei superyacht. Incuriositi da questa osservazione, abbiamo notato che – probabilmente in modo del tutto involontario – questi esempi difficilmente superano il valore finanziario corrispondente a 10 milioni di Euro. Una gran bella cifra, per carità, ma assai lontana dal valore di mercato di una nave da diporto anche “solo” di cinquanta metri.

Insomma, è come se alla piramide di Allérès si dovesse aggiungere un quarto piano “attico”, magari chiamandolo – per assonanza con gli altri – Lusso Impossibile. In ogni caso, il fatto che non ci sia, o che comunque il valore finanziario corrispondente non sia in qualche modo rappresentato, è illuminante: significa che il mondo dei superyacht – quello che costituisce il tema fondamentale di questa rivista – vive persino al di fuori del concetto di lusso espresso dagli studiosi del settore. Ciò spiega come mai esso non rientri automaticamente nelle strategie di comunicazione via-web che, nel corso degli ultimi anni, sono state in qualche modo standardizzate.

Scrive infatti Andrea Da Venezia nel suo ‘Digital Marketing del lusso’: “Per entrare in contatto con il target nel modo corretto occorre prevedere l’integrazione delle piattaforme digitali con la comunicazione tradizionale”. E in qualche modo gli fa eco in modo nettamente più tranchant Rebecca Whitlocke, tra i pochissimi marketing consultant particolarmente concentrati sul rapporto tra il mondo dei superyacht e il web: “Le aziende che hanno speso ingenti somme di denaro in campagne pubblicitarie sui social network non hanno ottenuto risultati”. E’ la grande rivincita della carta.

Corradino Corbò

 

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