I dispositivi che consentono alle lenze in traina di raggiungere profondità rilevanti, possono raggrupparsi in due grandi categorie: affondatori per gravità e affondatori idrodinamici. Sia con gli uni che con gli altri il concetto base da tener sempre presente è che l’affondamento aumenta alle andature più lente e diminuisce a quelle più veloci.

Affondatori per gravità
Abbiamo:

  • i piombi amovibili;
  • i fili autoaffondanti in metallo;
  • i fili autoaffondanti in dacron;
  • con anima piombata;
  • con anima piombata;
  • il piombo guardiano;
  • la palla di cannone o bal de fer.

I piombi amovibili sono di due specie: quelli tradizionali, detti a spirali o a tortiglione, e quelli più recenti a incastro. Gli uni e gli altri vanno collocati sulla lenza madre almeno 15 metri a monte dell’esca. Scendono verso il basso nelle misure indicate in tabella. Per aumentare l’effetto affondamento, a parità di peso complessivo, si può ricorrere alle piombature cosiddette “a scalare” che si realizzano con pezzi di grammatura diversa: ad esempio 250 grammi a 20 metri da poppa, 150 grammi a 30 metri, 100 grammi a 40 metri. Gli amovibili offrono il vantaggio di essere facilmente intercambiabili e di contribuire alla importante bisogna di mantenere le esche pulite. Presentano però qualche difetto. Infatti:

  1. richiedono un intervento manuale per il loro disinserimento, il che non è comodo quando la preda combatte disperatamente nel tentativo di liberarsi;
  2. scendono rapidamente verso il basso, rendendo concreto il pericolo di “arrocamento” quando la direzione della barca cambia sensibilmente;
  3. esercitano, mano mano che cresce la grammatura, una trazione sempre più forte, fino al punto di richiedere, una volta raggiunto un certo limite, l’impiego di canne di libbraggio sproporzionato per eccesso.

Valutati i pro e i contro possiamo dire che i piombi amovibili sono proficuamente utilizzabili quando il loro però non supera il mezzo chilo, con canne di potenza non inferiore alle 12 libbre e per profondità massime di 15-20 metri.
I piombi fissi, quelli cioè collocati in modo stabile sulla lenza, hanno ormai fatto il loro tempo e non sono compatibili con una concezione razionale e aggiornata della pesca sportiva.

I fili metallici autoaffondanti

  • sono conosciuti con la denominazione, in vari casi tecnicamente impropria ma oramai generalizzata, di “monel”;
  • sono costruiti con varie leghe di elevato peso specifico sempre con una componente di acciaio e di nichel;
  • sono reperibili in confezioni a doppia bobina con lunghezza complessiva pari a 200 yards (m 180 circa);
  • assicurano un affondamento graduale ed omogeneo, più o meno accentuato a seconda della quantità di lenza ceduta.

I fili metallici consentono il recupero diretto delle prede, senza corpi interposti sulla lenza; adempiono in pieno alla loro funzione di massima discesa quando vengono filati molto a lungo, al limite fino a 180 metri di poppa; ma vanno bene anche a profondità ridotte comprese nella fascia dai 6 ai 12 metri nelle quali viene esaltato il vantaggio di una discesa più morbida e più graduale tale da ridurre considerevolmente il rischio di incaglio in curva; possono essere utilizzati solo con mulinelli a tamburo rotante di buona capienza (dal 4/0 in su) nei quali vanno imbobinati al di sopra di un cospicuo cuscino di lenza in dacron o in nylon; la loro resistenza varia dalle 20 alle 60 libbre ma la correlativa diversità di spessore è in pratica ininfluente ai fini dell’affondamento, in quanto il maggior peso-metro dei libbraggi più elevati è controbilanciato dalla più ampia superficie complessiva soggetta a ricevere la spinta verso l’alto, secondo la ben nota legge di Archimede; conviene perciò orientarsi verso i libbraggi più alti, che assicurano una resistenza adeguata anche nei confronti di prede di taglia extra. I fili metallici non sono ammessi dall’IGFA e non sono quindi utilizzabili per il conseguimento dei record e nel corso delle gare ufficiali; a prescindere da questa controindicazione, peraltro non giustificata sul piano tecnico dato che i fili in parola hanno anche essi un carico di rottura facilmente testabile con il dinamometro, resta il fatto che il monel è il mezzo più semplice e più pulito per far navigare le nostre esche in strati subacquei ben profondi, seppur non abissali. Durante la “cala” occorre evitare che il filo fuoriesca troppo velocemente dal mulinello, provocando l’accavallamento e il bloccaggio delle spire; perciò quando si manda la lenza a mare è opportuno inserire la “cicala” o, meglio, esercitare con le dita una lieve pressione sulla bobina, frenandola.

I fili metallici affondano, per ogni decametro immerso, in ragione di m 2,50 a un nodo, di m 1,80 a due nodi, di m 1,20 a tre nodi, di m 0,60 a quattro nodi. Questi dati rispecchiano valori medi ma, ciò nonostante, sono suscettibili di variazioni non infinitesimali, a causa delle correnti subacquee in alcuni casi insospettabilmente violente. Alcuni trainisti, al fine di accrescere ulteriormente la profondità di lavoro offerta dal monel, sono soliti inserire un piombo amovibile di 3-5 etti sul cuscino di lenza; ma in tal modo il filo a mare raggiunge lunghezze spropositate e, inoltre, è giocoforza adoperare canne da almeno 20 libbre. Un sistema usato da molti per avere prontamente un’idea sulla quantità di lenza filata consiste nel legare sul monel a distanze predeterminate (ad esempio ogni 50 metri) appositi segnalini in cotone o altro di colori diversi, fissati con una goccia di colla.Le canne compatibili sono quelle dalle 12 libbre in su.

Concludendo, possiamo senz’altro affermare che il monel, fatta eccezione per i bassissimi fondali, rappresenta un sistema di affondamento efficacissimo, sia che si traini con esca artificiale sia che si impieghino esche naturali; con le quali, c’è da aggiungere, che data la minima velocità richiesta si può arrivare tranquillamente anche a 30 e più metri.I fili autoaffondanti con guaina in dacron e anima in piombo sono commercializzati in bobine di 100/200 metri, di vario libbraggio, e sono contrassegnati con un colore diverso per ogni tratta di 10 metri, consentendo con ciò di individuare a occhio e in ogni momento il metraggio filato; essendo molto duttili e trattabili, non postulano la necessità tassativa di impiegare mulinelli a tamburo rotante; però affondano meno della metà di quanto affonda il monel; l’affondamento può tuttavia essere accresciuto mediante piombi amovibili suppletivi.

Questi fili non sono adatti per le grandi profondità mentre offrono il meglio delle loro prestazioni su fondali medio bassi, soprattutto nei confronti delle spigole e dei pesci serra.

La guaina tessile, che “regge” il tutto, è soggetta ad indebolimenti causati dall’azione della salsedine e del sole. Sono perciò indispensabili frequenti lavaggi con acqua dolce.Canne compatibili: dalle 6 libbre in su.Le palle di cannone.
Si tratta di pesantissime zavorre (dai 3 ai 10 chili) realizzate prevalentemente in piombo, di forme tondeggianti o leggermente sfilate, munite quasi sempre di alette direzionali. Queste zavorre sono sorrette da un robusto cavetto in treccia metallica, avvolto su una capiente bobina, installata su un apposito basamento rotante, reso solidale con l’opera viva poppiera. La bobina è dotata di un congegno di freno-frizione regolabile, di un misuratore metrico e di un braccio mobile buttafuori con relativa carrucola. Questo composito dispositivo, detto anche fatoom Master, è specificamente concepito per la traina su fondali di 30 e più metri.

Tanto per fornire un’indicazione di massima diremo che una palla di cinque chili scende di 45 metri a un nodo, di 30 metri a due nodi e di 20 metri a tre nodi. Il miglior rendimento si ottiene alle andature più lente e quindi con l’impiego di esche naturali; meno produttive invece le artificiali probabilmente a causa delle vibrazioni sonore prodotte dalla treccia metallica agli standard consoni all’impiego delle artificiali stesse (3-4 nodi). La messa a punto di questa attrezzatura è certamente un po’ laboriosa ma le cose diventano più facili mano mano che, superate le incertezze del primo impatto, si va avanti con l’esperienza. Se si vogliono fare le cose per bene occorre, inizialmente e una volta per tutte, perdere qualche ora di tempo per eseguire alcune prove. Ecco lo schema da adottare:

  1. portiamoci su un fondale in piano di sabbia o di frango corrispondente alla profondità alla quale intendiamo trainare (ad esempio 20 metri);
  2. fermiamo la barca e caliamo la palla fino a toccare il fondo;
  3. annotiamoci la profondità segnata dal contametri;
  4. ripetiamo l’operazione per altre profondità: sempre ad esempio 35 e 40 metri.

A questo punto siamo in grado di trainare senza rischio qualche metro al di sopra dei fondali considerati. Ma se vorremo arrivare al “raso fondo” (il che è sempre consigliabile quando si va a caccia di dentici) dovremo ripetere le prove con la barca in movimento: una volta avvertito il tocco delle palla sul fondo, ben percettibile visivamente sull’estremità del braccio mobile, solleveremo la zavorra di un paio di metri, ci annoteremo il metraggio e sapremo che su quel fondale e a quella velocità potremo andare sicuri. In seguito, quando ci troveremo sul teatro di pesca prescelto, manderemo a mare per almeno 50/60 metri la lenza munita della relativa esca; quindi, navigando alla velocità testata, inseriremo la lenza stessa nell’apposita pinzetta a sgancio incorporata nella palla e, sempre andando avanti alla medesima velocità, manderemo lentamente giù la nostra greve zavorra, fino al punto in cui il contametri ci avvertirà che abbiamo raggiunto la distanza necessaria. Volendo, potremo mettere in pesca anche una seconda traina facendone passare il filo in una pinzetta mobile fissata sul cavetto metallico di sostegno qualche metro al di sopra della palla. In luogo delle pinzette a sgancio possono usarsi dei semplici elastici da cancelleria. All’atto della ferrata la lenza si libererà dalla pinzetta o romperà l’elastico, consentendoci di lavorare il pesce senza che alcun corpo frapposto fra noi e “lui'” influenzi in qualche modo il combattimento ivi compreso il salpaggio conclusivo; prudenza vuole che, durante il recupero della preda la palla sia portata in superficie e sollevata fuor d’acqua. E’ forse superfluo sottolineare che con questo sistema sono utilizzabili anche canne di potenza minima: al limite, stazza dei pesci insidiati permettendolo, bastano anche le sole due libbre! C’è però da porre moltissima attenzione, più che con ogni altro tipo di affondatore, ai ripidi e improvvisi sbalzi delle formazioni rocciose sommerse, sempre pronte a far prigioniera la nostra “bal de fer” unitamente a buona parte dell’attezzatura pescante; dovremo perciò tenere sotto costante osservazione l’ecoscandaglio, avvalendoci anche dei segnali trasmessici dall’allarme acustico che avremo opportunamente regolato. Tutto questo discorso ha un suo preciso corollario: salvo che non si conosca perfettamente la morfologia subacquea della zona battuta la palla di cannone va usata raso fondo solo in bacini che non presentino frequenti variazioni batimetriche di eccessivo rilievo.

Il piombo guardiano.
Il sistema di traina con il piombo guardiano (forma conica o piramidale, peso dai 300 ai 700 grammi) è stato “inventato” dai leggendari vecchi pescatori di mestiere delle isole, che lo praticano tuttora, impiegando grosse e robustissime traine a mano con le quali riescono a catturare ricciole mozzafiato anche di mezzo quintale. Nel campo della pesca sportiva, che se ne è prontamente approriata, il piombo guardiano viene usato con il supporto della canna e del mulinello. Si fa così. Sulla lenza madre, almeno una ventina di metri a monte dell’esca, si annoda uno spezzone di nylon relativamente sottile, (0,30-0,40) lungo 2 o 3 metri, recante alla sua estremità il piombo guardiano. Si parte con la barca e si cede lenza fino a che si avverte che la zavorra ha toccato il fondo; si recupera qualche metro e si cala di nuovo regolando la continua manovra di saliscendi anche sulla base delle indicazioni fornite dall’ecoscandaglio. Si tratta di una tecnica molto efficace che ci permette di esplorare compiutamente e meticolosamente tutti i recessi e gli anfratti subacquei esistenti, con l’unico rischio di perdere la sola zavorra. In fase di recupero delle prede, quando il piombo giunge a bordo, si taglia con le forbici lo spezzoncino di nylon e si seguita ad avvolgere lenza nel mulinello. Gli inconvenienti sono questi: saremo obbligati a tenere continuamente la canna in mano; inoltre, salvo il caso di poco probabili virtuosismi, avremo sempre la necessità di disporre di una seconda persona a bordo che conduca la barca e ci avverta in tempo reale delle variazioni batimetriche rilevate dall’ecoscandaglio.
Circa la compatibilità delle canne, è buona regola non scendere al di sotto delle 12 libbre.

Gli affondatori idrodinamici.
Ci troviamo di fronte a oggetti costruiti in metallo o in plastica, di varie dimensioni e fogge, (a scarpetta, ad ogiva, a slittino, a navetta spaziale, ecc.) che scendono a causa della loro forma appositamente studiata a tale specifico effetto. L’affondamento può essere diminuito o aumentato sia cambiando la posizione di attacco della lenza sia operando sulla velocità della barca. Questi dispositivi funzionano per profondità limitate e costante; di solito, quando si superano i 4 nodi salgono a galla come pure salgono a galla quando il loro equilibrio è compromesso dalla presenza di pesci allamati; esercitano inoltre una fortissima trazione sulle lenza e quindi sono poco compatibili con le canne; anche perché, una volta giunti a bordo, il recupero della parte restante della lenza deve essere fatto sempre a mano.

Fra gli affondatori idrodinamici vanno annoverate anche le palette metalliche o di plastica delle quali sono muniti, nella loro stragrande maggioranza, i cosiddetti minnows o pesci finti. Queste palette provocano un affondamento autonomo talché in acque non troppo profonde, diciamo grosso modo fino ai 4-5 metri, non c’è bisogno di aggiungere altro. Ma quando si traina a fondale è spesso necessario spedire in basso i nostri simulacri, avvalendoci dei sistemi di cui abbiamo parlato sopra. In questi casi per calcolare la profondità di lavoro dei minnows bisogna sommare due valori: quello dell’affondatore propriamente detto e quello del pesce finto; ai fini di tale calcolo ci potremo avvalere dei dati riportati nell’apposita tabella che si riferisce all’affondamento autonomo di alcuni modelli di Rapala (i pesci finti più usati), rimorchiati a una distanza pari a quella normalmente prescritta per la traina di fondo (15 o più metri).E per finire, tre consigli pratici validi in ogni caso quando si traina con lenze affondate.

  1. Evitare sempre di fare curve troppo strette;
  2. tenersi ben lontani dai segnali indicanti la presenza di reti da posta o parangali; nella speranza, spesso purtroppo delusa, che non ci siano in giro attrezzi non segnalati affatto;
  3. se si avverte, attraverso l’ecoscandaglio, la presenza di un ostacolo immerso in una fascia acquea inferiore, uguale o vicina alla profondità a cui navigano le nostre esche (e non c’è tempo di fare altro) aumentare subito e considerevolmente la velocità.