Ormeggiare in rada di Stefano Navarrini il 3 Ago 2025 Il tema non è certo nuovo ma assume particolare valore in agosto, quando il mondo dei diportisti si riversa in mare affollando non solo i porti ma anche, se non soprattutto, le rade. E non tutti hanno l’esperienza o l’educazione necessarie per una felice convivenza di ormeggio. Sembra banale, ma non lo è, e il fatto che nell’acquistare una barca (sia essa nuova o usata) l’ancora sia già a bordo non è detto che semplifichi le cose. Il perché è tanto semplice quanto complesso, nel senso che teoricamente ogni ancora è adatta ad una certa barca e alle sue caratteristiche, ma anche ad un certo fondale, ad un determinato tipo di utilizzo, allo spazio disponibile, e via dicendo senza contare che a bordo di ancore sarebbe sempre meglio averne due. Quando gli spazi sono ristretti sempre meglio portare una cima a terra per mantenere la posizione della barca. Sommario Le ancoreLa scelta dell’ancoraPeso e formaLe variabiliLa tenutaIl diametroAnelli e materialeLa barca a catenaLa lunghezza della catenaManovre d’ancoraggioPrevedere l’imprevistoCome prevenire tutto questo? Le ancore Le certezze in realtà potrete averle solo quando, ancorati in rada sotto raffiche da 40 nodi, potrete constatare il comportamento della vostra barca: se se ne sta tranquilla al suo posto, potrete avere fiducia nel vostro ferro, se viaggia in velocità verso gli scogli o il mare aperto, a seconda della provenienza del vento, c’è qualcosa che non va. Il che non è neanche del tutto esatto perché in un buon ancoraggio entrano in gioco anche lunghezza e qualità del calumo, caratteristiche del fondale, e le manovre stesse d’ancoraggio che devono favorire la presa di testa dell’ancora. Poi ci sono le eccezioni fuori contesto che fanno la regola, e ci sia permesso un amarcord personale per ricordare una di quelle sventolate serie vissuta in una rada della Gallura, circondati da barche che aravano pericolosamente mentre la nostra vela restava orgogliosamente ferma al suo posto. La mattina dopo, per pura curiosità, dato che la catena era ancora tesa a ferro, andai a vedere il posizionamento dell’ancora… che trovai sollevata dal fondo ma perfettamente agganciata ad un vecchio dodici cilindri Volvo Penta mezzo arrugginito. Ma andiamo per gradi. In estate ormeggiare in rada può essere una scelta obbligata quando in porto non c’è un posto libero, o una scelta precisa per il piacere di stare fuori dalla pazza folla. L’importante è assicurarsi di avere tempo stabile, e di fare un buon ancoraggio. La scelta dell’ancora Entro certi limiti cercheremo di evitare quel nozionismo di base che chiunque vada per mare dovrebbe conoscere e di cui il web ridonda, ma certe cose bisognerà pur dirle perché “repetita iuvant”, e vedremo magari di concentrarci più sugli aspetti pratici: sia nella scelta dell’ancora e dei suoi relativi accessori, sia sulle tecniche di ancoraggio e relativi problemi. Un’ancora fissa a poppa, collegata o collegabile alla catena, è una soluzione spesso utilizzata in Nord Europa. Se ben realizzata può essere utilizzata anche nei nostri mari quando non c’è molto spazio per l’ancora di rispetto. Peso e forma Un’ancora lavora di peso e di forma, e se quarant’anni di navigazione hanno un senso, personalmente direi di puntare più sul primo, soprattutto perché certe forme elaborate lavorano bene su alcuni fondali e meno su altri. Parlando quindi del peso della nostra ancora, le regole base si orientano generalmente nel considerare 1 Kg di peso per ogni metro della barca, qualcuno suggerisce 2 Kg, e poiché un po’ di peso in più non fa male a nessuno ma offre un pizzico di sicurezza in più, si può scegliere il compromesso. Come dire che su una barca di 10 metri, ferma restando la valutazione del peso della barca e la forma dello scafo (in una barca a motore con un fly oltre al peso vanno considerati l’effetto vela delle sovrastrutture e la scarsa resistenza della carena). si può montare un’ancora sui 12-15 kg. Un buon verricello e una catena calibrata sulla presa del barbotin sono la base di un buon ancoraggio. Comodi per conoscere la quantità di calumo rilasciata anche i segnacatena colorati. Le variabili Scegliere un tipo d’ancora in base alle caratteristiche decantate nei vari siti internet ha poco senso, non solo per la genericità delle descrizioni, ma anche perché poi le variabili che entrano in gioco nelle varie situazioni sono molteplici, e non si può pensare di avere un’ancora per ogni situazione. Come dire che il compromesso è d’obbligo, tenendo presente che diversi tipi di ancore celebrate negli anni per le loro caratteristiche hanno poi avuto una moltitudine di emuli. Alle principali forme e relative caratteristiche delle ancore abbiamo dedicato una tabella a parte, ma tornando al nostro discorso è fondamentale tener presente che nessuna ancora potrebbe svolgere adeguatamente il suo lavoro senza il supporto di un calumo adeguato, le cui caratteristiche si dividono parimenti fra lunghezza e peso. In caso di un ormeggio temporaneo, quanto basta per un buon bagno rinfrescante e magari su un fondale roccioso, non è necessario dare troppa catena. La tenuta Scendiamo nel dettaglio, e ripartiamo dalle famose sacre regole per le quali il calumo deve essere almeno 3-4 volte la profondità del fondale. Il concetto si basa sulla giusta considerazione che per offrire il massimo della tenuta la trazione di un’ancora deve essere parallela al fondale su cui lavora, ma questo concetto stride per forza maggiore e con temibili conseguenze nelle superaffollate rade estive, non solo perché su fondali spesso ridotti mancherebbe lo spazio necessario, ma anche perché se lo si mettesse in pratica al momento di salpare si avrebbero degli infernali imbrogli di catene. E questo è un altro caso in cui il compromesso e la saggezza nautica del comandante saranno fondamentali, ma è anche il caso in cui il peso del calumo ha… il suo peso! Una catena arrugginita non solo sporcherà il vano di stivaggio, ma anche la coperta al momento di salpare l’ancora. Che poi poco a poco la catena perda anche la sua resistenza non è cosa da trascurare. Il diametro Nel senso che nella scelta della catena dell’ancora, aldilà del calcolo della resistenza, è importante tener conto anche del diametro e quindi del peso: una catena bella pesante farà lavorare bene l’ancora e offrirà anche un certo molleggio utile per ammortizzare eventuali raffiche. Tradotto in cifre e con la dovuta approssimazione, premesso che quando si parla di diametro della catena si intende quello del singolo anello, potremmo dire che una catena da 6 mm può andar bene per i piccoli open, dove spesso viene sostituita da una cima ma sempre con un finale in catena, una da 8 mm per gli open un po’ più grandi, una da 10 mm si adatterà bene a barche intorno ai 10 metri mentre poi si sale a seguire fino ad arrivare alla catena dell’ancora in acciaio inox più grande mai realizzata fra quelle, si fa per dire, dedicate al diporto. Anche se non conosciamo il diametro della sua catena ci ha fatto piacere citarla, perché l’ancora in acciaio inox Ptw+ da 2025 kg è un prodotto squisitamente made in Italy, ed è stata costruita in Italia dalla Posidonia srl di Novi Ligure per uno yacht tedesco da 180 metri. Per quanto si cerchi sempre di evitarlo, a volte ancorare sulla posidonia, vero e proprio polmone dei nostri mari, è inevitabile. Nel caso al momento di salpare sempre meglio portarsi sulla verticale dell’ancora evitando trascinamenti. Anelli e materiale Due ultimi dettagli riguardano la struttura degli anelli e il materiale con cui è stata realizzata la catena. Nel primo caso è infatti importante che gli anelli siano calibrati sulla presa del barbotin del verricello, altrimenti si avrebbero pericolosi malfunzionamenti, la seconda chiama in causa i due principali materiali di fabbricazione. L’acciaio zincato è il materiale più comune e se ben realizzato ha un’ottima resa; è però importante potersi fidare della qualità della zincatura, soprattutto quando il prodotto ha gli occhi a mandorla, dato che lo zinco funge da anodo sacrificale del sottostante acciaio ed è facilmente attaccabile dalla salsedine che poco a poco farà spazio alla ruggine con due conseguenze. Da una parte un fattore estetico ma anche di pulizia, dato che una catena arrugginita trasforma il pozzetto dell’ancora in una fossa di lerciume, dall’altro un fattore strutturale perché nel tempo la ruggine incide il metallo finendo per indebolirne la struttura. Questi fenomeni incidono molto meno, o nulla, su una catena in acciaio inossidabile che ha dalla sua anche un invidiabile look, soprattutto se unita ad un’ancora dello stesso materiale. Qualunque sia la catena, per tirar su l’ancora serve un verricello, più giustamente detto salpancora, che essendo un vero squalo energetico è bene sia sempre utilizzato con il motore in moto. Ovviamente dovrà sempre essere proporzionale alle dimensioni della barca e conseguentemente al peso dell’ancora, anche perché in caso di blackout salpare a mano ancore dai 12-15 kg in su, più il peso della catena, è dura. In estate gli ancoraggi sicuri sono sempre molto frequentati, ma con l’accortezza di calare l’ancora nel posto giusto non ci sono problemi. Grippia e grippiale sono una buona soluzione per evitare incagli d’ancora, soprattutto su fondali rocciosi. Per realizzarli può bastare una cima, ma in commercio esistono anche pratiche soluzioni appositamente progettate come il Grippy, un grippiale leggero, automatico, e autoavvolgente con tantodi illuminazione notturna. La barca a catena In realtà parlando di catena dell’ancora mancherebbe ancora un particolare, anzi due, ovvero i due punti di attacco della catena stessa. L’attacco fra ancora e catena può essere fatto in molti modi, da una bella gassa d’amante per i calumi tessili dei piccoli open a dei poco affidabili per quanto robusti moschettoni, ai classici giunti girevoli che oggi sono la norma. Ne esistono vari tipi anche se il principio di lavoro è lo stesso, sono decisamente affidabili e, non essendo un prodotto particolarmente costoso, è sempre bene puntare alla massima qualità perché la miglior ancora del mondo e il più perfetto dei calumi si annientano se il giunto cede per cedimento o per svitamento della vite orizzontale di fermo. Quest’ultimo dettaglio, apparentemente impensabile, può invece accadere, quindi sempre bene accertarsi di tanto in tanto del buon serraggio delle viti di aggancio. Amarcord del caso: a ridosso di Astipalea, Egeo centrale, rinforzo del Mmeltemi e salpaggio ancora per rientro in porto. La catena sale dolce e progressiva fino a quando il fusto dell’ancora sta per imbragarsi nel musone, poi all’improvviso il giunto molla o si svita del tutto e… pluf!, l’ancora scivola inesorabilmente in mare e se ne va su 30 e passa metri di fondo. Tanto per ricordare l’importanza di avere sempre a bordo un’ancora di rispetto. Non meno importante l’altro terminale della catena, quello, per capirci, che va a fissarsi al pozzetto dell’ancora, un po’ per lo stesso motivo di quanto appena visto, un po’ per l’esatto contrario, nel senso che può accadere di dover mollare l’ormeggio in tempi brevi e magari con l’ancora incagliata, e magari con il maniglione di tenuta bello arrugginito che non si svita neanche citando tutti i santi del calendario. La situazione può diventare molto spiacevole, per questo è sempre consigliabile che l’ultimo anello della catena sia fissato alla barca con un tessile che, per quanto robusto, possa essere tagliato con facilità. Fermo restando che in condizioni normali non si arriverà mai al fondo della catena, perché per fermarla in un normale ancoraggio in rada basterà il blocco del verricello, al limite con un fermo di sicurezza in tessile. Lungo una costa esposta ai malumori del vento, come il versante occidentale della Corsica, gli ancoraggi sicuri come quello di Girolata sono ben conosciuti e frequentati. La lunghezza della catena Resterebbe da capire quanta catena tenere in barca, considerando che la catena pesa e costa, e su barche medio piccole potrebbe influire anche se poco sull’assetto. Il discorso è ovviamente personale, ma tenendo come riferimento un cabinato a vela o a motore medio direi non meno di 45-50 metri, poi in caso di necessità si può aggiungere alla catena, a patto di saper fare i nodi giusti, un altro calumo di cima bella robusta. Se neanche questa basta… Houston abbiamo un problema!, mollate tutto e andatevene. Quando la situazione si fa seria, con il rischio di disancorare e finire sugli scogli, meglio lasciare l’ancoraggio e affrontare il mare aperto. Manovre d’ancoraggio Ormeggiare una barca in un marina può a volte essere un problema, almeno finché non si è presa la necessaria confidenza con la barca, problema tuttavia risolvibile con l’aiuto di un ormeggiatore e soprattutto con uno dei tanti sofisticati sistemi di ormeggio assistito inventati dai grandi player dell’elettronica. Ormeggiare in rada invece è decisamente facile… o no? Fuori stagione sicuramente sì, in estate un po’ meno causa sovraffollamento di barche e problemi conseguenti, ma con meteo favorevole non ci sono comunque seri problemi. La prima regola consigliata è anche la più banale ma allo stesso tempo la più dolorosa: se infatti rientrerete in rada in tempo utile, ovvero molto prima degli altri, non avrete problemi nello scegliere il posto migliore, salvo però aver accorciato la vostra giornata di mare. Diversamente si tratterà di entrare in una rada già affollata a velocità moderata, molto moderata, considerando che ci potrebbero essere persone che fanno il bagno, sfiorando le varie barche alla fonda sotto gli occhi sospettosi di chi si sta già gustando l’aperitivo. Il punto in cui calare l’ancora va scelto con molta attenzione evitando in primis di non calare l’ancora sul calumo di qualcun altro, ma anche calcolando dove vi porterà la catena una volta entrata in tiro, magari con un leggero cambiamento di vento, cosa che avviene spesso di notte con il cambio della brezza. A volte, va detto, nelle rade più affollate un singolo imbroglio di catena è quasi inevitabile, ma con un attimo di pazienza e cortesia, evitando gli improperi di chi si sente trascinare la propria barca, tutto è risolvibile. La prima cosa da fare è ovviamente quella di arrivare a motore sulla verticale dell’ancora recuperando a poco a poco catena per evitare trascinamenti che porterebbero ad un inevitabile aggancio. In caso di malaugurato imbroglio è sempre bene agire in sinergia con la barca “allamata”, considerando che con apposite manovre o con altrettanto appositi attrezzi il problema si risolve facilmente. Se fosse necessario, è bene tener presente che su un fondale di sabbia o fango l’ancora può essere trascinata e liberata anche facendola arare con la marcia indietro della barca. Annotiamo però che non solo l’ancora può incagliarsi anche durante una sosta temporanea, magari per farsi un bel bagno su un fondale limpido e roccioso, ma che oltre all’ancora potrebbe impigliarsi anche la catena, passando sotto uno scoglio o addirittura girandoci intorno. In questi casi la cosa migliore per risolvere il problema è avere a bordo un buon apneista, che potrà liberare la catena e assecondare dal mare i movimenti della barca per portarla nella posizione migliore per liberare l’ancora. In mancanza del suddetto ci si potrà portare sulla verticale dell’ancora o anche qualche metro avanti, poi mollare leggermente catena e provare rapidamente a recuperare sperando che l’ancora si sia liberata. Se la situazione si fa critica e magari si rischia di passare la nottata in inutili tentativi (abbiamo visto ancore inesorabilmente intanate come cernie), meglio mollare tutta la catena, tagliare il tessile di ritenuta e legare l’ultimo anello ad un parabordo per poter poi recuperare ancora e catena in un secondo momento. Esistono però possibili anche se non definitive soluzioni preventive che si chiamano grippia e grippiale. La prima è una sagola che va legata al diamante dell’ancora, seguirà la calata del calumo rimanendo fissata alla barca, e al momento del recupero consentirà in caso di incaglio un diverso e più libero punto di trazione per spedare l’ancora. Il grippiale ha lo stesso scopo, ma con più semplicità si limiterà ad una sagola fissata solo al diamante dell’ancora e ad un galleggiante (va bene anche un parabordo) che se da un lato segnalerà la posizione dell’ancora, dall’altro ne faciliterà il recupero. Se però, come spesso capita, soprattutto con mare calmo e una bava di vento, la catena ha girato intorno o sotto uno scoglio, non resta che scendere in acqua e mettere alla prova le vostre capacità apneistiche. In tutti questi casi, che dovrebbero appartenere all’esperienza di ogni buon marinaio, specie non molto diffusa durante l’estate, entra in gioco di prepotenza l’azione dell’”anchor man”, che non è un famoso conduttore televisivo americano ma quell’utilissimo membro dell’equipaggio addetto alle manovre dell’ancora. Sarà lui a dirigere con appositi segnali i movimenti della barca portandola piano piano sul più adeguato punto di ancoraggio, anche perché con basso fondale e acqua trasparente potrà vedere chiaramente l’eventuale presenza di rocce o di altre catene. E sarà lui, dopo l’ok del comandante, a calare l’ancora, manovra che potrà avvenire lento moto operando con il telecomando sul verricello, o liberando il barbotin per una calata più rapida ma sempre controllata: calando troppo rapidamente, infatti, la catena potrebbe ammucchiarsi e magari impigliarsi nelle marre dell’ancora. A questo punto una leggera marcia indietro metterà in tensione il calumo finché l’ancora farà testa e la barca si bloccherà: un ultimo colpetto di marcia indietro per migliorare ulteriormente la presa e l’ancoraggio è fatto… salvo ritrovarsi a due metri da una barca di allegri ragazzotti che con musica ad alto volume e schitarrate varie vi terranno svegli fino a notte inoltrata! Da cui l’ultimo consiglio: scegliete con cura quelli che saranno anche per una sola notte i vostri vicini di barca. Prevedere l’imprevisto Uno degli eventi più sgradevoli nel bel mezzo di una splendida nottata estiva è l’inaspettato arrivo di un groppo di vento, che non deve necessariamente essere un downburst stile “Bayesian”, ma che può essere quanto basta a creare un bel casino: gente che sale in coperta assonnata e mezza nuda andando a fissare tutto il fissabile, a partire dal tendalino e dal rinforzo sul rullafiocco, barche che partono di gran carriera, altre che salpano di corsa l’ancora creando inevitabilmente imbrogli di catena, altre che prese dal vento vanno a toccarne altre, urla, bestemmie e comandi d’ogni tipo dissipati dal vento, barche che mollano tutta la catena possibile sperando di resistere poi al vento, e via dicendo in un caos infernale. Come prevenire tutto questo? La prima risposta è banale: osservando e rispettando il meteo, e diciamo anche dando un’occhiata al caro vecchio barometro. Peccato che benché oggi le previsioni meteo siano molto più precise di un tempo, l’imprevedibile è sempre dietro l’angolo, mentre a volte si è portati a sfidare il prevedibile perché andare a trovare un altro ormeggio a fine giornata non è facile: siamo stanchi ed è tardi, il porto è strapieno anche in seconda fila e magari, si spera, sarà solo un po’ di vento, l’ancora è sicura, e… incrociamo le dita! Non sappiamo quanto le abbiano incrociate le 105 barche spalmate sugli scogli della Corsica Nord Occidentale il 18 agosto 2022, di certo non abbastanza. Di norma quindi, per quanto possibile fidarsi del meteo è sempre bene. Volendolo sfidare però le accortezze da prendere sono importanti per il benessere della barca e dei suoi occupanti. In caso quindi di meteo incerto ancorare al limite esterno dell’ammasso di barche vuol dire avere, in caso di bisogno, tutto lo spazio libero per recuperare l’ancora e allontanarsi. Importante mettere in sicurezza tutto ciò che il vento potrebbe portar via o ridurre a mal partito: quindi togliere tendalini mobili e bloccare bene quelli fissi, mettere al sicuro le cuscinerie, piazzare una ritenuta anche sul rullafiocco che se mai cedesse sarebbe un disastro, randa ben chiusa sull’easy jack, senza dimenticare il tender che andrebbe fissato a bordo in sicurezza per non vederlo poi svolazzare come una farfalla, e fissare a bordo l’eventuale motore. Durante il recupero dell’ancora è poi importante tener presente che meno catena c’è in acqua, più la barca sarà sensibile ad eventuali raffiche di vento, quindi regolarsi di conseguenza. Volendo sfidare il groppo, che spesso non dura molto, si può anche provare a rinforzare l’ormeggio, ovvero ad appennellare una seconda ancora sulla stessa catena, operazione abbastanza semplice, oppure ad affocare una seconda ancora, operazione decisamente più complessa, soprattutto in una rada affollata. Da non dimenticare la sicurezza dell’equipaggio, soprattutto se non sufficientemente esperto, che dovrà essere ben istruito su cosa fare in caso di emergenza e di conseguenza adeguatamente equipaggiato, ma è importante anche aver già stabilito a priori cosa fare e dove andare una volta mollato l’ormeggio. Tenere qualcuno di guardia, ovviamente a turno, può essere una buona idea, ma con equipaggi ridotti la soluzione non viene quasi mai presa in considerazione, e la prima scusa è che sul “Bayesian” è servita a poco. L’importante è però che il comandante o chi per lui dorma con un occhio solo e che in ogni caso sia sempre pronto a schizzare in coperta per dare il via alle operazioni, la prima delle quali sarà quella di mettere in moto la barca. Questo articolo ti è piaciuto? Condividilo!