Quando l’opera è viva

Al di là degli aspetti più seducenti di una barca, non bisognerebbe mai dimenticare l’importanza della carena, perché è dalla qualità del progetto e dalla sua resa in acqua che dipenderanno le prestazioni che avremmo voluto.

Non è chiaro perché la parte in cui si svolge la vita su una barca viene chiamata opera morta, mentre quella che nessuno vede viene detta opera viva, ma dal punto di vista tecnico la definizione è ineccepibile. È infatti la carena che rende viva la barca, che gli dona quelle caratteristiche che gli consentiranno di navigare in un modo o nell’altro, bene o male che sia; solo che, al momento di valutare e scegliere la propria barca, le linee d’acqua vengono quasi sempre trascurate.

È un po’ lo stesso errore che si fa nello scegliere una quattro ruote, ovvero si rimane sedotti da determinate caratteristiche particolarmente appariscenti come il design, i cromatismi, il lusso degli interni o le prestazioni decantate da un’adeguata campagna pubblicitaria, senza tenere in adeguato conto quelle che poi saranno le caratteristiche di quello che sarà il reale utilizzo del mezzo.

Wally
Dopo millenni di stasi l’evoluzione delle carene è stata molto rapida, e la tendenza attuale vede carene con dritto di prua verticale come il Wally 50 della foto, con facilità di superare i 35 nodi e motorizzazione Volvo IPS.

Consigli

Cosa che poi porta spesso all’insoddisfazione perché non si possono chiedere ad una barca cose che non può dare, come pretendere che un missile da 50 nodi sia stabile alla fonda come un catamarano, o chiedere ad un trawler di planare come un fast commuter, o mettiamoci anche chi sceglie un offshore per metterci dentro tutta la famiglia gatto compreso.

Ma poiché è pensabile che nessun progettista potrebbe creare ingestibili deformità nautiche, tutto sommato nello scegliere una barca potrebbe essere logico partire proprio da una valutazione delle sue linee d’acqua proporzionandole al futuro utilizzo.

Se però non ci fossero le onde il massimo della portanza si avrebbe, con po’ d’ironia… una tavola rovesciata.

In ogni caso sarà bene premettere, che una carena ideale non esiste, per il semplice fatto che nel corso della navigazione subentrano numerose variabili che cambiano le carte in tavola: dallo stato del mare alla variazione dei pesi a bordo derivanti dal consumo di carburante e dei liquidi di bordo, o dalla quantità di persone imbarcate che può variare quando si buttano a mare quelle più fastidiose.

Nell’analisi di una carena si deve quindi necessariamente procedere in base a criteri standard, quelli più o meno teorici, basandosi sulle proprie reali esigenze.

Pershing
Anche per i grandi yacht, come il Pershing 140 della foto sotto, lo studio delle linee d’acqua per ottenere le massime performance con il minimo consumo, richiede lunghi studi e prove in acqua.

Scegliere la carena

Quali saranno le nostre navigazioni preferenziali? Utilizzeremo la barca per sfruttare la sosta pranzo e partire da Mergellina per andarci a fare uno spaghetto a Capri, come spesso fanno gli amici napoletani? Oppure per un long week end per portare tutti i nostri 22 amici a vedere le meraviglie della costa sarda o magari, forti della nostra posizione di pensionati e avendo tempo a disposizione, abbiamo l’intenzione di dedicarci allo slow cruising, passando l’estate a fare il periplo della Sicilia?

Ma anche: resteremo in porto al primo apparire di un’ochetta, o affronteremo senza paura un mare formato forti della nostra esperienza di mare?

Abbiamo un portafoglio in grado di gestire senza traumi i costi di un monocarena ipermotorizzato senza mortificarlo in uscitine fuori dal porto?

Queste non sono che alcune delle considerazioni da fare, magari dopo aver meglio analizzato i principi base di una carena, che anche se nella sua evoluzione ha raggiunto oggi una quantità di versioni mirate ad ottimizzare determinate caratteristiche della barca, le sue linee d’acqua in fondo possono essere esaminate e valutate considerando tre tipologie basiche: planante, dislocante e semidislocante.

I grandi cantieri hanno a volte sviluppato per le loro barche una particolare tecnologia. Giunta alla sua seconda generazione, l’Air Step 2 progettata dalla Beneteau per migliorare le prestazioni e diminuire i consumi è oggi in grado di supportare anche motorizzazioni dotate di IPS.

La carena planante

È indubbiamente il disegno di linee d’acqua oggi più utilizzato nella nautica da diporto, ed è quello che, sfruttando il sostentamento idrodinamico della barca una volta superato per il punto di planata, consente di raggiungere buone prestazioni velocistiche.

Tuttavia valutare a secco una carena planante, nella quale le prestazioni e la stabilità a manette abbassate sono prioritarie, non è facile.

Di certo si possono valutare il deadrise, la distribuzione di pesi e volumi, la presenza di longheroni di sostentamento o di uno o più step che possono offrire prestazioni e stabilità, ma sono tutte valutazioni che non possono essere definitive perché per capire bene come naviga una barca, soprattutto di una barca con carena planante, occorre… navigarci sopra. 

Le carene plananti sono decisamente quelle offrono più emozioni perché sostenute da motorizzazioni adeguate possono raggiungere velocità elevate, a volte anche troppo perché quando una barca viaggia a 50 nodi a scanso di spiacevoli sorprese è bene che il manico sia adeguato.

Il contraltare di una carena planante è la minor stabilità quando la barca naviga in dislocamento, andatura in cui le sue linee d’acqua pagano pegno rendendo la barca meno stabile e meno direzionale, soprattutto in caso di mare formato, ossia la cosa peggiora con la barca alla fonda, dato che le linee d’acqua di una carena planante non offrono molta resistenza al rollio, e quindi in altre parole più la V di carena è pronunciata più si balla.

Invictus
Nella scelta di una barca si è spesso più sedotti da quanto è sopra l’acqua piuttosto che dal disegno della carena, le cui prestazioni possono essere in realtà analizzate solo provando la barca in acqua. Nel caso di questo Invictus GT 320 si nota il perfetto assetto in navigazione.

Una storia antica

Proviamo tuttavia a capirci qualcosa di più, magari partendo dal chiarire un termine molto usato ma un po’ misterioso per i profani, come il deadrise, ovvero il diedro della carena, che non è altro che l’angolo formato fra il vertice di chiglia poggiante sull’ipotetica superficie del mare e la tangente ad una delle due semicarene dello scafo. Oggi quasi tutte le carene in circolazione presentano con le dovute personalizzazioni una carena a V più o meno profondo, ma questo termine viene spesso usato a sproposito, e viene allora quasi spontaneo fare un breve excursus storico.

La carena a V profondo non è un’invenzione recente, e per onor di cronaca al tempo, parliamo di fine anni ’50, fu chiamata “carena a dislocamento planante”. La cosa curiosa è che a questa soluzione, che rivoluzionò il mondo della nautica, arrivarono contemporaneamente e senza la minima interlocuzione due geni della nautica come Raymond Hunt e Renato Sonny Levi.

Raymond Hunt e sotto Renato Sonny Levi sono i due progettisti che in modo del tutto indipendente hanno rivoluzionato con le loro idee il mondo della nautica. La carene a V profondo, ovvero oltre i 20° di diedro, dimostrarono la loro validità sui principali campi di competizione, e sono ancor oggi le più adottate su barche ad alte prestazioni.

Il primo la sperimentò in primis su un barchino di 7 metri nelle acque di Newport, sviluppandola poi in associazione con un certo Dick Bertram, altra leggenda del nostro mondo.

Il secondo operò quasi in contemporanea dall’altra parte del mondo, ovvero in India, dove abitava all’epoca, e nacque dall’idea di un’imbarcazione da pesca richiesta dalla FAO per l’utilizzo dei pescatori orientali. L’idea era comunque geniale, rivoluzionò il mondo delle carene fino ad allora legate a linee d’acqua piatte, e presto arrivò a dimostrare le sue qualità in quelle competizioni offshore che all’epoca erano il vero banco di prova per le barche più performanti come, tanto per citarne qualcuna, la 500 miglia delle Bahamas o la Viareggio-Bastia-Viareggio, la Miami-Nassau o la Cowes-Torquay.

L’idea rivoluzionaria

Il concetto rivoluzionario era quello di prolungare la V di prua fina all’estrema poppa mantenendo un elevato grado di stellatura, compreso nel caso specifico fra i 20° e i 30°.

Il concetto subì nel tempo vari adattamenti a seconda delle caratteristiche richieste dal progetto, anche in base al fatto che una vera carena “Hunt”, che come detto mantiene la sua stellatura fino ad estrema poppa, ha caratteristiche non sempre adatte a quello che richiede oggi il diportista, perché se da un lato assicura straordinarie prestazioni velocistiche anche su mare formato, dall’altro richiede motorizzazioni potenti con relativi consumi ed offre poca stabilità a barca ferma.

carena

Carene alternative

Per migliorare le prestazioni di quelle prime carene, allo scafo furono anche aggiunte delle appendici, quelle che oggi chiamiamo pattini idrodinamici, il cui compito principale è quello da un lato di diminuire l’attrito della carena sull’acqua facilitando la planata, e dall’altro di irrigidire la struttura migliorando la sua robustezza. L’unico svantaggio può essere quello di rendere un po’ meno morbida la navigazione con mare formato.

A livello di appendici va considerato anche il bulbo di prua, che già ben sperimentato nelle grandi navi sta trovando diffusione anche nel diporto sulle barche, e soprattutto sugli yacht, dislocanti o semidislocanti.

Si parla in pratica di una sorta di protuberanza sommersa realizzata o applicata sul vertice di prua, il cui scopo è quello di generare una prima onda mirata a deviare il flusso dell’acqua, diminuendo così la resistenza idrodinamica della carena con relativo contenimento dei consumi e minimizzando l’effetto del beccheggio.

Il bulbo prodiero contribuisce anche ad aumentare la lunghezza al galleggiamento della barca consentendo un leggero aumento della velocità, ma è una soluzione limitata ai grandi yacht perché applicata su imbarcazioni medio piccole avrebbe costi di produzione non proporzionali ai vantaggi. Vantaggi che in parte si possono avere anche verticalizzando la prua o addirittura adottando un dritto di prua rovescio, soluzione oggi molto di moda.

Meritano infine un accenno le carene a semi-tunnel, non molto usate dalla nostra cantieristica, che tuttavia presentano alcune interessanti caratteristiche. La principale è probabilmente quella di far lavorare gli assi motore con un’angolazione molto più favorevole rispetto a quella classica, guadagnando quindi in spinta e conseguentemente in prestazioni e consumi.

A questo si può aggiungere che, oltre a migliorare la stabilità direzionale della barca e a ridurre l’attrito della carena operando nel punto di massima pressione idrostatica, le eliche semi intubate, per motorizzazione singola o doppia, saranno meno soggette a fenomeni di ventilazione o cavitazione. Last but not least, proprio in quanto intubate nella carena, queste eliche offriranno un minor pescaggio, caratteristica che può sempre tornare utile.

carena

Un mare, una carena

Che fra le qualità di una carena si declami spesso, soprattutto dai venditori, il suo essere asciutta, sembra non considerare un dettaglio. Se sul mare calmo una carena che provochi spruzzi a bordo porterà inevitabilmente a mettere sul rogo il progettista, con mare formato di prua e relativo vento, che arrivino a bordo schizzi d’acqua è pressoché inevitabile.

Questo vale soprattutto per i nostri mari, dove prevalgono onde corte e ripide, perché in oceano quando l’onda si fa lunga e morbida le cose sono diverse.

In mari generalmente tosti come quelli del Nord Atlantico le carene, soprattutto quelle dei grandi fisherman che escono anche con mare formato, vengono spesso disegnate con una forte svasatura dei masconi destinata a deflettere l’onda nelle navigazioni di prua e a ridurre il rischio di ingavonamento o di “spin out” navigando di poppa: è un disegno nato nei primi anni ’60 che non a caso viene definito Carolina Flares, e che pur incidendo negativamente sull’abitabilità interna dello scafo porta notevoli benefici in navigazione anche in forza della notevole stellatura di prua. 

A titolo di cronaca va anche notato che nei fisherman americani, che mirano ad una buona velocità di crociera anche con mare formato più che a prestazioni altamente velocistiche, i pattini di sostentamento sono ridotti o a volte del tutto assenti fornendo una maggior dolcezza di navigazione.

Un’altra innovazione, che ha poi avuto interpretazioni personalizzate da diversi cantieri, sono gli step, o redan per dirla con un francesismo. Questi gradini ricavati nella carena, che possono essere singoli ma anche doppi, tripli o anche più nelle barche da competizione, hanno lo scopo di creare un cuscino d’aria formando una turbolenza che riduce la superficie bagnata migliorando le prestazioni in termini di velocità e conseguente riduzione dei consumi.

Sono una soluzione esteticamente suggestiva che necessita però di un’attenta progettazione, e che è legata a barche di alte prestazioni. 

Munstago 46
Un Munstago 46, dotato di un bulbo di prua. 

Dalla dislocante al power cat

Dal tempo del primo tronco d’albero con cui l’uomo sperimentò la navigazione, a seguire con tutte le navi e imbarcazioni che hanno fatto la storia, le carene sono state per così dire dislocanti, dato che le carene plananti sono state un’invenzione relativamente moderna.

E il fatto che la loro resa in termini di velocità e consumi non sia il massimo non ne ha impedito una larga diffusione, dato che oltre agli svantaggi ci sono anche i vantaggi. Una carena dislocante, come può essere per capirci quella dei gozzi di mestiere, dei pescherecci, o con occhio al diporto quella di trawler e navette, non naviga sull’acqua ma nell’acqua, generando conseguentemente un forte attrito.

Come non bastasse la sua velocità massima è limitata da una precisa legge fisica che definisce una “velocità teorica massima di avanzamento”, che è funzione della sua lunghezza. Il che spiega, ad esempio, perché su molte barche a vela moderne, dominate dalla sindrome della velocità, si siano aboliti gli slanci prodieri e poppieri tipici di barche d’altri tempi in favore di prue e poppe tozze e prive d’eleganza ma che aumentano la lunghezza al galleggiamento.

twin air step
Gli step, o redan che dir si voglia, sono stati un’altra importante evoluzione delle carene moderne, a cui molti cantieri come nel caso di Ranieri International, hanno dato una loro particolare personalizzazione. 
Cayman
La carena di un Cayman in piena navigazione mostra due profondi step

Linee d’acqua

Le linee d’acqua di una carena dislocante non si scontrano con il mare, piuttosto lo assecondano offrendo un’eccezionale morbidezza di navigazione. Caratterizzate da forme tondeggianti che mantengono lo scafo totalmente e perennemente immerso, non risentono più di tanto di eventuali variazioni di peso: la barca è conseguentemente pesante ma robusta, stabile e marina, e per ovvie ragioni monta motorizzazioni di bassa potenza con consumi contenuti.

È in pratica la carena ideale per quello slow cruising oggi molto apprezzato, almeno da chi se lo può permettere. Legate però ad un sostentamento statico piuttosto che dinamico come quello delle carene plananti, e mancando di superfici idonee a staccarsi dall’onda, le carene dislocanti sono limitate nella velocità. In compenso dato che le performance velocistiche sono secondarie, può supportare sovrastrutture importanti e consentire un maggior carico a bordo.

eliche intubate
Un’interpretazione delle eliche semintubate, limitate ovviamente alle trasmissioni entrobordo, che pur non essendo molto utilizzate dalla nostra cantieristica offrono numerosi vantaggi. 

E poiché notoriamente in “medio stat virtus”, considerando che oggi l’ibrido è di gran moda, la nautica non ha certo voluto essere da meno e rispondendo alle esigenze del diporto, ovvero cercando di coniugare i vantaggi delle carene dislocanti con quelli della carene plananti, ha dato vita alle carene semidislocanti, un felice compromesso adottato soprattutto a livello di grandi yacht. 

Parliamo di linee d’acqua derivanti dall’ottimizzazione di una carena tonda, che pur restando immerse avranno una maggior penetrabilità di prua a fronte di sezioni più piatte e portanti nella zona poppiera. Ibrido assai simile sono poi le carene semiplananti, derivanti a loro volta dalle carene a spigolo, che offrono prestazioni leggermente superiori in termini di velocità. Parliamo comunque di linee d’acqua destinate ai grandi yacht e a un determinato stile di navigazione nel quale il nodo in più o in meno non è certo la più ricercata delle caratteristiche.

fisherman
Un importante fisherman americano con prua carolina flares. Questi fisherman, che devono affrontare l’onda oceanica, sono spesso privi di pattini di sostentamento.

Meglio due di una

Pur essendo una specie in via di apparizione, i catamarani a motore da diporto, i cosiddetti power cat, non sono ancora molto diffusi nei nostri mari. Le loro caratteristiche sono tuttavia decisamente interessanti sia nelle imbarcazioni di piccole dimensioni dedicate al diporto o alla pesca, sia nei grandi yacht, tipologia nella quale si sono inserite barche che sfruttando le grandi superfici piane concesse dalle strutture, e dedicandole a vere e proprie distese di pannelli solari, si presentano con un’immagine fortemente green e una notevole autosufficienza.

catamarano
Su barche dimensionalmente meno impegnative i vantaggi di una carena a catamarano sono molto apprezzati nella pesca sportiva.

I vantaggi di una carena a catamarano sono notevoli, a partire dalla maggior stabilità a seguire con un’imbarazzante disponibilità di spazio a bordo che ne favorisce lo sviluppo a livello di charter, senza contare un favorevole rapporto prestazioni-consumi dovuto all’efficienza idrodinamica concessa dal ridotto attrito dei due scafi rispetto ad un monocarena di pari lunghezza. 

catamarano
I grandi catamarani a motore come questo Sunreef 66, oltre ad avere un’enorme disponibilità di spazio sfruttano l’opera morta per l’utilizzo di pannelli solari che supportano la richiesta energetica della barca.

Dal punto di vista della navigazione va anche tenuto conto che un catamarano naviga senza problemi a qualunque andatura, al contrario di un monocarena planante che in dislocamento non naviga sicuramente al meglio, e che grazie al cuscino d’aria che si forma nel tunnel ammortizzando l’impatto con l’onda offre una navigazione più morbida. L’unico svantaggio di un catamarano, a vela o motore che sia, è quello di uno spazio d’ormeggio importante e conseguentemente costoso, anche se molti marina stanno studiando tariffe particolari per queste imbarcazioni.