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Il degrado degli oceani è solo frutto della nostra irresponsabilità. E la storia del tonno rosso, signore dei nostri mari, ne è un chiaro esempio.

All’inizio fu una goccia, poi ne arrivò un’altra, poi furono tante da formare una pozza, un ruscello, un fiume, un lago, un mare…e poi fu l’oceano.

Cosa resta oggi di questo brodo primordiale nel quale – non siamo certo noi ad affermarlo – è nata la vita, ma che oggi versa in un serio degrado? Diciamo non molto, ma quanto basta, se ci si impegna un po’ tutti a salvarlo recuperando almeno parte della sua antica ricchezza. Un’operazione urgente e di primaria importanza che la recente Giornata Mondiale degli Oceani ha sottolineato offrendo il palcoscenico a un’ampia serie di protagonisti molti dei quali, però, una volta fatta la bella figura hanno pensato ad altro. Così come buona parte dell’opinione pubblica, pronta a scandalizzarsi di fronte all’evidenza delle notizie, salvo poi mettere tutto nel cassetto della memoria fino al successivo allarme. Non a caso il tema principale della “Giornata” di quest’anno è stato intitolato “Rivitalizzazione: azioni collettive per l’oceano”.

Alla fin fine, a preoccuparsi e a dispiacersi per l’attuale situazione è solo chi, amando il mare in tutte le sue forme, ne soffre il degrado, conscio che tra il freno di problemi economici e burocratici e lo sfruttamento indiscriminato dell’ambiente la situazione non è rosea. Forse qualche cifra aiuta a inquadrare meglio il problema. Cominciare col dire che dall’oceano traggono sostentamento 3.000.000.000 di persone, che le sue acque ospitano l’80{2e3577d2bd6aebaa150c85c33fcd353783f1aa6c690283591e00ef60b3336fc8} della biodiversità mondiale (dai cui anelli dipende anche la nostra vita), che il valore di mercato delle risorse marine è valutato il 5{2e3577d2bd6aebaa150c85c33fcd353783f1aa6c690283591e00ef60b3336fc8} del PIL mondiale e che l’80{2e3577d2bd6aebaa150c85c33fcd353783f1aa6c690283591e00ef60b3336fc8} del commercio internazionale viaggia via mare.

Ma, cosa ancor più importante, vale la pena di ricordare che il fitoplancton, la vegetazione invisibile che ricopre la superficie degli oceani, primo fondamentale anello della catena alimentare marina, produce il 50{2e3577d2bd6aebaa150c85c33fcd353783f1aa6c690283591e00ef60b3336fc8} dell’ossigeno che respiriamo.

Poi potremmo parlare anche di un problema tutt’altro che secondario, che è lo sfruttamento irresponsabile delle risorse, e anche qui le cifre sono inquietanti. Basti pensare che il 75{2e3577d2bd6aebaa150c85c33fcd353783f1aa6c690283591e00ef60b3336fc8} degli stock ittici pescati nel Mediterraneo non raggiunge la capacità di rigenerazione, situazione che peraltro costituisce una seria minaccia per la conservazione della biodiversità marina. Del resto, a livello mondiale, il settore della pesca professionale impiega direttamente o indirettamente 200.000.000 di persone che in qualche modo devono campare, solo che più diminuisce la risorsa più raffinati si fanno i metodi di pesca, con il risultato che alla fine, a pagare, è sempre il mare, tanto che la FAO ha denunciato come il 58{2e3577d2bd6aebaa150c85c33fcd353783f1aa6c690283591e00ef60b3336fc8} degli stock ittici mondiali sia già sfruttato oltre i livelli di allerta.

I problemi della pesca

Se questi sono dati certificati, nessuno può purtroppo accertare i danni arrecati dalla pesca illegale, che si stima costituisca il 13-14{2e3577d2bd6aebaa150c85c33fcd353783f1aa6c690283591e00ef60b3336fc8} del pescato mondiale. Né l’acquacoltura può essere la panacea, almeno con le attuali tecniche di allevamento. Il settore è in costante crescita e non necessariamente legato ai soli pesci (si allevano anche crostacei, molluschi e alghe), ma se alcune specie possono essere allevate a ciclo chiuso, pur con i problemi del rilascio di sostanze organiche inquinanti, in altri casi il problema è ben più complesso.

Con il tonno rosso, ad esempio, pesce di primario interesse commerciale, non si può parlare di allevamento dato che i vari tentativi fatti (anche in Italia) hanno avuto come risultato che un tonno allevato fin dallo stato larvale, prima di raggiungere una taglia commerciale verrebbe a costare un’enormità. Quindi le famose gabbie d’allevamento, spesso fortemente criticate per una serie di motivi sui quali al momento sorvoleremo, non fanno altro che ricevere dai pescherecci giovani tonni catturati allo stato selvatico che, all’interno di esse, vengono poi fatti ingrassare fino a raggiungere nell’arco di uno o due anni le taglie desiderate, secondo richiesta.

Peccato che queste migliaia di tonni non abbiano la possibilità di riprodursi e che, per raggiungere queste dimensioni, abbiano bisogno di essere costantemente alimentati: a un predatore come il tonno non si può certo dare qualche secchiata di farina biologica. Il che equivale a un grande consumo di pesce foraggio, alici e sardine in primis, ed è stato stimato che per ogni chilo di crescita di un tonno occorrono oltre 10 kg di pesce foraggio. Un costo che, facile immaginarlo, viene pesantemente pagato dagli stock di piccolo pesce azzurro, in preoccupante calo, dal quale in natura dipendono peraltro molte altre specie di pesci e cetacei.

Un’opera d’arte

La buona salute degli oceani, e se vogliamo del nostro piccolo Mediterraneo, è in ogni caso un problema ricco di mille sfaccettature, per affrontare le quali non basterebbe un’enciclopedia. C’è però un caso trasversale, nel senso che coinvolge diverse categorie, che possiamo approfondire come fatto emblematico. Parliamo di nuovo dell’assoluto protagonista del commercio ittico mondiale, ma anche di un pesce strettamente legato alle nostre tradizioni e alla nostra storia, oltre che di un alimento basilare per il nostro consumo alimentare dato che il 94{2e3577d2bd6aebaa150c85c33fcd353783f1aa6c690283591e00ef60b3336fc8} delle famiglie italiane acquista e mangia tonno in scatola, con un consumo pro capite annuale di oltre 2,5 kg.

Prima di essere commercialmente e gastronomicamente parlando quello che è, il tonno – e in particolare il tonno rosso (Thunnus thinnus), che non si capisce perché gli americani chiamino “bluefin” – è un animale straordinario. È una delle migliori macchine biologiche realizzate dalla natura. Grande, a volte gigantesco, veloce, potente, capace di raggiungere i quattro metri di lunghezza per 6-700 kg di muscoli a servizio di un’esistenza senza sosta, in viaggio perenne tra mari e oceani, tropici e acque gelide, superficie e abissi.

Ogni dettaglio fisiologico nel tonno è mirato a favorire le sue straordinarie prestazioni, dal perfetto profilo idrodinamico, che include anche alloggi per le pinne che posso ritrarsi durante i picchi di velocità, alla famosa rete mirabilis, un sistema circolatorio in grado di innalzare la temperatura corporea di oltre tre gradi rispetto alla temperatura ambiente, favorendo l’efficienza muscolare sia nelle lunghe percorrenze migratorie sia nella velocità e negli scatti necessari per l’attività di caccia.

È uno dei pesci più studiati dalla scienza, un po’ per le sue particolarità un po’ per il suo interesse commerciale, e se molte cose sono oggi chiare grazie anche all’uso dei tag satellitari, altre restano insolute, o perlomeno non ben definite. Ad esempio è stato accertato che la popolazione mondiale di tonno rosso è suddivisa fra due grandi zone di riproduzione, una delle quali nel Golfo del Messico e l’altra nel Mediterraneo, ma che fra le due zone esiste un sensibile interscambio che dimostra le grandi capacità migratorie di questo pesce, mosso da esigenze riproduttive.

È però altrettanto accertato che una parte dei tonni mediterranei resta in zona anche durante l’inverno, mentre è ancora un mistero come faccia ad orientarsi nelle sue migrazioni, quasi avesse un GPS incorporato: la temperatura del mare, la durata del giorno, l’altezza del sole, il sapore delle correnti o forse una bussola interna che si orienta con il magnetismo terrestre? In ogni caso, spinti dallo stimolo della riproduzione, in primavera i tonni abbandonano l’oceano e tornano nei mari dove sono nati per rilasciare quei milioni di uova delle quali solo alcune raggiungeranno lo stato adulto.

Grazie ad un appetito insaziabile, la crescita è però rapidissima, e a 30 chili o 115 cm di lunghezza (il limite minimo di taglia per la sua cattura), il tonno è già pronto per riprodursi. Nel Mediterraneo, due sono le principali aree di riproduzione: le Isole Baleari e le acque della Sicilia. Ma in un percorso che segue genericamente il perimetro del Mediterraneo in senso antiorario, ad attenderli su rotte conosciute da millenni ci sono oggi tonnare fisse e reti di circuizione.

Piccoli tonni crescono

Purtroppo per lui, il tonno rosso è una specie ricercatissima dai mercati ittici mondiali, anche perché di questo pesce si usa ogni più piccola parte, a partire dalle uova, la famosa bottarga. Questo ha portato il tonno rosso ad essere il pesce commercialmente più ricercato (o diciamo pure perseguitato) a livello globale, fulcro di un giro d’affari miliardario e purtroppo spesso illegale. Conseguentemente, ciò ha portato a situazioni di overfishing che in passato hanno rischiato di portarlo ai limiti dell’estinzione (nel 1996 la popolazione mondiale era crollata dell’85{2e3577d2bd6aebaa150c85c33fcd353783f1aa6c690283591e00ef60b3336fc8}).

Una situazione che, grazie all’azione protezionistica dell’ICCAT (International Commission for the Conservation of Atlantic Tuna), è stata poi recuperata tanto da essere oggi abbastanza tranquillizzante, anche se anni di sofferenza dello stock hanno causato una sensibile riduzione di taglia. Il tonno ha una capacità di crescita veramente straordinaria: a un anno dalla schiusa delle uova arriva a pesare 4-5kg; a quattro anni, a seconda delle possibilità di alimentazione, può raggiungere i 30 kg ed essere maturo per la riproduzione.

Ma la sua crescita è lungi dall’essere esaurita dato, che può vivere fino a circa 40 anni e arrivare a pesare ben oltre 600 kg (il record IGFA, per la cronaca, è di 679 kg). La taglia media dello stock mediterraneo è comunque notevolmente diminuita e oggi pescare un tonno di 100 kg nei nostri mari, patria un tempo, soprattutto in Adriatico, di veri e propri giganti, è già un gran risultato.

La forza della tradizione

Oggi i tonni vengono catturati dai pescatori professionali prevalentemente con le reti di circuizione o con i palangari, mentre sopravvivono a stento le tonnare fisse, che sono l‘emblema di un’affascinante tradizione che nei secoli scorsi in Italia è stata fonte di ricchezza. Basti pensare che, ai primi del Novecento, lungo le nostre coste erano ancora attive più di cento tonnare e che questa tecnica di pesca – impegnativa e costosa – è comunque molto antica: già Greci, Fenici e Romani avevano capito come intrappolare questo superbo gigante del mare, anche se poi furono gli arabi a perfezionare la tonnara fissa e a portarla a un disegno di base rimasto poi immutato nei secoli.

Negli ultimi decenni, il progressivo calo delle catture e gli alti costi delle reti hanno portato alla chiusura di numerosi impianti, fra cui quello di Favignana, la regina delle tonnare. Una perdita per la tradizione ma anche per l’ambiente, dato che la tonnara fissa viene considerata un sistema del tutto ecocompatibile, basandosi su un sistema di reti che cattura solo una parte del banco, dove i pesci possono sostare anche più di una settimana prima della mattanza e, occasionalmente, riprodursi. L’azione delle tonnare fisse non incide quindi sul mantenimento dello stock, anche per le basse percentuali di cattura e per la qualità del pescato, visto che si tratta esclusivamente di tonni in età di riproduzione, e quindi con un peso ampiamente superiore non solo alla taglia minima consentita per legge, ma soprattutto a quella suggerita dal buonsenso ecologico.

Ben meno ecologiche, le reti a circuizione, più note come tonnare volanti, sono capaci di catturare in una sola calata quanto una tonnara fissa può catturare in un’intera stagione di pesca, che per questi impianti dura poco più di due mesi. Ma se le volanti, oggi organizzate con sofisticatissimi sistemi di ricerca e cattura, costituiscono una forma di prelievo devastante, non vanno trascurati altri due sistemi di pesca che incidono pesantemente sullo stato della risorsa tonno rosso. Parliamo dei long-liner (palangari), lunghi a volte decine e decine di chilometri, e delle reti derivanti, le cosiddette “spadare”, virtualmente vietate dal 2002. In entrambi i casi il problema, come accade spesso, è dato dalla cattura accidentale di specie vietate o protette, fra cui cetacei e tartarughe, o di esemplari sottomisura. Senza contare, per quanto riguarda i tonni, un problema altrettanto significativo è quello della grave azione di disturbo che queste reti provocano sulle rotte migratorie dei grandi banchi.

Il tonno a tavola

Il tonno rosso è sempre stato apprezzato su tutte le tavole, sia per le sue qualità nutrizionali sia per quelle organolettiche, prestandosi anche a una grande varietà di ricette. Ciò che però ne ha fatto schizzare ai vertici il consumo, e conseguentemente il prezzo, oltre che una pesca irresponsabile, è stata la globale affermazione di sushi e sashimi, che dal Giappone ha invaso tutti i Paesi occidentali, Italia in primis. Il paradosso, tuttavia, è che mentre esportiamo in Giappone circa il 90{2e3577d2bd6aebaa150c85c33fcd353783f1aa6c690283591e00ef60b3336fc8} del tonno rosso pescato nei nostri mari, siamo fra i maggiori consumatori di tonno in scatola che, essendo nella stragrande maggioranza dei casi tonno pinne gialle (Thunnus albacares), specie che non esiste nei nostri mari, è importato. La differenza, oltre che essere gustativa, è nel prezzo: una scatoletta di tonno pinne gialle può costare tra i 4 e i 6 euro; per una scatola di ventresca di tonno rosso si possono superare facilmente i 20 euro.

Buono, salutare e poco costoso, il tonno in scatola è apprezzatissimo nel nostro paese, tanto – come detto – da far registrare un consumo crescente che oggi si attesta individualmente su oltre 2,5 kg l’anno. È ipocalorico (159 kcal x 100 gr. nel tonno fresco), ricco di Omega 3, di proteine nobili e amminoacidi e, quando è fresco, come nel caso del sushi, contiene altri importanti nutrienti come vitamina A, selenio, magnesio.

È dunque un alimento altamente consigliato, ma è bene non eccedere nel consumo. Come tutti i predatori di vertice, il tonno accumula attraverso le sue prede elementi inquinanti, in particolare il mercurio, la cui dannosità per l’organismo è ben nota, tanto che l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) ne consiglia il consumo non più di due volte a settimana per un totale di circa 340 gr. Il tonno fresco, inoltre, può ospitare un fastidioso parassita, l’anisakis, in realtà presente a vari livelli della catena alimentare marina (alici, sgombri, sugarelli, tonni e pesci spada, ma anche totani, lasciando al vertice della classifica il pesce sciabola). L’anisakis è visibile anche a occhio nudo e può essere facilmente eliminato, tuttavia l’abbattimento (24 ore a -20°), obbligatorio per legge nei ristoranti, o ancora meglio la cottura, risolvono il problema in ogni caso.

Senza voler fare dell’esagerato allarmismo, volendo acquistare il tonno in pescheria è bene ricordare che le truffe – come vendere un pesce per un altro, o anche semplicemente renderlo più invitante – sono abbastanza comuni. Nel caso del tonno rosso, dato che la carne appena tagliata, a causa dell’ossidazione dell’emoglobina presente in grande quantità, tende a diventare scura e perciò poco attraente, sono consentiti coloranti artificiali.

Ma esistono anche metodi non autorizzati in Italia, come quello basato sul monossido di carbonio: un procedimento di per sé innocuo ma che può mascherare l’alterazione del prodotto dovuta a una lunga o cattiva conservazione, con le conseguenze facilmente intuibili.

Nella pratica più estrema si arriva all’utilizzo del succo di barbabietole rosse al fine di trasformare un comunque ottimo pinna gialla in un comunque assai più pregiato tonno rosso: procedimento innocuo ma profondamente truffaldino.

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