Necessaria fonte di vita per gli ecosistemi marini, le correnti sono state e sono sfruttate anche per la navigazione, ma la continua ricerca di fonti energetiche pulite e rinnovabili sta spingendo la ricerca verso tecnologie in grado di sfruttarle a fini energetici.

È una delle frasi chiave della scienza, però se invece di guardare in alto e frugare fra stelle e pianeti Galileo avesse indagato certi aspetti della Terra, anzi del mare, avrebbe visto che anche quell’immensa distesa blu che avvolge il pianeta – fenomeno apparentemente unico nell’universo a noi conosciuto – è in continuo movimento, anche quando la sua superficie appare immobile e tranquilla.

 

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L’incrocio delle correnti può causare a volte gorghi pericolosi, altre volte spingere una mostruosa quantità di rifiuti in zone di calma e creare vere e proprie isole di spazzatura come avviene, fra l’altro, nel Pacifico.

 

E anche se nelle occasionali bonacce, con le onde in sciopero ad oltranza,  è più difficile avvertire il respiro profondo del mare, ovvero quel fenomeno pur poco percettibile dall’esterno ma essenziale per l’ambiente marino che sono le correnti, la loro azione è costante: instancabili apportatrici di nutrienti organici,  nastri trasportatori per quella polvere di vita costituita da uova e larve delle migliaia di micro e macro organismi planctonici (e come tali privi di movimento autonomo) che popolano il mare. Le correnti sono però anche fattori di regolazione termodinamica per i principali parametri oceanografici come salinità, densità e temperatura, compito in cui causa ed effetto si fondono e si confondono con facilità.

Basterebbero queste brevi considerazioni a far capire che stiamo parlando di un fenomeno tutt’altro che semplice e riducibile in poche righe, ma soprattutto soggetto a una serie  di valutazioni scientifiche che fra calcoli, teoremi, approfondimenti termici e geofisici e via dicendo, il tutto espresso con una terminologia criptica non sempre comprensibile, farebbe voltare immediatamente pagina a chiunque non fosse addetto ai lavori. Per questo abbiamo preferito presentare il fenomeno, che riguarda chiunque vada in mare con uno yacht, soprattutto se a vela, o con una barchetta, un kayak, un pedalò o anche con una ciambella, in modo più pratico e leggero.

Del resto, tralasciando gli aspetti scientifici, le correnti hanno riguardato e riguardano la nostra vita molto più di quanto immaginiamo, influendo sul clima, sulla navigazione e, soprattutto, sulla vita marina. Ma che cosa sono e come nascono le correnti? Può essere utile ricordare, in due parole,  che esistono  correnti generate dal vento, altre causate dal riequilibrio di strati d’acqua a diversa densità o  temperatura, altre ancora dovute alle maree, ai venti, alle foci dei grandi fiumi e via dicendo, considerando che nella maggior parte dei casi alcuni di questi fattori interagiscono fra di loro creando fenomeni variabili per forza e periodicità. In altre parole, le correnti nascono da uno squilibrio di fattori fisici e servono a riequilibrare il dinamismo del mare.

 

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Una vista satellitare dello Stretto di Gibilterra, unica porta di scambio fra le acque dell’Atlantico e quelle del Mediterraneo.

 

L’importanza delle correnti

Un pizzico di retrospettiva storica è d’obbligo, perché ben prima che Galileo avesse fatto la sua scoperta, e mal gliene incolse, già gli antichi Greci avevano intuito l’esistenza, l’essenza e la periodicità delle correnti. E se per secoli ci si accontentò di questo, poi si imparò a sfruttarle meglio per la navigazione, anche se una vera conoscenza scientifica del fenomeno e, soprattutto, dei suoi effetti sull’interazione fra clima e oceano, avvenne solo pochi decenni fa.

In realtà, se gli antichi Greci e gli stessi Romani avevano intuito il fenomeno delle correnti e probabilmente avevano imparato a servirsene durante le loro navigazioni prevalentemente mediterranee, il grande salto sul loro sfruttamento avvenne solo nel periodo rinascimentale, che include quella scoperta dell’America dalla quale Colombo difficilmente sarebbe tornato a casa senza l’aiuto fondamentale della Corrente del Golfo, che gli facilitò il rientro nel vecchio continente.

 

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La circolazione in senso antiorario della corrente d’ingressione atlantica è seguita da molti pesci migratori, tonni rossi in primis.

Poi, con l’avvento delle grandi navigazioni oceaniche a vela, mosse dai più spudorati interessi commerciali, le correnti divennero fondamentali per tracciare rotte rapide e sicure. I navigatori portoghesi, ad esempio, Vasco de Gama e Bartolomeo Diaz in primis, sfruttavano la corrente di Agulhas doppiando il Capo di Buona Speranza per poi sfruttare la corrente verso Est abbreviando notevolmente il percorso per le Indie e risparmiando così  tempo e risorse. E se quella via delle spezie attraversava l’Oceano Indiano, altre rotte furono presto tracciate in Atlantico sfruttando le correnti e favorendo, nel bene e nel male, l’esplorazione del Nuovo Continente. Per altro, ancora oggi chi è impegnato in lunghe navigazioni oceaniche cerca nei limiti del possibile di sfruttare questa risorsa.

Le grandi correnti oceaniche, però, non aiutano solo la navigazione e, da sempre, sono alla base delle grandi migrazioni di molte specie marine. È ad esempio il caso delle anguille, che dai fiumi e laghi europei per riprodursi raggiungono con un viaggio di 6.000 chilometri il Mar dei Sargassi, per poi rilasciare e fecondare qualcosa come 5-6 milioni di uova prima di passare a miglior vita. Meno triste il viaggio atlantico dei tonni rossi, sempre sul filo delle correnti, che dalle sponde americane raggiungono il Mediterraneo per riprodursi e poi decidere, tonnare permettendo, di restare nel nostro mare o preferibilmente riguadagnare l’Atlantico

 

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A volte nella più antica navigazione mediterranea non era possibile contrastare le correnti, e molti relitti ne sono ancora oggi testimonianza.

 

Un mare chiuso

Il Mediterraneo è un mare del tutto particolare, non solo per essere in pratica – nonostante la sua superficie di 2,51 milioni di kmq – più un grande lago che un vero e proprio mare, ma anche per avere una sua propria caratteristica dei fenomeni oceanografici. Le maree, ad esempio, da noi sono molto limitate se si calcola che i punti di maggior escursione, l’alto Adriatico e il golfo di Gabès, in Tunisia, superano di poco i due metri. Là dove, tanto per dire, a Mont Saint-Michel, in Normandia, la marea arriva a superare i 14 metri trasformando in isola l’omonima abbazia.

Per quanto riguarda più strettamente le correnti, proprio per le sue peculiarità il Mediterraneo non è soggetto a forti fenomeni, se si eccettuano due casi particolari come quelli degli stretti di Gibilterra e di Messina. Occorre ricordare che il Mediterraneo comunica con l’oceano solo attraverso lo Stretto di Gibilterra (non considerando per ovvie ragioni Suez), unico canale di scambio fra le acque oceaniche e quelle ben più salate del Mare Nostrum, frutto della sua forte evaporazione. Queste ultime, in quanto più salate e dense, scorrono sotto quelle oceaniche e, se consideriamo che la soglia di Gibilterra supera di poco i 300 metri di profondità, è facile immaginare quale forza possa avere la corrente che attraversa lo Stretto, che in media si aggira sui 3-4 nodi, ma può essere anche più violenta.

 

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Il Great Garbage Patch, un’immensa distesa di rifiuti che galleggia in mezzo al Pacifico formando una vera e propria isola, è frutto di un particolare giro di correnti.

 

Attraverso Gibilterra, tuttavia, entra anche la cosiddetta “corrente d’ingressione atlantica” che, salvo una deviazione verso il bacino occidentale, più o meno all’altezza del Canale di Sardegna, scorre in senso antiorario lungo tutto il perimetro del Mediterraneo. L’importanza di questa corrente è notevole per vari motivi, ma uno su tutti dal punto di visto biologico è quello che lungo questo fiume marino si muovono i grandi banchi di tonni che entrano per riprodursi. Queste migrazioni, già intuite da Aristotele, hanno dato vita nei secoli allo sviluppo delle tonnare fisse, un’attività che sulle nostre coste divenne nei secoli scorsi una delle voci più importanti dei vari bilanci regionali, andando anche a sostenere un’importante industria conserviera.

Fra le tante funzioni delle correnti, da un punto di vista biologico, va poi considerata la loro funzione nel trasporto del plancton, che va ad alimentare organismi sessili come ad esempio le gorgonie e i coralli, ma anche quale mezzo di diffusione di uova pelagiche, larve, o forme con scarsa possibilità di nuoto come nel caso delle meduse, collaborando a creare nuove nicchie ecologiche e nuove popolazioni territoriali.

 

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Le correnti possono avere anche un aspetto positivo e sono da anni allo studio vari sistemi per sfruttarne il grande potenziale energetico.

 

Correnti pericolose

In Mediterraneo, come detto, le correnti sono sempre piuttosto deboli, ma anche in questo caso possiamo renderci direttamente conto della loro potenza quando magari dobbiamo affrontarle in acqua nuotandoci contro, fermo restando che in certi casi possono anche diventare un pericolo, soprattutto per nuotatori poco atletici. Non dobbiamo infatti pensare unicamente alle grandi correnti oceaniche, perché correnti di notevole intensità possono crearsi anche nel sottocosta, come ad esempio le cosiddette “rip current”, o correnti di ritorno.

Questi potenti flussi d’acqua che vanno dalla spiaggia verso il largo si formano come causa secondaria del vento e del movimento ondoso che spingono una massa d’acqua verso riva, acqua che deve necessariamente riguadagnare il largo, cosa che fa prima formando deboli correnti che corrono parallele a riva, poi creando dall’incontro di queste correnti un flusso ben più dinamico e non facilmente contrastabile che spinge verso il largo fino a superare i frangenti e quindi perdere di intensità. Anche se sembra essere un fenomeno di poco conto, sarà bene ricordare che fra il 2016 e il 2021, ultimi dati disponibili, le correnti di ritorno hanno causato nei nostri mari 298 annegamenti. A livello di pericoli del mare, tanto per dare un termine di paragone, nel nostro mare gli squali hanno causato negli ultimi trentacinque anni una sola vittima.

 

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Le pass oceaniche sono un esempio di potenza delle correnti che i subacquei possono sperimentare di persona.

 

Chi, invece di navigare o di nuotare in superficie, il mare preferisce vederlo da sotto, può avere un’esperienza ben più diretta della potenza delle correnti. I subacquei che si avventurano negli atolli tropicali, ad esempio, possono vivere un’esperienza che magari presenta qualche rischio, ma in fondo è anche divertente. Gli atolli, giova ricordare, non sono mai perfetti anelli di corallo, ma hanno sempre una via di comunicazione con l’oceano, le cosiddette “pass”. È qui che le grandi masse d’acqua che entrano nell’atollo devono poi in qualche modo uscirne: un fenomeno che, a seconda delle fasi della giornata, può essere di estrema intensità, soprattutto in fase di entrata.

E, dato che spesso le immersioni si fanno al di fuori delle pass per godere del gran passaggio dei pelagici, può capitare di essere catturati dalla corrente e proiettati verso l’interno con una forza alla quale non c’è pinneggiata energica che possa resistere. In pratica, è come correre su un treno sorvolando splendidi fondali ed è sempre consigliabile evitare un’inutile contrasto con la corrente, essendo molto meglio lasciarsi  andare godendo l’insolita esperienza fino a raggiungere la calma all’interno dell’atollo, per poi emergere confidando che la barca d’appoggio ci noti e venga a riprenderci.

 

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Aspetto positivo delle correnti: portano nutrimento per gorgonie e coralli

Nel male… e nel bene

Dunque, le correnti hanno un forte influsso sui movimenti della fauna marina e, di conseguenza, sulla pesca, sia quella sportiva sia quella professionale. Ma mentre la pesca amatoriale persegue la cattura di pochi singoli esemplari, quella professionale deve, per forza di cose, soprattutto in oceano, confrontarsi con i grandi banchi di pesce. Una situazione a cui i recenti cambiamenti climatici stanno creando non pochi problemi, perché il variare delle temperature e la conseguente modifica del sistema di correnti modifica anche le abitudini della fauna ittica, costringendo i pescatori a una continua attività di ricerca, mettendoli spesso in crisi.

Paradossalmente, la forza delle correnti può  essere evidenziata anche dalla loro assenza…o quasi. Nel senso che, come un vero e proprio fiume, possono trasportare  con il loro movimento una quantità di materiale inerte, come ad esempio i rifiuti galleggianti, che in mare sono per lo più a  base di  residui organici e plastica, inclusi quindi spezzoni di reti e attrezzi da pesca. Quando questi rifiuti fuoriescono dal flusso della corrente e vengono convogliati in particolari aree statiche, finiscono per aggregarsi in zone di apparente tranquillità dove formano delle vere e proprie isole galleggianti, a volte di dimensioni impensabili.

 

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Aspetto negativo delle correnti: incanalare in costa centinaia se non migliaia di meduse.

 

Queste cosiddette “garbage patch”, note fin dagli anni ’80, sono sparse un po’ in tutti gli oceani e raggiungono la loro massima quanto nefasta espressione nella “Great Pacific Garbage Patch”, la più grande al mondo, che misura circa 1.600.000 kmq, ovvero circa tre volte la superficie della Francia. Questo incredibile ammasso di rifiuti, in costante evoluzione e ben visibile anche nelle immagini dei satelliti, è situato più o meno fra la California e l’arcipelago delle Hawaii e, poiché la vita non finirà mai di stupirci, poco alla volta ha finito per creare una sorta di proprio ecosistema.

Un altro aspetto da tener presente, in quanto siamo abituati a considerare le correnti unicamente in senso orizzontale, quando ostacolano l’andatura della nostra barca o quella del nostro nuoto, è ricordare che esistono – e sono tutt’altro che trascurabili – anche le correnti verticali, dovute alle variazioni di temperatura e densità dell’acqua.

Correnti che risultano di fondamentale importanza per la risalita del plancton e di quegli elementi organici vitali per tutta la catena trofica marina. Il fenomeno, conosciuto come “upwelling”, è più presente in alcune regioni degli oceani e un caso tipico si verifica lungo le coste del Cile e del Perù, ben note per l’eccezionale ricchezza di pesce, o quelle dei Banchi di Terranova, nell’Atlantico nord-orientale.

Da non dimenticare, infine, che la potenza cinetica delle correnti, incluse quelle di marea,  può essere sfruttata come fonte di energia, né più né meno di come accade grazie al vento per le pale eoliche, e magari con un minor impatto ambientale. È un campo in cui le tecnologie non sono ancora adeguatamene sviluppate ma qualcosa si è fatto utilizzando sia delle turbine ad asse verticale o orizzontale, sia delle vere e proprie mongolfiere sottomarine, in pratica degli enormi palloni ancorati su profondità oscillanti fra i 20 e i 100 metri, che quindi non ostacolano minimamente la navigazione di superficie.

Il flusso della corrente genera il moto ondulatorio del pallone producendo energia meccanica che un generatore trasforma poi in energia elettrica. Questa tecnologia, già operativa in Portogallo, è del tutto green, nel senso che non produce alcun tipo di inquinamento ed è del tutto rinnovabile.

Ma vale la pena ricordare che lo sfruttamento delle correnti marine tramite turbine è già alla base di una ricerca sviluppata dall’ENEA per utilizzare i potenti flussi che si generano nello Stretto di Messina, dove si è calcolato che la produzione energetica potrebbe raggiungere i 125 GWh, ovvero quanto basterebbe a soddisfare il fabbisogno energetico di città come Reggio Calabria o Messina. E che fra i Paesi europei l’Italia sia all’avanguardia nella ricerca dell’energia prodotta dal mare, non può che farci piacere.