a cura di Lydia Gaziano Scargiali

Quella del piccolo scalo alle porte di Palermo è una storia emblematica delle vicende attraversate dai porti siciliani.

Una realtà ancora attiva fino ai primi del Novecento, cominciò la sua decadenza quando l’attività di pesca principale, quella del tonno, fu abbandonata e, ancor di più successivamente, in conseguenza delle rovine apportate alla fascia costiera dai bombardamenti della seconda guerra mondiale. Nel primo decennio di questo secolo la città di Palermo visse finalmente un periodo di risveglio. Furono portate a termine tante opere, sia nel porto sia nel waterfront, con la rinascita della cala, diventata passeggiata fruibile, luogo di incontro e di relax.

Ma, per quanto riguardava la ristrutturazione e la riqualificazione delle aree adiacenti la zona portuale, si scontravano due concezioni differenti, una più interessata alla conservazione dell’esistente, un’altra, invece, che guardava soprattutto alle necessità di una nuova economia, interconnessa con le altre realtà nel frattempo sviluppatesi nel mondo. Problematiche non dissimili, del resto, da quelle di molte città italiane.

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A questi contrasti si aggiunse, poi, la posizione di alcune associazioni ambientaliste che non avrebbero voluto alcun tipo di trasformazione, ma solo la pulizia dei luoghi e la creazione di verde. Ciò, però, si scontrava con la volontà di chi, invece, voleva fare di Palermo una città moderna e competitiva anche dal punto di vista economico. Che delle ragioni valide ci fossero pure da parte degli ambientalisti non c’è dubbio, ma emerse fin da subito la mancanza di concretezza di certe posizioni. Ormai da tempo, infatti, si guarda allo sviluppo sostenibile. Si tende, cioè, a superare il vecchio conflitto tra crescita e salvaguardia dell’ambiente, per ricercare soluzioni che possano renderle entrambe conciliabili.

Da tante parti giungono oggi consensi sull’operato dell’attuale presidente dell’Autorità portuale di Palermo, Pasqualino Monti, autore di un importante lavoro di ristrutturazione e riqualificazione dell’area portuale cittadina, ma non va neppure negato il giusto merito a chi quest’opera l’aveva iniziata, tra tante difficoltà, nel primo decennio di questo secolo, cioè a Nino Bevilacqua, che aveva ricoperto la stessa carica oggi di Monti, dando degna sistemazione alla cala e a gran parte del waterfront palermitano, dopo decenni di totale abbandono. A quell’epoca, infatti, alla città, mancava ancora il Piano Regolatore Portuale.
Finalmente, però, nel 2018, dopo un lungo iter durato dieci anni, il PRP (Piano Regolatore Portuale) di Palermo fu approvato. Non nascose il suo entusiasmo, in quella occasione, il professor Maurizio Carta, docente di Architettura e Urbanistica all’Università di Palermo, presidente della Scuola Politecnica, che tanto aveva contribuito alla sua stesura.

Tornando al porto di Sant’Erasmo, un primo progetto ne prevedeva un bacino più ampio e una diga di sopraflutto di maggiori dimensioni. Ciò avrebbe consentito l’ormeggio di numerosi yacht, quindi l’utilizzo dello scalo anche da parte dei turisti nautici.

Poi, inspiegabilmente, se ne approvò, invece, un altro che, se aveva l’indubbio merito di riconsegnare finalmente ai cittadini un luogo pulito e fruibile, con annessi locali e ristoranti, ne ignorava però l’originaria funzione di approdo turistico, che sarebbe quella di accogliere turisti e diportisti che arrivano dal mare.

Così, allo stato attuale, la struttura può accogliere solo imbarcazioni con basso pescaggio, tutt’al più gommoni, e non dispone di alcun tipo di gestione, né di servizi per la nautica, quali colonnine elettriche o acqua in banchina. Rinasce, comunque, il porto di Sant’Erasmo, ma senza le finalità cui sembrava destinato. In realtà, abbiamo osservato che, talvolta, con condizioni atmosferiche favorevoli, qualche diportista riesce a raggiungere il porticciolo per una breve sosta, per mezzo di un tender.

Inaugurato una prima volta il 10 ottobre del 2019, lo scalo ha avuto però finora, tra primo e secondo intervento, già un costo di circa 7 milioni di euro, senza neppure raggiungere lo scopo per cui doveva nascere, cioè l’ormeggio di yacht di medie dimensioni. Dopo il primo intervento, di 2,8 milioni di euro, che non aveva previsto né opere di protezione dai flutti né di dragaggio, appena pochi mesi dopo, alla prima mareggiata, i marmi collocati sulla banchina e i tombini posti davanti all’edificio di Padre Messina furono gravemente danneggiati. Il verde, poi, fu totalmente distrutto.

Si passò, quindi, all’approvazione di un secondo intervento che, secondo quanto riportato dall’Ansa, fu aggiudicato dall’impresa Zeta di Chioggia per un importo di 3.721.659 euro. Tale progetto riprendeva, in parte, l’idea iniziale del primo, che era stato accantonato. Prevedeva, infatti, nuovamente, la costruzione di un’ampia diga antemurale, nonché di una diga di sottoflutto, entrambe finalizzate alla protezione dai fenomeni atmosferici avversi e come argine ai detriti provenienti dal vicino fiume Oreto. Queste risultano, effettivamente, al momento, le opere completate.