La «brazzera» è stata l’imbarcazione più diffusa lungo le coste dell’alto Adriatico, della Dalmazia, fino a scendere in Grecia dove è tuttora nota per la sua particolare attrezzatura con vela al terzo, denominata dai greci per l’appunto «a bratzera». Nelle sue forme rigonfie essa ricorda il più noto «trabaccolo», ma era più piccola nelle dimensioni e risultava quindi particolarmente adatta per i collegamenti tra le coste e le innumerevoli isole dalmate e del Quarnaro.

In Istria e Dalmazia, ancora oggi ne esistono alcuni esemplari naviganti, per lo più impiegati come motobarca da pesca o per il trasporto della sabbia, ma ormai tutti privi di vele. Solo una brazzera, completa della tradizionale attrezzatura velica, è ancora presente nel porto di Trieste: si tratta dell'”Antal”, ormeggiata presso il locale Yacht Club Adriaco. È la barca di Ovidio Schiattino, professore in pensione ma da sempre tutt’uno con quest’imbarcazione, alla quale quotidianamente dedica il suo tempo. Il nome dato alla barca deriva dall’unione delle prime lettere dei nomi delle sue due figlie, Antonella ed Alessandra, ed anche l’«Antal» è quindi una sua creatura. Ovidio Schiattino è originario di Zara, in Dalmazia, figlio di uomini di mare di antiche origini, discendente della nobile famiglia Boghlich di Perasto i cui avi si coprirono di gloria durante il lungo assedio di Candia nel XVII secolo, mentre il padre Mario, già ufficiale della Marina austro- ungarica e poi di quella italiana, cessate le ostilità, si occupò dello sminamento dell’Adriatico.

Dopo gli eventi bellici della seconda guerra mondiale, Ovidio si trasferì a Trieste dove si dedicò, oltre che all’insegnamento, anche all’allenamento dei giovani nuotatori della Triestina e dell’Edera, giungendo fino alla nazionale al seguito di atleti che lui stesso aveva “costruito”, quali la Cecchi, la Passagnali e Spanghero. Per un dalmato il legame con l’acqua, ma in particolare con il mare, è indissolubile, tanto che in Ovidio Schiattino sorse il desiderio di poter vivere il mare proprio con una barca tradizionale a lui ben nota: la «brazzera». Nel 1962 decise, quindi, di farsi costruire l’imbarcazione desiderata in un piccolo cantiere sull’isola di Morter, tra Zara e Sebenico, dove operava ancora un maestro d’ascia che conosceva le antiche metodologie costruttive e certamente non aveva bisogno di un piano di costruzione per realizzarla secondo le sue esigenze. La brazzera doveva servire da diporto per il professore e la famiglia, per poter navigare in quelle acque per le quali era stata forgiata in secoli di navigazione pratica, dal momento che gli animi si erano riappacificati ed il confine era divenuto uno dei più aperti al turismo, cosa che ora purtroppo fortemente rimpiangiamo.

Ovidio Schiattino ordinò, quindi, uno scafo dalmato dei più classici nelle linee, ma di dimensioni un pò ridotte: doveva offrire una buona abitabilità nella cabina centrale, da ricavarsi in quella che abitualmente era la stiva di carico dell’imbarcazione tradizionale. Nessun sacrificio o compromesso doveva deturpare la tradizionalità delle forme e dell’armamento velico, in modo da non andare a discapito della buona condotta della barca in mare. Si accordò con il maestro d’ascia Miro Markov, di Hramina, nell’isola di Morter, per la realizzazione di una classica brazzera dalmata di circa 9 metri di lunghezza e 3 metri di larghezza, con una stazza di circa 6 tonnellate. Grazie al puntale di 1 metro dello scafo, nella stiva vennero ricavate le cabine e nella parte centrale la grande cabina e sala con il tavolo centrale per potersi ritrovare con familiari ed amici e pranzare. Il grande boccaporto centrale, che anticamente serviva per il carico, venne utilizzato per ricavare una grande tuga, senza per questo dover modificare il ponte, ma in modo da offrire sotto coperta l’abitabilità richiesta. Il bel ponte orizzontale, ben stabile sotto i piedi, lasciava ampio spazio per manovrare la vela e offriva grande comodità per i passeggeri.

La brazzera venne felicemente varata il 20 luglio 1966 e per la sua realizzazione furono impiegati dodici metri cubi del miglior rovere di slavonia; dopo il collaudo in mare e le prove a vela, ben 84 metri quadri di superficie, l’imbarcazione venne subito impiegata per una lunga crociera estiva. Lo scafo, ampio e comodo, garantiva una collaudata tenuta del mare e, seppure non in grado di esprimere un’alta velocità di crociera se non al «gran lasco», consentiva di raggiungere ogni approdo naturale e di superare i bassi fondali, dato il minimo pescaggio ed il timone sollevabile.

Le lunghe crociere si sono annualmente ripetute ed ormai l’«Antal» è una barca nota a tutti gli uomini di mare dell’Adriatico; ma è diventata celebre anche perché è stata più volte impiegata, opportunamente mascherata, per girare diverse belle riprese in mare in vari films, come Ernesto e La coscienza di Zeno. Proprio durante il trasferimento via terra per le ultime riprese in Canal Grande del film tratto dal famoso romanzo di Italo Svevo, i triestini hanno potuto ammirare questo scafo sospeso in aria da una gru, quando per alcune ore bloccò il traffico cittadino suscitando molta curiosità e finendo nella cronaca de “Il Piccolo”, il giornale della città.

Con l’«Antal» Ovidio Schiattino ha effettuato, in questi anni, innumerevoli crociere lungo le coste della Dalmazia e tra le sue 861 isole, ormeggiando sempre in nascoste e sicure insenature a lui ben note. Egli, soprannominato anche «Barbantal», è uno degli ultimi «lupi di mare» in grado di manovrare con la tradizionale vela al terzo, ormai totalmente soppiantata dalla vela Marconi. Schiattino racconta volentieri di come, in un giorno di forte vento, molte persone fossero accorse a vedere la sua entrata in rada a tutta vela, fino all’ormeggio alla banchina di Umago, e come venne accolto tra gli applausi ed i complimenti per la manovra; ma egli, dopo una spontanea imprecazione, semplicemente ringraziò ed offrì da bere per lo scampato pericolo, dicendo che qualche volta con la forza della disperazione si fanno cose impossibili, perché sicuramente con quel vento non avrebbe potuto mollare la barra del timone per ridurre la vela!

L’«Antal» è stata premiata molte volte come la più bella tra le «barche classiche in legno» che partecipano alla speciale regata per barche di questo tipo, che affianca la «Coppa d’Autunno» di Trieste, ormai nota a tutti come «Barcolana», e che vede la partecipazione di quasi un migliaio d’imbarcazioni a vela provenienti da tutto l’Adriatico.

Notizie storiche ed impiego

Gli studiosi fanno risalire le origini di questo natante al XVI secolo, mentre la zona di provenienza si può circoscrivere alle isole della Dalmazia. La brazzera era prevalentemente utilizzata per il piccolo cabotaggio, più raramente per la pesca, in particolare per quella delle spugne da bagno della Dalmazia; data la solidità di costruzione ed il buon comportamento in mare, ha anche trovato impiego nelle marine militari, veneta ed austriaca, sia per il trasporto di materiale bellico, sia come cannoniera.Etimologia
Un’ipotesi sull’origine del nome deriva dall’utilizzo quale barca per rematori: brazzèra, brasèra, brasira, bracijera, bracèra, in quanto poteva avanzare a forza di braccia, quindi da braccio, brasso, braso o brazo, a seconda delle diverse località. L’altra ipotesi invece è che tali termini possano derivare dal nome dell’isola di Brazza, o Brac, quale luogo di origine.

Caratteristiche
Il suo scafo, solitamente pontato, era ben carenato, con un alto bordo libero; la prua era alta e rotonda, mentre un ampio boccaporto di carico era ricavato dietro l’albero e il robusto timone scendeva oltre la chiglia. Poteva procedere sia a vela che a remi, con la caratteristica voga in piedi alla veneziana; per questo aveva due o tre forcole per parte, con alloggiamenti diversi nelle murate, per spostarle a seconda delle necessità. Raggiungeva lunghezze variabili tra i 9 ed i 15 metri, mantenendo il caratteristico rapporto lunghezza/larghezza pari a circa 3 (tipico delle navi romane) e aveva da 8 fino a 25 tonnellate di stazza; l’equipaggio era normalmente composto da quattro a sei uomini. Si presentava in forme leggermente diverse, ma soprattutto con l’armamento velico che differiva a seconda delle località di provenienza.

Tipologie diverse
La brazzera veneta, diffusa in alto Adriatico, era quella di dimensioni maggiori e dalle forme più piene e rotonde; sempre pontata, aveva un albero, spostato verso prua, armato con una vela al terzo, ed un lungo bompresso mobile munito di polaccone. Sui masconi di prua portava i classici oculi, come sui trabaccoli.

Le brazzere dalmate erano simili e con la stessa attrezzatura velica; lo scafo era però più stellato e filante, con un’asta di prua molto alta e più diritta.

La brazzera istriana si distingueva dalle altre per l’armamento velico, per le linee filanti dello scafo e lo slancio in avanti della prua; era anche nota come brazzera di Pirano, dato che da qui aveva avuto origine, per poi diffondersi da Trieste a Pola. Aveva due o tre alberi, a seconda delle dimensioni dello scafo: il primo era subito dietro l’asta di prua, mentre il secondo era a circa un terzo dello scafo, verso prua, ed entrambi erano attrezzati con vela latina. Se il centro velico risultava spostato in avanti allora si poneva a poppa, su di un alberetto, una piccola vela (latina o al terzo) per dare forza al timone.

La brazzera di Capodistria, armata con una grande vela latina e un bompresso mobile con polaccone, era caratterizzata da uno scafo molto capace, dalla prua alta, con l’asta prolungata ed intagliata, per la mura dell’antenna della vela. Era molto usata per il trasporto del sale.