Alle origini della biologia oceanica, il Re e il Mare di Nautica Editrice il 5 Lug 2016 L’opera di Dom Carlos può essere considerata una vera pietra miliare nello studio della vita del mare. Molto di quanto egli fece lo apprendiamo da un suo collaboratore ed amico, certo Alberto Girard, che spessissimo lo accompagnò in giro per i mari, durante le numerose campagne oceanografiche che furono quasi tutte condotte a bordo dello yacht « Dona Amelia» (lo yacht portava il nome della regina, Dona Amelia di Savoia). È risaputo che tre furono le passioni del buon Dom Carlos: il mare (e la natura in genere), la pittura e … le belle donne. Riguardo a quest’ultima, che forse è ancora più nota delle prime due, in Portogallo ancor oggi si dice scherzosamente che tutti i portoghesi con gli occhi azzurri sono figli di Dom Carlos. Struttura corporea massiccia, alto e con barba fluente, questo originale sovrano preferì durante la sua esistenza molto più il ponte della sua nave oceanografica che le sale di corte. Aveva, infatti, l’abitudine di lasciare gli affari di stato ai suoi ministri, per poter vivere e studiare il mare. Ma che cosa si sapeva, dunque, della vita del pianeta acquatico verso la fine del 1800? In realtà, la biologia marina, in quell’epoca, non aveva conquistato grosse mete. Ad esempio, si era convinti che la vita sottomarina terminasse inequivocabilmente oltre i 500 metri di profondità, a causa dell’enorme pressione dell’acqua e dell’oscurità. Ed infatti, l’oceanografo Forbes, uno dei precursori della moderna ecologia, aveva stabilito, in seguito ad una serie di ricerche, che la distribuzione degli animali marini interessava quattro fasce batimetriche, e che già oltre i 100 metri di fondo il regno animale presentava pochissimi esemplari reperibili, fino e non oltre i 500 metri. Un episodio storico, che comunque riuscì a sconfessare questa teoria, fu la rottura del cavo telegrafico che univa la Sardegna all’Algeria, nel 1860. Il cavo fu recuperato per essere sostituito e alla sua estremità, che risaliva da ben 2000 metri di profondità, furono trovate diverse specie di lamellibranchi e coralli, che fino a quel momento erano conosciuti solo come fossili. Si intensificarono così gli studi sulla fauna e sulla flora abissali, ed in particolare al largo delle coste portoghesi, poiché già poche miglia al largo era possibile trovare plateau di varia natura morfologica a grandi profondità. Fu anche osservato che i pescatori di Setubal e di Sesimbra, che calavano i loro attrezzi nelle acque di Cabo Espichel, salpavano a bordo pesci, molluschi e crostacei da quote che secondo le teorie di Forbes dovevano costituire fasce d’acqua praticamente abiotiche. Fu nelle reti di fondo dei pescatori di Setubal che lo scienziato Barbosa de Bocage trovò alcuni esemplari di una spugna abissale che fu battezzata Hyalonema lusitanica e che apparteneva ad una specie che fino ad allora era conosciuta solo nel Mare del Giappone (Mare dell’Est). Sulle tracce di Barbosa de Bocage si mosse un altro grande oceanografo del tempo, Sir Perceval Wright, professore di scienze a Dublino, che armò una barca da pesca con gli attrezzi necessari, con l’intento di studiare ancora più a fondo l’habitat della Hyalonema lusitanica; ma, durante la raccolta in profondità, tirò a galla, con grande sorpresa, un pesce dell’ordine dei selaci, il Centroscymnus Ceololepis. Bocage riferisce, nei suoi scritti, che anche lo studioso ittiologo Kent, funzionario del Museo Britannico, si mosse per esplorare dalla superficie, con apparecchi, sonde e attrezzi di raccolta, lo stesso specchio d’acqua, servendosi di una nave molto ben attrezzata per queste ricerche, la «Challenger», che poi si spinse in tutte le acque del mondo, dal 1872 al 1876. Nel 1873 la «Challenger» entrò nel Tejo, il fiume di Lisbona, dove gettò le ancore. Al suo fianco si trovava « Hirondelle», acquistata dal Principe di Monaco, che desiderava effettuare anch’egli studi di biologia marina. L’intensa e appassionante ricerca scientifica del principe Albert, contribuì molto a stimolare ancor più l’interesse di Dom Carlos de Braganí a negli studi del mare e della sua fauna. Fra i due sovrani si intessé una assidua corrispondenza di carattere scientifico, con scambio di idee su metodi di raccolta e di sondaggio del fondo marino. Ancora Alberto Girard ci mette al corrente di una lettera in particolare, datata 14 ottobre 1896, in cui il principe di Monaco invia al sovrano portoghese dei suoi appunti su nuovi apparecchi di raccolta abissale che ha avuto modo di sperimentare a bordo della nave «Princesse Alice». In quello stesso anno Dom Carlos inizia le sue campagne oceanografiche. Si servirà dello yacht «Dona Amelia», un bel legno tre alberi di 33 metri di lunghezza f.t. e 147 tonnellate, equipaggiato con vele e macchine a vapore. Dom Carlos si interessò in prima persona di far allestire a bordo una valida attrezzatura per la raccolta dei campioni biologici sul fondo del mare. Sappiamo che dal «Dona Amelia» era possibile fare sondaggi fino a 1500 metri e dragaggi fino a 600 metri. Così riferisce Alberto Girard in una suggestiva cronaca che descrive l’approntamento della nave oceanografica: “… La installazione di tutte le apparecchiature presentò grandi difficoltà, dovute al poco spazio disponibile, che impedì di attrezzare a bordo un laboratorio completo, come in origine era negli intenti di Dom Carlos, per la preparazione, la conservazione e lo studio degli esemplari raccolti”. Si decise, quindi, per risolvere il problema, di costruire nella piccola città di Cascais (sulla costa a Nord di Lisbona), un laboratorio debitamente attrezzato, con acqua di mare corrente, vasche e acquari. La campagna oceanografica del 1896 permise di incominciare a stilare una sorta di classificazione e di “inventario” delle specie viventi nel mare di Cascais sui fondali di sedimento e di roccia. Il «Dona Amelia» si spinse poi a Sud, verso le acque di Cabo Espichel, nella foce del Sado e del Tejo, nell’arcipelago delle Berlengas prospiciente il paese di Peniche. Furono raccolti campioni biologici di profondità e particolare attenzione Dom Carlos prestò ai pesci, che riuscì a catturare con una sorta di nasse e draghe di fondo che egli stesso disegnò e realizzò. Anche in questo l’apporto di Dom Carlos alla scienza oceanografica di quel tempo fu essenziale. Gli attrezzi e gli apparecchi che venivano impiegati, infatti, dal 1854 non erano stati molto migliorati, ad eccezione di alcune piccole cose ideate da Brooke e Maury. Un grande passo tecnologico era stato invece compiuto nel 1874 da Negretti e Zembra, che avevano inventato i termometri ad inversione, grazie ai quali diventava possibile determinare con esattezza la temperatura dell’acqua alle diverse profondità. A bordo del «Dona Amelia», Dom Carlos portò il suo animo di scienziato e quello dell’artista. Fu, infatti, un abile pittore e disegnatore e ciò gli permise di stilare un diario di bordo unico nel suo genere e del quale ci viene concessa l’opportunità di riprodurre qualcosa. Dom Carlos, dunque, descrisse dal punto di vista scientifico le varie specie di pesci che i suoi strumenti di raccolta portavano sul ponte del «Dona Amelia» e contemporaneamente ne rappresentò forme e colori. Era abilissimo nell’acquarello, anche se spesso si dedicava alla pittura ad olio. Nel famoso libro di bordo della campagna oceanografica del 1897, che fortunatamente ci è capitato fra le mani, egli dipinse anche alcune scene tratte dalla vita di bordo, che descriveva poi abilmente mostrando abilità e bravura di vero romanziere. Ma come fu Dom Carlos marinaio? È ancora Alberto Girard a parlarcene, il suo fidato amico e collaboratore. Ci racconta che Dom Carlos a bordo non era il re Dom Carlos, ma lo studioso Dom Carlos che abbandonava i suoi modi da sovrano per essere il più affezionato compagno dei marinai. Mangiava alla loro tavola, con loro fumava il sigaro e si intratteneva a lungo. Non era raro, nelle ore notturne, vederlo comparire sul ponte a dividere il periodo di guardia con la vedetta di turno. Nella sua cabina, quando non dormiva, Dom Carlos studiava, tracciava le linee di nuove rotte (si spinse fin nelle Azzorre, come il suo amico il Principe di Monaco, alla ricerca dei cefalopodi giganti e dei cetacei); descriveva sulle pagine del diario di bordo quel che il dragaggio aveva portato in superficie e di ogni pesce riproduceva forme e colori tentandone una classificazione. Oggi la cabina di Dom Carlos sul «Dona Amelia» è conservata nel Museo della Marina di Lisbona. Ma ad un re non era purtroppo consentito di navigare sempre e questo era il grande cruccio dell’originale Dom Carlos. Nei brevi periodi che trascorreva sulla terraferma, dunque, si occupava, per quanto gli era possibile, delle questioni di stato. Nei momenti di relax, invece, si “trincerava” a Sintra, la città bomboniera, in quella che veniva considerata la dimora di caccia, in realtà uno splendido castello che sembra ritagliato da un libro di favole. Spesso era accompagnato dalla leggiadra Dona Amelia, che involontariamente sembra abbia infranto più di un cuore con la sua impareggiabile bellezza, pur restando sempre fedele al consorte. Siamo stati a Sintra, al castello di re Dom Carlos. Tutto è stato lasciato intatto dall’ultima visita del sovrano: il sigaro nella ceneriera, il vino nel calice sulla sua scrivania, i pennelli a fianco della tela per metà incominciata, addirittura il letto disfatto. Il 1° febbraio 1908, il re oceanografo, fondatore di un bel museo di scienze biologico-marine tutt’ora esistente nei locali dell’acquario di Lisbona, terminò tragicamente la sua esistenza: venne ucciso in un attentato in Praí a de Comercio a Lisbona. In seguito alle sue continue assenze, chi lo sostituiva alle redini del regno aveva istituito un regime dittatoriale e lo scontento serpeggiava nel popolo. Morì con lui il suo primo figlio. Salì al trono il secondogenito Manuel, con il nome di Manuel II. Fu l’ultimo re del Portogallo. Dopo di lui s’instaurò la repubblica. Articolo di Adriano Madonna Pubblicato su Nautica prima del 1993 Questo articolo ti è piaciuto? Condividilo!