IL PENNELLO INTINTO NEL MARE

Rodolfo Claudus Rodolfo Klaudus è nato il 23 aprile 1893 a Oldenburg, vicino Vienna, ed il padre era un ufficiale dell’esercito. Non sono molte le notizie sulla sua infanzia. Importante per la sua vita è stato uno zio, l’ammiraglio Sternek della marina imperiale austro-ungarica, che può averlo influenzato in modo determinante: nel 1908 troviamo il giovanissimo Rodolfo all’Accademia navale di Pola, dove diverrà ufficiale e laureato in ingegneria navale. Gli eventi storici degli anni fino al 1918 sono drammatici. In questo tempo l’artista viaggia per il mondo, toccando i porti di India, Cina, Giappone, Egitto, e di molti paesi europei. La sua vocazione esplode quasi incontenibile come il suo amore per il mare. Dal 1918, sconvolto per la sconfitta austriaca, incerto sul domani, e forse per pura casualità, si trova a Pola, incontrandovi D’Annunzio e l’ammiraglio Notarbartolo che lo porta con sé all’Ammiragliato: inizia così un periodo di collaborazione con la Marina italiana che durerà, con momenti alterni, quasi mezzo secolo.È il momento della rivelazione artistica di Claudus (con la C iniziale) che inizia a lavorare con ritmo frenetico. Citare tutte le sue opere è un impresa impossibile. Sicuramente di questo periodo sono dodici pannelli che vanno a decorare la Sala del Consiglio dell’Ammiragliato e una serie di quadri, forse più di trenta, nei quali sono immortalate le navi più importanti della Marina italiana.

Ma anche alcune delle maggiori unità francesi e britanniche rinascono sulle tele di Claudus. 1919, un anno importante: l’artista va a Venezia, poi s’imbarca sull’«Andrea Doria» come «pittore del mare», un primo importante riconoscimento. Lo stato di turbamento vissuto per la recente sconfitta austriaca si dissolve di fronte all’aprirsi di una nuova vita. Ed è Napoli ad accoglierlo in un periodo subito successivo, dove nel suo studio si dedica a realizzare dipinti navali.

Fra le sue opere spiccano una serie di straordinarie immagini basate su avvenimenti che hanno cambiato la storia del mondo. La battaglia di Lepanto fra cristiani e saraceni, uno dei massimi scontri navali di tutti i tempi, è stata motivo di studio, di ricerca, di lavoro e di giorni e notti insonni, per dare volto ai personaggi, per ricostruire una realtà ormai lontana ma affascinante. E si entra nella leggenda anche con le tele che raffigurano l’arrivo di Colombo nelle Americhe.

Nei quadri si avverte una tensione estrema, che i piani diversi accentuano: da caravelle sbozzate e drammaticamente stanche è scesa la scialuppa con parte dell’equipaggio ed il navigatore nascosto fra gli altri; la terra è lì, in attesa. Tutta la tensione, le paure e le insicurezze traspaiono dalla scena. In una delle tele, sullo sfondo vi è un ectoplasma diafano di caravella in vela: sono le paure di Colombo di non essere giunto primo, sono i fantasmi dei fratelli Pinzon che potrebbero aver sopravanzato il grande genovese. La magia non ha limiti: sembra di essere presenti e di respirare odore di terre nuove, ma anche di umane passioni.

La sua fama comincia a crescere, e l’attività creativa è intensa, veloce, continua. Egli dipinge più quadri contemporaneamente: mentre una tela si asciuga, un’altra ne nasce, e poi un’altra ed un’altra ancora, per tornare quindi alla prima, e così via, eliminando le soste di attesa. Ma non è mai casuale o superficiale: ogni opera è stata pensata, creata con appunti, si potrebbe dire “scritta” nella sua mente e poi portata in vita.

Se l’olio è forse la tecnica preferita, è ugualmente abile con l’acquarello e la tempera. I colori sono impastati a spatola, quasi come preliminare di un tratto che non avrà mai niente di miniaturistico, di fotografico. La grande capacità di Claudus è quella di presentare le sue immagini reali tramite sfumature che si potrebbero definire approssimate, con un pennello che lavora per grosse superfici sfruttando sapientemente il colore.

Il risultato è di grande efficacia e svela l’estrema capacità di osservazione dell’autore e l’uso che egli fa della conoscenza del mondo e del mare in particolare. Nel 1935 il presidente Roosevelt lo chiama negli USA in omaggio al suo riconosciuto talento. Sono molti i suoi dipinti di questo periodo: per la Galleria Elisabettiana di Washington, realizza opere sugli aspetti navali della guerra d’indipendenza americana. Ma rimangono anche degli splendidi acquarelli di soggetti similari presso l’Accademia Navale di Annapolis.

Dal 1936 al 1940 Claudus è a La Spezia, ospite presso il Circolo di Marina, e si dedica a decorarne le sale; ugualmente adorna gli interni delle più importanti navi della squadra.

Per la seconda volta un conflitto mondiale lo mette a prova: recatosi a Taranto per chiamata della Marina, assiste allo sfacelo dell’Italia vinta, e finisce poi in prigione a Genova, fino alla fine della guerra, per non aver aderito all’Anschluss. La sua liberazione lo vede ospite della Royal Navy, e subito ricomincia a lavorare: alcuni suoi quadri sono oggi in Inghilterra. Dal 1947 al 1953 Claudus viene ospitato dall’Accademia Navale, e la sua attività ritorna frenetica.

Molte delle sue opere sono usate per farne dono a personalità: re Faruk, il presidente del Venezuela, il presidente Kennedy, il re di Danimarca, lo Scià di Persia, l’ammiraglio Varney, e molti altri. La sua pittura è “cresciuta”, non ha incertezze, prende in modo diretto e crea sensazioni in chi l’ammira. Dicono che sia celebrativo, e gli avvenimenti ritratti potrebbero anche confermarlo, ma in realtà i quadri emanano una forza complessa, sia dell’uomo che della natura, con il mare che non è mai calmo. I soggetti sono molti, vista la complessa cultura di Claudus, e vanno dall’attuale al passato e al futuribile.

Passano gli anni: in parte deluso dal comportamento della Marina verso di lui, si trasferisce nel 1956 a Gallese, in provincia di Viterbo, in una grande casa di campagna in località “I colli”, ospite di Giulio Hardouin che è il dodicesimo duca di Gallese. L’ambiente è sano, idilliaco, e il”professore” fa nuove amicizie. Per tutte, la famiglia di Antonio Severini, che diviene un suo valido punto di appoggio e di compagnia. Un vecchio mulino sul Fosso Rio Maggiore (come racconta oggi il figlio, Alfredo Severini) è il luogo da dove partono gite e si svolgono riunioni cui Claudus partecipa con entusiasmo, non esitando, lui sempre elegantissimo, a legarsi in testa un fazzoletto per combattere il caldo come vede fare ai contadini.

Dipinge, regala quadri agli amici, e alla famiglia Severini dona, fra gli altri, una ricostruzione dell’Antica locanda Severini come poteva essere agli inizi del Settecento. Nella sua produzione compaiono ora opere di soggetto diverso, bellissime ed ispirate alla Roma di sempre, come l’Acquedotto Claudio, Fontana di Trevi, Piazza di Spagna, Castel S.Angelo, e l’Antico Porto Fluviale, o scene come la trebbiatura ed i pranzi in campagna, le nature morte, i fiori di campo. E il mare? Rimane una grande passione, e la sua potente fantasia non cessa di reinventarlo sempre su tela.

Così, vive Claudus fino alla sua morte, a Roma, l’11 aprile 1964. Ha lasciato opere cui il tempo sta rendendo sempre maggiore giustizia, ma soprattutto ha lasciato la testimonianza di un amore senza fine cui la sua magica arte ha dato forma.