Sono il respiro del mare, ma per chi naviga non sono sempre una compagnia piacevole, e a volte possono anche diventare un serio problema. A formarle è il vento; ma se il vento non ci fosse, il mare, forse, sarebbe una noia mortale.

Chiunque abbia con il mare, un rapporto che vada oltre sdraio ed ombrelloni, prima o poi, più prima che poi, si troverà inevitabilmente a confronto con le onde.

grafico onde
Il moto oscillatorio delle onde è avviato dal vento. Le onde frangono quando questo movimento viene alterato.

La fisica

Il mare purtroppo, o per fortuna, non sta mai fermo, e se alcuni suoi movimenti come le correnti per quanto importanti sono poco percepibili, altri come le onde sono ciò con cui chiunque ami navigare dovrà fare i conti, e per quanto se ne dica le onde non sono mai amiche di chi naviga: sia quando la barca è alla fonda in una deliziosa baietta e magari rolla come una ballerina mettendo a repentaglio la tavola appena apparecchiata, sia quando le onde mettono alla prova le qualità della nostra carena, cosa indubbiamente più seria.

Se il solo battito d’ali di una farfalla può provocare un uragano dall’altra parte del mondo, come affermava Edward Norton Lorenz, ricercatore del MIT, non ci si deve meravigliare se un’onda può viaggiare per migliaia di chilometri attraversando l’oceano.

Di certo se il primo caso è più che altro metaforico, nel caso delle onde è molto più reale, anche se è bene ricordare che a muoversi non è di per sé stessa l’onda ma solo l’energia che l’onda contiene. Vediamo allora di capire cos’è esattamente un’onda, come si forma, e come può incidere nei confronti dell’ambiente ma anche di chi naviga.

onde

Come nascono le onde

A generare le onde, terremoti e maremoti a parte, è prevalentemente il vento, che con la sua progressiva spinta sulla superficie del mare ne muove le più piccole particelle innescando un movimento ondulatorio che si muove in una determinata direzione.

Come già accennato, però, a muoversi non è l’acqua, ma come detto solo il sistema ondulatorio innescato dal vento, come del resto è facile verificare osservando un oggetto galleggiante in mezzo alle onde. Se avanzerà, infatti, sarà solo per effetto del vento, della corrente, e della forza gravitazionale un fenomeno, volendo, spiegabile con complesse formule matematiche…di cui faremo però a meno.

Più interessanti invece alcune caratteristiche dell’onda, a partire dai termini di misurazione che ne definiscono il biglietto da visita: vale dire la sua altezza misurata in metri fra il picco e la base, la lunghezza ovvero la distanza fra due creste successive, il periodo ossia l’intervallo di tempo in secondi necessario affinché una cresta percorra una distanza pari alla lunghezza dell’onda, e la velocità di propagazione, cioè lo spazio percorso dalla configurazione dell’onda in un tempo unitario calcolato in metri al secondo.

Le spettacolari onde che si formano sulla costa di Nazaré, in Portogallo, nascono delle onde atlantiche che confluiscono in un profondo canyon sottomarino esplodendo in superficie.

Le burrasche

Considerando che personalmente non ho mai visto nessuno durante una burrasca impegnarsi nelle misurazioni di cui sopra, e ricordando che per le sue caratteristiche il Mediterraneo genera onde più ripide di quelle oceaniche, direi che per chi naviga i parametri di cui sopra restano una conoscenza prettamente culturale.

In realtà una caratteristica più importante, soprattutto ai fini della navigazione, è la ripidità dell’onda, da cui dipende il frangersi della cresta.

Per chi naviga, e a seconda della sua rotta rispetto al mare, questa è una caratteristica a doppia faccia: nelle condizioni più impervie, quando il frangente si riversa in pozzetto, oltre a richiamare tutti i santi del calendario la condizione può anche creare seri pericoli.

All’estremo opposto, un’onda lunga e morbida, il cosiddetto mare morto, può essere l’avviso di una perturbazione in arrivo o, più benevolmente, il residuo di una mareggiata appena passata.

burrasca e conseguenze
In caso di mare mosso è sempre bene restare lontano dalla costa, prima che le onde diventino incontrastabili con tragiche conseguenze.

Amiche nemiche

Per quanto apparentemente disordinate, le onde rispondono a precise leggi fisiche. Tony Butt, ad esempio, uno dei massimi esperti mondiali nello studio delle onde, ha determinato che, in assenza di ostacoli naturali, le onde viaggiano in gruppo e che questi gruppi sono in genere formati da una serie variabile fra le 12 e le 16 onde che si susseguono con periodi variabili fra i 5 e i 15 minuti.

Questa caratteristica, ben nota anche a chi naviga in Mediterraneo, è ben conosciuta soprattutto dai surfisti, in realtà gli unici che guardano alle onde con simpatia, ed ha portato alla leggenda della settima onda, che poi tanto leggenda non è.

In una serie di onde, infatti, le prime sono di modesta ma progressivamente crescente entità, così come al contrario quelle di coda, mentre le più alte ed imponenti sono proprio quelle di centro. Questa caratteristica è apprezzabile soprattutto in prossimità della costa, quando le onde frangono raggiungendo, a seconda delle loro caratteristiche e di quelle del fondale, altezze che possono essere impressionanti.

surf
Gli appassionati di surf sono probabilmente gli unici ad amare le onde e a sfruttarle per il loro divertimento, ma le spettacolari onde di Nazaré sono riservate a surfisti di grande esperienza.

Le statistiche

Per gli amanti delle statistiche possiamo ricordare che l’onda più alta al mondo mai registrata misurava 32,30 metri, una mostruosità a cui la tempesta perfetta faceva un baffo, e che si formò sulla costa di Taiwan.

Indubbiamente un evento eccezionale, al contrario della regolarità offerta da quello che è considerato il paradiso dei surfisti, ovvero la spiaggia di Nazaré, nell’Estremadura portoghese, dove le possenti onde atlantiche, incanalandosi in una lunga e profonda fenditura sottomarina, entrano in una rampa di lancio che le proietta poi sulla costa creando un fenomeno decisamente impressionante.

Le onde di Nazarè sono considerate fra le più alte del mondo, si generano prevalentemente in autunno-inverno e superano con facilità i 25 metri di altezza: inutile dire che per affrontare queste onde sperando di riportare a casa la pelle occorre essere surfisti di alto, anzi altissimo livello.

onde da surf

Dalla dolcezza della risacca che accarezza la battigia al terrorizzante frastuono di un mare in burrasca dove anche il vento e le sofferenze delle attrezzature di bordo giocano la loro parte, le onde sono, come detto, il nostro naturale nemico.

Eppure proprio le onde sono il naturale respiro del mare, quello che ne aiuta la vita consentendo grazie agli scambi termici e alla mobilità della superficie il fluire della biodiversità. Tuttavia chiunque abbia un minimo di esperienza di navigazione, si sarà trovato di fronte ad un mare formato e a tutti i dubbi e le paure che questo comporta.

Proseguire sulla nostra rotta, magari affidandoci all’ottimismo delle previsioni? Rientrare in porto? E nel caso si volesse comunque affrontare la navigazione, come comportarsi? Certo, la tecnologia applicata alle previsioni meteo dovrebbe offrirci una situazione assolutamente affidabile, ma è anche vero che il mare può essere imprevedibile e che ogni certezza può essere smentita soprattutto su navigazioni lunghe e impegnative.

Le grandi regate transoceaniche portano spesso i concorrenti a confrontarsi con mari molto impegnativi.

La nostra barca

Forse la prima cosa da verificare sono le caratteristiche della nostra barca, e le relative possibilità di affrontare un mare formato, che possono ovviamente variare fra vela e motore. Nel primo caso sarà importante valutare la qualità e lo stato delle attrezzature, scafo incluso, che saranno sottoposte a notevoli sforzi. Nel secondo a dettar legge saranno prevalentemente le caratteristiche delle linee d’acqua.

Fermo restando il contributo delle dimensioni, una carena a V profondo ben progettata consentirà, con l’aiuto dei correttori di assetto, di navigare confortevolmente anche in leggera planata su un mare formato, al contrario di una carena con un diedro moderato che sconterà la facilità di planata con sonore e sconfortanti padellate sull’onda.

Ricordando l’ovvio assioma per il quale in caso di mare pericolosamente formato meglio navigare al largo che sottocosta, c’è un’altra importante differenza fra vela e motore. In caso di avaria, infatti, in una situazione del genere una barca a motore avrà poche possibilità di cavarsela, mentre una barca a vela con un po’ d’esperienza potrà sempre riguadagnare il largo.

Di pari importanza però valutare anche le qualità dell’equipaggio, considerando non solo le problematiche del mal di mare in grado, come noto, di stendere anche il Rambo della situazione, ma soprattutto le capacità tecniche che in particolare su una barca a vela possono diventare determinanti dovendo manovrare in situazioni di difficoltà.

La formazione di onde anomale, la cui grandezza può essere variabile ma in alcuni casi diventare un pericolo anche per le grandi navi, può essere improvvisa e imprevedibile, ma non è ancora ben chiara.

La forza del mare?

A determinare le caratteristiche di un’onda, o diciamo meglio del moto ondoso, sono l’intensità e la velocità del vento, la durata della sua azione sul mare e l’estensione sulla quale il vento avrà possibilità di agire, quello che in termini più specifici, come ogni buon velista sa, si chiama “fetch”.

In una situazione del tutto particolare come quella della nostra penisola, che si addentra nel Mediterraneo come un immenso molo circondato da altre terre più o meno vicine, il fetch è sempre piuttosto limitato, ed è ovviamente funzione della direzione del vento.

Sottocosta, lungo le coste tirreniche, Grecale e Tramontana, tanto per fare un esempio, anziché alzare onde, stirano il mare e ne puliscono l’acqua, mentre Scirocco e Maestrale possono essere causa di forti mareggiate, ed il Libeccio, quando arriva sulle coste liguri dopo aver attraversato mezzo Mediterraneo, si presenta a volte con onde veramente paurose.

Nel valutare le caratteristiche di un’onda, non essendo gli strumenti di misurazione sempre a portata di mano, per comodità generale si è stabilita una scala di calcolo del moto ondoso sulla base delle sue caratteristiche più evidenti. A pensarci è stato un vice ammiraglio inglese nonché idrografo della Royal Navy, Henry Percy Douglas, che nei primi ani ’20 classificò le onde seppur in modo un po’ empirico in 12 livelli di valutazione.

La scala Douglas che indica le varie condizioni di mare.

Poiché questa scala non va confusa con la scala Beaufort che misura la forza del vento, per amor di precisione ricordiamo che se il vento verrà per l’appunto classificato come forza, lo stato del mare verrà invece espresso con una semplice cifra. Un buon appassionato di mare dirà quindi “mare 6” e non “mare forza 6”, ma correttamente dirà invece “vento forza 6”, seguendo l’analoga scala del vento.

Quando l’onda perde il suo dinamismo, quando cioè cessa l’azione del vento, l’inerzia del movimento protrae a lungo il moto ondoso per ore e per miglia, formando quel cosiddetto “mare lungo”, o “mare di scaduta”, o “mare morto” in cui le onde si appiattiscono e si allungano, perdono le creste spumose, ma restano di grande potenza e continuano ad agire in profondità, facendo sentire i propri effetti sul fondale fino ad oltre i 10 metri di profondità, mantenendo una notevole forza di risacca.

tsunami indiano
L’arrivo sulla costa del devastante tsunami che colpì le isole indonesiane nel 2004.
Questi fenomeni naturali sono scatenati da terremoti sottomarini o dalle eruzioni di vulcani sommersi di cui anche il nostro basso Tirreno è ricco.

Le onde assassine

Non è ancora chiaro cosa contribuisca alla loro formazione, anche se si presume che le onde anomale nascano da un’imprevedibile interazione incrociata fra onde minori, venti, correnti e morfologia del fondale marino.

Quel che è certo è che possono formarsi senza alcun preavviso, che raggiungono spesso altezze impressionanti, e che superando a volte i 30 metri sono in grado di mettere in difficoltà anche le grandi navi, molte delle quali fra quelle scomparse misteriosamente in mare negli ultimi 20 anni potrebbero essere affondate proprio a causa di un’onda anomala.

Come dire, in altre parole, che sono un fenomeno che fa paura. Pur essendo legate ad alcune zone preferenziali come quei mari già di per sé stessi “ruggenti” e “urlanti”, vale a dire quelli del profondo sud oceanico, o del nord Atlantico e del Pacifico, le onde anomale possono presentarsi anche in Mediterraneo, soprattutto come conseguenza di movimenti non prettamente marini come terremoti o eruzioni dei vulcani sommersi, di cui ricordiamo i fondali del Tirreno sono particolarmente ricchi.

vulcani sommersi nel Tirreno
Il nostro Tirreno è ricco di vulcani sommersi.

Nello specifico, a livello di cronaca, vale la pena ricordare l’onda anomala che il 30 dicembre del 2002 si generò a causa della franata a mare di ben 16 milioni di metri cubi di materiale lavico, fuoriuscito da una bocca vulcanica posta a 500 metri d’altezza lungo la Sciara del Fuoco, naturale sfogo magmatico dello Stromboli. L’onda sollevata arrivò a toccare gli 11 metri, e colpì le coste della Calabria e della Sicilia provocando non pochi danni.

In pratica, una sorta di tsunami ma, per fortuna, ben più debole di quello che si abbatté il 26 dicembre del 2004 sulle isole dell’Oceano Indiano, e che rimarrà tristemente nella storia come uno dei più devastanti maremoti mai avvenuti. Generato da un terremoto di magnitudo 9.2 con epicentro a nord di Sumatra, che iniziò alle 7h58 come conseguenza della rottura di una faglia sottomarina lunga oltre 1000 km, causò onde alte fino a 30 metri che in soli 20 minuti raggiunsero le coste di decine di isole, arrivando poi in sole 6 ore fino alle coste orientali dell’Africa.

Il risultato fu la devastante distruzione di qualunque cosa finita sotto l’onda dello tsunami che in alcune isole arrivò a colpire fino ad oltre 4 km dalla costa, con danni per oltre 10 miliardi di dollari e un consuntivo di oltre 230.000 vittime.

L’unico risultato positivo, se così si può dire, fu che in conseguenza di questo disastro si sviluppò una rete di prevenzione e di allerta tsunami che sfrutta oggi sofisticate tecnologie in grado di monitorare eventuali terremoti sottomarini e la generazione di tsunami valutandone i tempi di arrivo sulle eventuali coste esposte.

Questo sistema è attivo anche in Mediterraneo a cura dell’INGV (Istituto Nazionale di geofisica e Vulcanologia), anche se nel Mare Nostrum per fortuna tali eventi sono rari. L’ultimo serio tsunami fu infatti quello del 1908 che colpì Messina e Reggio Calabria a seguito di un terremoto di magnitudo 7.1: un evento disastroso che portò alla distruzione quasi totale delle città di Messina e Reggio Calabria, e ad un totale di quasi 100.000 vittime.

pilone stretto di Messina
Lo stretto di Messina è noto per le sue forti correnti di marea alternate, montante e discendente, forse all’origine del mito di Scilla e Cariddi. La forza di queste correnti, capaci di arrivare anche ai 5-6 nodi potrebbero oggi essere sfruttate per ricavare energia, come avviene a Ganzirri dove, da una ventina d’anni, è in funzione una grande turbina ad asse verticale.

…e le onde amiche

Le onde non sono tuttavia un fattore sempre negativo, perché ad esempio se ne sta sempre più sfruttando la forza cinetica per la produzione di energia verde, un sistema totalmente ecologico sostenuto da una fonte rinnovabile e pressoché inesauribile. Considerando che il nostro pianeta è notoriamente coperto per tre quarti dal mare, facile intuire quale straordinaria riserva energetica potrebbe derivare dall’evoluzione dello sfruttamento di questa risorsa, che vale la pena notare, può usufruire anche dell’energia cinetica fornita dalle correnti di marea quando queste sono di notevole importanza.

Come ad esempio già avviene dal 2001 a Ganzirri, nello Stretto di Messina, dove una gigantesca turbina ad asse verticale ancorata al fondo marino fornisce energia pulita su vasta scala. Il progetto, per quanto perfettamente funzionante, è però difficilmente replicabile sia lungo le nostre coste, dove le maree e le correnti con poche eccezioni sono generalmente deboli, sia nello stesso Stretto di Messina a causa dell’intenso traffico marittimo.

pale eoliche nel mare
L’impatto paesaggistico delle pale eoliche può essere devastante, per questo si sta studiando la possibilità di pale sommerse che potrebbero sfruttare la forza delle correnti, anche se bisogna capire quale potrebbe essere l’impatto sulla fauna marina.

I sistemi di sfruttamento del moto ondoso ai fini della produzione energetica, ben superiori all’eolico e al solare e decisamente a minor impatto paesaggistico, sono vari e in costante evoluzione. L’Italia vanta in questo settore una posizione di rilievo essendo uno dei 6 paesi UE a perseguire politiche specifiche dedicate allo sviluppo di queste tecnologie.

Se l’impatto paesaggistico dei vari sistemi di sfruttamento energetico del moto ondoso è minimo, quello ambientale è tutt’ora allo studio in quanto, al di là dei problemi di ancoraggio sul fondale marino dei vari impianti, occorre studiare l’effetto delle vibrazioni e del rumore sulle varie specie marine, cetacei in primis, che potrebbero essere disturbate anche dalle emissioni elettromagnetiche.

In una situazione di crescente fame energetica e di contestazione per l’impatto ambientale di sistemi come l’eolico e il solare, in grado di devastare quella bellezza paesaggistica che è uno dei nostri maggiori valori, il mare potrebbe fornire una risposta green molto più efficiente: l’evoluzione è in atto, e speriamo che i tempi siano brevi.