TEMI IL MELTEMI?

Come quasi sempre accade, l’uomo si oppone a ciò che non conosce. Finisce così che tanti appassionati abbiano timore dei venti dell’Egeo soltanto per sentito dire. Cerchiamo dunque di fare il punto della situazione.

Che i mari della Grecia siano un vero e proprio paradiso per i diportisti di ogni genere ed età è cosa nota a molti. Diciamo meglio: è cosa nota a tutti coloro i quali hanno sperimentato con coscienza ed esperienza i piaceri naturalistici, storici, paesaggistici, culturali dell’Egeo.

Per altri – e anch’essi non sono pochi – questi stessi luoghi, quasi fossero frutto di una magia perversa, producono sì una fortissima attrazione ma incutono pure un timore che, razionale o irrazionale che sia, ha un nome ben preciso: meltemi.

Questo vento secco e fresco – talvolta improvviso e violento – nasce dal concorso di due grandi regioni atmosferiche che si formano tipicamente nei mesi estivi: un anticiclone sul Mediterraneo Occidentale e un ciclone sull’Altipiano Anatolico.

Poiché il senso di rotazione delle relative masse d’aria è opposto (orario il primo, antiorario il secondo), ecco che sul Mediterraneo Orientale può verificarsi una confluenza che, a seconda delle aree, può assumere in mare aperto provenienze variabili entro un arco di circa 90 gradi intorno al Nord.

Meltemi (ph_Corbo') 02

La particolare conformazione della costa continentale e la diffusa presenza di isole possono tuttavia influenzare ulteriormente la direzione del vento, aprendo ad esso zone di mare – soprattutto sotto costa – che sulla carta potrebbero invece apparire ridossate.

Può accadere, dunque, che i rilievi e le gole, anziché frenare il movimento dell’aria, ne accrescano la velocità generando raffiche anche molto violente di direzione variabile. In determinate circostanze, questo può accadere anche nelle ore notturne, cioè quando, in situazioni più stabilizzate, il meltemi tende di norma ad attenuarsi fin quasi a calmare. A nostro parere, proprio per il loro possibile effetto-sorpresa, sono specialmente questi fenomeni “anomali” a dover essere tenuti sotto stretta sorveglianza, magari attraverso quei segni premonitori che i pratici locali ben conoscono e che, pertanto, è sempre utile farsi spiegare in tutte le possibili occasioni.

Le brezze e le terre emerse

Meltemi (ph_Corbo') 15Per sgombrare il campo dai possibili equivoci, mettiamo in chiaro una cosa: il meltemi non costituisce di certo l’unico movimento d’aria dell’Egeo. Molto spesso, infatti, ad esso si aggiungono le brezze – in particolare quelle diurne – che, specialmente nel Golfo Saronico e nel Golfo dell’Argolide, sul versante est del Peloponneso, possono anche diventare predominanti: di terra, la mattina presto; di mare, nel pomeriggio inoltrato fino al tramonto.

Ricordiamo che, a differenza dei venti propriamente detti, le brezze devono essere considerate come movimenti d’aria locali generati dal diverso riscaldamento/raffreddamento della terra e del mare durante le ore diurne/notturne, nonché, nelle zone montuose, dal diverso andamento termico delle cime e delle valli nell’arco delle ventiquattr’ore. Ecco quindi che, in una superficie di mare costellata di isole anche elevate ed estese come quella della Grecia, la tecnica di navigazione non può prescindere da questi fenomeni tipicamente costieri.

Ma ancor più importante è la funzione protettiva che gli arcipelaghi dell’Egeo svolgono per il semplice fatto di rompere il fetch del vento (cioè la superficie continua di mare aperto sulla quale esso insiste), impedendo la generazione di moti ondosi proporzionati alla sua forza. E’ questo il motivo per il quale la formazione di onde particolarmente alte riguarda più frequentemente i lunghi canali orientati lungo l’asse Nord-Sud, come per esempio quello compreso tra l’Eubea e Lesbo, mentre altrove il mare risulta meno agitato.

Questa considerazione è estremamente importante poiché spiega come mai, più spesso, le maggiori difficoltà che si incontrano nel navigare sui mari della Grecia riguardano più la gestione del vento in sé che non quella del moto ondoso, che infatti difficilmente raggiunge le dimensioni delle burrasche che flagellano altre zone del Mediterraneo. Un pensiero certamente rassicurante.

Porti artificiali e rade naturali

Una delle caratteristiche che rendono le coste greche più uniche che rare è costituita dall’ampia scelta di porti, porticcioli e ridossi nei quali sostare per qualche ora o per qualche giorno, a seconda delle esigenze e dell’affidabilità meteorologica. A parte l’aspetto informale di questo genere di ricettività (quasi mai si paga una tariffa o una mancia), è la gradevolezza dei luoghi e la possibilità di svolgere escursioni a terra a rendere assai attraente questa opportunità. Tuttavia, per tutti i motivi fin qui esposti, i conti con i sempre possibili capricci del tempo vanno fatti in anticipo.

Per quanto riguarda i porti, la diffusa – per non dire totale – mancanza di attrezzature a mare (catenarie, boe, briccole eccetera) fa sì che l’uso dell’ancora sia praticamente irrinunciabile, con la sola eccezione di quei casi in cui è possibile ormeggiare di fianco. La tentazione di calare un “picco corto”, cioè di rilasciare poca catena, magari per diminuire il rischio di incrociare altre catene e altre ancore, va assolutamente messa a tacere.

Questo è il motivo per il quale anche all’interno delle acque protette è bene allestire un grippiale che segnali la posizione dell’ancora e che, soprattutto, ne faciliti il rapido salpamento nella non lontana eventualità che, appunto, qualcuno decida di dar fondo nel punto sbagliato.

D’altra parte bisogna sempre tener presente che, trattandosi come abbiamo detto di un paradiso, la Grecia attira anche molti appassionati poco esperti che, potendo contare su un’organizzazione charter di prim’ordine, prendono in locazione la barca e, non di rado, per la prima volta in vita loro, si sperimentano come skipper.

Tornando al calumo, se possibile, è sempre bene calare catena per cinque volte il fondale, mettendola bene in trazione – contrastata dai cavi portati a terra incrociati – per evitare che la risacca provochi urti in banchina e che la barca abbia troppa libertà di movimento laterale. Analogamente, nel caso di ormeggio di fianco, oltre ai cavi di prua e di poppa è sempre necessario mettere in forza due spring.

Sebbene la letteratura tecnica (noi compresi) dedichi molto spazio a metodi di ancoraggio più complessi e affidabili, come l’afforco (due ancore divergenti) e l’appennellamento (due ancore in linea), nel caso specifico dell’Egeo preferiamo spesso rinunciarvi, privilegiando piuttosto la rapidità di salpamento che è fondamentale per riprendere il largo o per modificare la posizione in tutti quei casi in cui un improvviso groppo di vento renda insostenibile la situazione, generando confusione di traffico all’interno dello stesso specchio acqueo. Ciò vale, ovviamente, anche per l’ancoraggio in rada, dove l’unica “complicazione” ammissibile è costituita da un cavo da tonneggio che, portato a terra, limiti la libertà di spostamento dello scafo, impedendogli di urtare scogli o altre barche. Fermo restando che tale cavo non deve essere talmente lungo da costituire un ostacolo per tutti, ricordiamo che, ad allestimento concluso, è necessario segnalarlo con un gavitello o con un parabordo, in modo tale che, anche di notte, risulti ben evidente la sua presenza.

Attenti al fondo

A questo punto è necessario ricordare che, a monte di qualsiasi manovra, un fattore di fondamentale importanza ai fini del buon ancoraggio è rappresentato dal tipo di fondo. Anche in tal senso la Grecia offre un panorama quanto mai ampio e variegato, tanto che nella stessa cala è possibile trovare roccia e alga, fango e sabbia grossolana. Ciò impone allo skipper un’attenta valutazione circa la compatibilità tra ciò che viene offerto dalla natura e ciò di cui si dispone a bordo.

Per esempio, se il fondo è di scoglio e l’ancora principale appartiene alla famiglia delle “alate” – o “claw”, come dicono gli anglosassoni – (dunque, Bruce, Force, Trefoil eccetera), si può dar fondo senza troppe preoccupazioni. Se invece l’ancora è del tipo “a vomere” c’è da fare una distinzione: se si tratta della Delta non ci sono particolari problemi, in quanto la costruzione (di acciaio al manganese) presenta poche saldature e può essere considerata monolitica; se invece è una C.Q.R., la presenza dello snodo può essere considerata un fattore di debolezza (anche se sarebbe più corretto dire di minore solidità). Meno opinabile è il caso di un’ancora principale appartenente alla famiglia delle “marre articolate” (Danforth, Guardian, Fortress): se non c’è modo di sostituirla, proprio non è il caso di dar fondo sullo scoglio, in quanto la sua struttura sottile e la presenza degli snodi la rendono fragile agli strappi e perciò poco affidabile. Le cose cambiano radicalmente, fin quasi a invertirsi, se il fondo è di alga.

In tal caso, a essere in gioco non è la solidità dell’ancora, quanto piuttosto la sua capacità di far testa sul peggiore dei tenitori. Talmente peggiore da cercare di evitarlo in ogni caso. In realtà, infatti, nonostante quel che sostengono certi costruttori, tuttora non esiste un’ancora capace di attraversare tranquillamente il fogliame e di affondare le marre sul letto sottostante; men che meno di far presa direttamente sull’alga.

La più critica è la Bruce, che tende letteralmente a scivolare con le sue ali; la meno problematica è la Delta, grazie al suo vomere appuntito. Variabile e imprevedibile è invece il comportamento delle ancore a marre articolate, che certe volte riescono ad affondare le loro unghie, certe altre no.

Diciamo pure che l’alga rappresenta la parziale rivincita delle ancore che fondano la loro efficacia soprattutto sul peso (Ammiragliato e Hall) e che, proprio per questo motivo, trovano scarsa applicazione nelle imbarcazioni da diporto. Meno estremo, ma non per questo privo di insidie, è il caso dei fondi molli, come il fango e la sabbia. In tali circostanze, la famiglia delle alate (Bruce, Force, Trefoil eccetera) si comporta discretamente, purché si dia parecchio calumo; la famiglia delle ancore a vomere (C.Q.R. e Delta) si comporta molto bene; la famiglia delle marre articolate (Danforth, Guardian e Fortress) si comporta ottimamente.

Vigilanza e allarmi

Una delle cose più pericolose che si possano fare, non soltanto in Egeo ma in ogni altra parte del mondo, è quella di lasciare la barca alla ruota e andarsene in giro a terra, dimenticandosene. Certo, per tutto quel che abbiamo detto a proposito dell’instabilità dei venti e delle brezze lungo le coste greche, qui l’attenzione deve essere – se possibile – ancora maggiore.

Finché si è a bordo, è sufficiente il regolare controllo a vista, prendendo come riferimenti tutti i punti cospicui e gli allineamenti che caratterizzano lo specchio d’acqua nel quale ci si trova. Ciò vale anche di notte, quando lo skipper dotato del giusto senso di responsabilità approfitta di ogni interruzione del sonno per dare un’occhiata in giro, anche in situazione di calma assoluta.

Tuttavia l’elettronica può fare la sua parte. Nel caso dell’ecoscandaglio, è quasi sempre possibile impostare un doppio allarme sonoro di acqua bassa/alta che entri in funzione ogniqualvolta la barca finisce su un fondale inferiore o superiore ai parametri impostati.

Ovviamente, per fare in modo che il sistema risulti di qualche utilità, è necessario che i valori-limite tengano conto dei movimenti “fisiologici” dello scafo all’interno del campo di giro concesso dal calumo. Quindi, per esempio, se entro quest’area il fondale varia dai 4 ai 7 metri, l’allarme di acqua bassa può essere impostato a 3 metri, mentre quello di acqua alta può essere impostato a 8 metri.

E’ intuitivo che l’affidabilità di questo tipo di controllo sia limitata dal fatto che non sempre l’arare dell’ancora comporta una cospicua variazione della profondità: in una zona dal fondale regolare e costante, capita infatti che il cedimento non venga minimamente segnalato dall’apparecchio.

Diverso e mediamente più affidabile, in quanto basato sulle variazioni di posizione, è il comportamento dell’allarme-ancora di cui sono dotati alcuni plotter. In questo caso, infatti, l’avviso entra in funzione ogniqualvolta si esca da un’area circolare impostata in modo tale da farla corrispondere il più possibile al campo di giro.

E’ quindi comprensibile che, per ottenere un buon risultato, si debba innanzi tutto fissare con precisione la posizione dell’ancora (cosa da fare convenientemente nel momento stesso in cui si dà fondo), mentre, per quanto riguarda il raggio, basta rilevare sullo stesso strumento il punto in cui la barca viene frenata dal calumo, una volta che questo è ben disteso sul fondo. Da non sottovalutare sono pure alcune specifiche applicazioni per smartphone e tablet, anch’esse basate sulla tecnologia satellitare implementata in questo genere di palmari.

Tra le tante, quella che abbiamo sperimentato con maggiore soddisfazione si chiama Anchor Watch: essa disegna il campo di giro dell’ancoraggio su una carta elettronica, funziona anche in background e può inviare un allarme a un altro telefonino (ovviamente, lasciando a bordo lo smartphone nel quale è installata) risultando estremamente utile proprio quando si scende a terra per gustare uno spuntino in una delle immancabili taverne sul mare.

A vela e a motore

Da tutto quel che abbiamo detto finora, dovrebbe essere abbastanza intuitivo che i mari della Grecia rappresentino l’ideale assoluto per qualsiasi velista che sappia eseguire correttamente tutte le manovre di base. Ci interessa tuttavia sottolineare che, proprio in funzione delle frequenti sorprese riservate dal vento, è necessario essere costantemente preparati ai rinforzi e ai groppi. Ciò significa che l’attrezzatura per la riduzione della tela deve essere sempre allestita e pronta all’uso. Uso al quale si deve ricorrere sempre con prontezza alle prime minime avvisaglie, senza cedere alla pigrizia o allo sciocco ottimismo. Nei casi in cui la situazione peggiora in modo decisamente scomodo, è sempre più conveniente e tranquillizzante assumere un’andatura portante (preferibilmente un gran lasco) che spinga rapidamente verso la più utile costa ridossata, piuttosto che combattere faticose boline strette, dall’immancabile effetto drammatizzante.

Se questo significa modificare il programma per la serata, pazienza. E’ anche questo il bello della vela.
Per quanto riguarda invece le unità a motore, il consiglio migliore è quello di concentrare gli spostamenti importanti (e perciò le sempre complesse manovre in porto) soprattutto nelle prime ore del giorno e verso il tramonto, se non addirittura di notte, quando il meltemi decide – se decide – di riposare.

E NELLO IONIO?

Meno interessate dai fenomeni marginali del meltemi e più soggette al maestrale che scende lungo il Mare Adriatico, le coste greche ioniche sono caratterizzate, durante l’estate, dai regimi di brezza. Intorno alle isole, l’aria tende a muoversi a metà mattina e può aumentare di intensità fino al tramonto, potendo raggiungere in certe zone – per esempio, quella dell’imboccatura del Golfo di Patrasso – anche forza 5. Lungo la costa occidentale del Peloponneso, il vento proviene più spesso da Ovest, rinforzato dalle brezze di mare che risultano decisamente più energiche di quelle di terra. Ma alle estremità più meridionali della penisola (isola, bisognerebbe dire, poiché, dal 1893, l’apertura del Canale di Corinto l’ha separata dal continente) e, più precisamente, intorno ai capi Matapan e Maleas i venti dello Ionio e dell’Egeo possono confluire dando vita a burrasche anche molto impegnative, seppure di breve durata.

Le ore notturne sono generalmente calme, tuttavia non manca qualche eccezione eclatante che può essere preavvisata da quei segni del cielo che i pescatori locali ben conoscono. Due chiacchiere con loro, magari davanti a un buon bicchiere di Ouzo con ghiaccio, sono sempre consigliabili.