Gli anodi sacrificali, i protettori delle nostre carene

Le correnti galvaniche, causa di gravi corrosioni, unitamente agli organismi animali e vegetali presenti nell’acqua, sono tra i problemi più rilevanti delle nostre carene. Come proteggerle?

E’ finito l’inverno, molte barche hanno passato la cattiva stagione a secco, molte altre sono rimaste in acqua; relativamente alle due opzioni l’utenza si divide in altrettanti partiti: da una parte chi sostiene che è meglio lasciare le barche nel loro elemento naturale, dall’altra chi dice che è meglio metterle a secco, la discussione continua e sarebbe molto complesso decidere quale sia la soluzione più opportuna.

Qualunque sia stata la nostra scelta, giunge l’ora della rimessa in acqua della barca dopo la doverosa manutenzione annuale.
Tra i vari lavori da eseguire vi è senz’altro quello della rimozione dalla carena degli agenti infestanti, per mezzo di un’accurata spazzolatura e lavaggio, segue un accurato controllo della struttura immersa e la sostituzione degli anodi sacrificali, i cosiddetti ”zinchi”.

Fin dall’antichità i navigatori hanno dovuto combattere contro le incrostazioni animali e vegetali che si formano sulla superficie della carena e che rallentano notevolmente lo scorrimento della stessa nell’acqua. Poi a un certo punto della storia, qualcuno notò che alcuni materiali erano aggrediti meno di altri da queste infestazioni, più esattamente furono i mercanti-naviganti fenici i quali si accorsero che il rame e il piombo, materiali da loro trasportati e mercanteggiati, rimanevano meno danneggiati rispetto ad altri materiali.

Ricoprirono pertanto la parte immersa dei loro scafi (opera viva) con sottili lastre di rame o di piombo, queste ossidandosi si difendevano dall’aggressione esterna dei microorganismi. Notarono, però, che le lamine di rame e di piombo si riducevano, nel tempo, di spessore. Scoprendo così, ma non razionalizzando, la questione della corrosione galvanica.

La pratica di ricoprire le carene delle navi con lastre di rame, rimase in uso fino alla fine del XIX secolo, poi con l’avvento, i primi del XX secolo, degli scafi in acciaio, il problema della corrosione galvanica divenne dirompente e si iniziò la ricerca per trovare un rimedio.

Cosa è la corrosione galvanica e da cosa è causata?

Se si prendono due materiali metallici di natura diversa, e quindi con potenziale elettrico differente e s’immergono in un liquido conduttore, detto elettrolita – e l’acqua di mare è un ottimo elettrolita – si scopre che tra i due materiali, in contatto tra loro, si stabilisce, a causa di un differente potenziale elettrico, una corrente detta corrente galvanica. Tra i due elementi quello a potenziale elettrico maggiore si chiama anodo e quello con potenziale elettrochimico minore si chiama catodo. Per esempio il rame ha potenziale – 0,30 Volt e lo zinco ha potenziale -0,98 Volt, la differenza di potenziale tra i due metalli è di -0,68 Volt. L’anodo alimenta il flusso cedendo particelle corrodendosi, e il catodo si ossida.

Questo fenomeno elettrochimico fu osservato per primo dal filosofo e medico Luigi Galvani, nato a Bologna il 9 settembre 1737 e morto nel 1798. Il medico laureatosi nel 1759, era solito condurre esperimenti e ricerca di fisiologia; fu durante uno dei suoi esperimenti che osservò come i muscoli di una rana, sua cavia del momento, si contraessero al contatto con uno dei suoi strumenti realizzato con due metalli diversi, scoprendo così l’elettrofisiologia.

Egli pensò cioè che il muscolo stimolato da una corrente si contraeva e concepì cosi l’idea che il nostro organismo fosse sede di corrente elettrica, forse immagazzinata nel cervello e modificata dallo strumento. Qualche anno dopo, nel 1799, Alessandro Volta riprese gli esperimenti di Galvani e studiò concretamente le correnti galvaniche, realizzando la cella galvanica, ossia la prima pila; fu lui, in effetti, a scoprire il fenomeno del potenziale elettrico dei metalli e le sue conseguenze.

La cella galvanica

Se prendiamo due elettrodi di metallo diverso, ad esempio uno in rame e uno di zinco, li immergiamo in una soluzione alcalina o acida, detto elettrolita, e successivamente con uno strumento adatto, per mezzo dei due terminali, tocchiamo i due elettrodi, scopriamo che tra i metalli esiste una differenza di potenziale, nel caso dei due metalli da noi utilizzati la differenza di potenziale sarà di -0,68 Volt (vedi tabella del potenziale elettrico dei materiali più utilizzati nella nautica).

Nella cella galvanica in esame l’elettrodo in zinco è l’anodo, quello in rame è il catodo. L’anodo è il metallo più attivo, meno nobile, il catodo è l’elemento meno attivo, più nobile. Gli ioni liberati dall’anodo migrano verso il catodo generando la corrente galvanica; ciò determinerà la corrosione progressiva dell’anodo e l’ossidazione del catodo.

La corrente galvanica sarà tanto più elevata quanto maggiore sarà la differenza di potenziale elettrico tra anodo e catodo, e quanto più l’acqua e ricca di sali o è a temperatura elevata. All’intensità della corrente di corrosione contribuirà anche il rapporto di superficie tra catodo e anodo; quindi quanto maggiore sarà la superficie da proteggere tanto più grande o a maggiore potenziale dovrà essere l’anodo sacrificale.

In pratica i problemi maggiori in fatto di corrosione galvanica li hanno gli scafi di acciaio o quelli in lega di alluminio. Attenzione però, i proprietari di barche con scafo di legno o in vetroresina, non dormano sonni tranquilli perché la corrosione galvanica riguarda anche loro.

Nel caso dello scafo in vetroresina o in legno pensiamo alle loro appendici metalliche immerse nell’acqua di mare, come l’elica di bronzo o ancora peggio in lega di alluminio, ai numerosi passascafi di bronzo, ai bulbi delle barche a vela in ghisa o piombo, alla pala del timone in lega leggera, alla falchetta in lega leggera fissata con bulloni in acciaio inossidabile, all’asse del motore in acciaio ed al motore stesso, oppure nel caso di un motore fuoribordo il piede in lega di alluminio, e infine nel caso di un motore entrobordo con piede sail drive eccetera.

Tutte queste parti metalliche con differente potenziale elettronegativo, reagiranno tra loro innescando altrettante correnti galvaniche che procureranno la corrosione dei metalli meno nobili tra loro, con la complicità del liquido dielettrico costituito dall’acqua del mare.

A questo punto bisogna evidenziare che non necessariamente le parti metalliche di natura diversa devono essere immerse in acqua, l’ossidazione e la corrosione si può verificare anche tra metalli fuori d’acqua, perché e sufficiente l’umidità dell’aria impregnata di sali a fare da elettrolita e innescare il processo corrosivo.

Se ai primi del Novecento lo studio dei fenomeni elettrolitici non fosse stato approfondito opportunamente, probabilmente, non avremmo avuto l’evoluzione e la proliferazione degli scafi di acciaio, e quindi le navi di grandi dimensioni che oggi abbiamo non sarebbero potute esistere. E’ chiarissima a questo punto l’importanza della protezione galvanica delle nostre carene.

Riepiloghiamo quali sono i tre presupposti perché si determini una corrente galvanica:

  1. la presenza di due metalli differenti;
  2. che siano in contatto tra loro;
  3. che siano immersi in uno stesso liquido elettrolitico.

Come eseguire correttamente la protezione galvanica delle nostre carene.

Per prevenire la corrosione catodica è necessario quindi isolare tra loro i metalli di diverso potenziale, oppure creare un ambiente assolutamente privo di umidità intorno a loro, oppure creare una protezione catodica passiva per mezzo di anodi sacrificali; o una protezione catodica attiva per mezzo di apposite correnti di controllo impresse.

Gli elementi da prendere in considerazione nella progettazione della protezione galvanica per mezzo di anodi sacrificali sono: quale tipo di anodo utilizzare; quanti e di quale dimensione; dove collocarli.

La dimensione degli anodi e il loro numero è in funzione delle intensità di corrente galvanica necessaria alla protezione delle nostre carene. Le barche in metallo o le grandi imbarcazioni normalmente vengono fornite da parte dei costruttori di un piano di installazione per la protezione galvanica, ed è bene attenersi alle loro istruzioni, ma negli altri casi si adopera il buon senso e l’esperienza dei tecnici di cantiere.

Vi sono tuttavia una serie di indizi che se presenti ci devono allarmare. Abbiamo detto che gli anodi sacrificali si devono corrodere, se ciò non avviene – dopo un periodo più o meno lungo di immersione della carena in acqua – c’è qualcosa che non funziona, per cui controlliamo se l’anodo è elettricamente collegato al materiale che intendiamo proteggere e, inoltre, assicuriamoci che non si sia ricoperto inavvertitamente di vernice il nostro anodo, isolandolo. Se tutto è regolare la causa potrebbe essere anche della cattiva qualità degli zinchi da noi acquistati; sì perché noi facciamo presto a dire anodi di zinco, o alluminio o magnesio, ma, normalmente, si tratta sempre di leghe di metalli diversi e ogni azienda produttrice di anodi sacrificali ha le sue “miscele” segrete, delle quali è sempre gelosa.

Comunque sia, quando mettiamo la nostra barca in secco per la manutenzione primaverile, controlliamo sempre il livello di usura dei nostri anodi, e teniamo conto che normalmente deve esserci usura, se ha funzionato il sistema protettivo, ma questa non deve superare il valore del 50{2e3577d2bd6aebaa150c85c33fcd353783f1aa6c690283591e00ef60b3336fc8}, eccezionalmente il 75{2e3577d2bd6aebaa150c85c33fcd353783f1aa6c690283591e00ef60b3336fc8}, se si superano questi livelli di usura significa che il numero di anodi è insufficiente; provvediamo quindi ad aumentarne il numero o la superficie, per mantenere protetta la nostra carena.

Parametri da valutare nella scelta del numero di anodi e della loro specificità

Normalmente parlando di anodi sacrificali si dice zinchi, ma, in effetti, gli anodi possono essere anche, come già accennato, in alluminio o magnesio, tutti materiali ad alta elettronegatività, quindi, poco nobili ma generosi nel sacrificare parte della loro struttura molecolare rispetto ad altri metalli proteggendo questi ultimi. In acqua di mare, ad alta salinità come il Mediterraneo, sono senz’altro da preferire gli zinchi, mentre, in acqua dolce si preferiranno quelli in magnesio e in acqua di mare a bassa temperatura e salinità si potranno usare con successo quelli in alluminio.

Come già accennato, la corrente galvanica può svilupparsi anche su accoppiamenti bimetallici non immersi in acqua ma fuori da essa. Tra i casi più frequenti vi sono gli accessori in acciaio montati su superfici in alluminio, o lega di alluminio, come ad esempio gli alberi di una barca a vela: vedi golfari, collari ritenute o altro, ovunque due metalli con elettropotenziale diverso vengano in contatto tra loro, la salsedine e l’umidità che il vento porta con sé fa da dielettrico e si innescano correnti galvaniche che provocano corrosione. Per evitare ciò bisognerebbe sempre isolare le parti di metallo diverso, frapponendo tra loro delle guarnizioni protettive. Questo vale anche quando usiamo delle viti o rivetti di acciaio su metalli in lega di alluminio o altro, in questo caso per proteggere e isolare la filettatura vi sono in commercio prodotti in pasta come il Duralac.

Se abbiamo il dubbio che la normale protezione galvanica del nostro scafo non sia sufficiente, in particolari situazioni contingenti, per esempio quando la nostra barca è ormeggiata accanto a uno scafo in metallo, oppure a un molo con importanti parti di acciaio, e che queste non siano di loro ben protette galvanicamente, possiamo aumentare la nostra protezione per mezzo di anodi sacrificali aggiuntivi e provvisori, come uno zinco collegato a un cavo elettrico al termine del quale colleghiamo un morsetto da collegare a sua volta elettricamente alla massa del motore, o alle parti da proteggere e immergeremo poi l’anodo in acqua, questo aumenterà la protezione galvanica della nostra barca.

Isolatore galvanico

Altro pericolo di corrosione galvanica della nostra barca è rappresentato dal collegamento del nostro impianto elettrico con quello di banchina, che tanto ci rende felici per la possibilità che abbiamo di utilizzare serenamente Tv, frigo, scaldabagno e altro; tutto senza timore di scaricare le batterie di bordo. Tutto bene, ma passeggiando d’inverno su pontili poco frequentati, osserviamo quanti lasciano collegati i loro impianti alla rete di banchina anche quando non vi è nessuno a bordo!

Quali sono i rischi?

Ebbene, quando siamo collegati con l’alimentazione di banchina, il nostro cavo composto da tre fili di idonea sezione, assolvono al collegamento della fase, del neutro e della terra: i primi due ci forniscono l’energia elettrica necessaria alle nostre esigenze, il terzo ci collega al sistema di messa a terra dell’intero impianto, molto importante e obbligatorio per la sicurezza dell’impianto e delle persone a bordo, questo cavo neutro, normalmente di colore giallo, collega di fatto elettricamente tra loro tutte le barche connesse all’impianto di banchina.

Questo significa che il nostro anodo sacrificale è collegato elettricamente a quelli di tutte le altre barche in banchina, e se i nostri anodi, normalmente, sono sufficienti a proteggere la nostra carena e le nostre appendici metalliche, non è detto che nelle barche vicine avvenga lo stesso. Se ciò non avviene il nostro sistema di protezione dovrà farsi carico anche delle esigenze dei vicini, determinando un’usura rapida e abnorme dei nostri zinchi.

Per evitare questo rischio sarà sufficiente munirci di un isolatore galvanico, da interporre sul filo della terra del nostro impianto elettrico. Un attrezzo semplice da installare e dal costo relativamente contenuto, circa 100 euro. Fatto ciò risulteremo isolati dagli anodi delle barche vicine ma, cosa importante, rimarremo comunque collegati all’impianto di terra.
Correnti vaganti

Abbiamo finora parlato delle correnti galvaniche, pericolose per le loro conseguenze, e di come prevenirle; parliamo ora delle correnti vaganti, meno note ma più pericolose delle prime.

Le correnti vaganti sono molto più intense delle correnti galvaniche, perché generate da differenza di potenziale elettrico più alto; di fatto si tratta di dispersione di corrente da parte dei cavi di alimentazione, qualche volta danneggiati, che collegano la nostra batteria alle loro utenze che invece di utilizzare i normali percorsi scelgono vie diverse disperdendosi nelle acque di sentina, questo può avvenire quando si verifica il danneggiamento della protezione di uno dei cavi oppure perché si è utilizza la massa metallica del motore come conduttore di ritorno alla batteria.
Avendo queste correnti elevata intensità, potrebbero danneggiare molto rapidamente qualsiasi metallo, indipendentemente dalla sua natura o potenziale elettrico.

Per evitare le correnti vaganti è necessario controllare molto bene il grado d’isolamento dei cavi elettrici, dei contatti e bisogna tenere all’asciutto l’ambiente in cui “vivono” le batterie; tra le cause più frequenti delle correnti vaganti, vi sono le perdite d’isolamento dei fili e dei contatti delle pompe di sentina, che per la loro funzione vivono molto spesso immerse nell’acqua di sentina.

Protezione anodica con corrente indotta

Per la protezione catodica di scafi metallici di grandi dimensioni, occorrerebbero, vista la elevata superficie metallica da proteggere, numerosi anodi sacrificali da sostituire frequentemente, con relative elevate spese per le operazioni di varo e alaggio. La causa di tutto questo è da ricercare nell’elevata velocità di usura degli anodi sacrificali stessi. Esiste però un sistema di protezione anodica, detta a corrente indotta.

Di cosa si tratta: la protezione in questione avviene non grazie al flusso di corrente galvanica derivante dal contatto tra due materiali metallici a potenziale elettrico diverso, ma dall’energia elettrica fornita da un generatore a corrente continua, batteria o altro. Tale corrente impressa verrà fatta circolare sulle superfici metalliche da proteggere, come la carena, i bulbi, gli assi dell’elica e l’elica stessa, contrastando le correnti galvaniche che le avrebbero danneggiate. Il sistema è composto essenzialmente da: un alimentatore a corrente continua stabilizzato; una centralina di controllo; uno zinco di riferimento; e uno o più anodi di piombo, di platino o di argento, che subiranno solo piccolissime erosioni e verranno sostituiti solo raramente.

In Italia esistono numerose aziende di produzione di anodi, di vario tipo, e di progettazione di impianti per la protezione anodica attiva e passiva. I calcoli per un efficiente sistema protettivo, sono calcoli di elevata ingegneria progettuale, per cui è bene affidarsi a tecnici preparati. A Grosseto opera, a livello internazionale, la ditta Tecnoseal (www.tecnoseal.it), a Genova la E. Polipodio srl (www.polipodio.com) e la Seaguard Italanodi srl (www.seaguard.it); tutte ditte capaci e di elevato livello a cui potersi rivolgere.
Si ringrazia per la cortese collaborazione la direzione del cantiere Nautica Cala Galera.

Didascalie immagini prot.galvaniche
Foto 1-1 bis-1tris. Gli antichi Greci indicavano la primavera, il cui inizio coincide con la fioritura di molte piante mediterranee, il periodo della ripresa della navigazione, dopo la forzata sosta invernale. Questo è anche il tempo per la pulizia e l’ispezione della carena della nostra barca.

Foto 2. La primavera è la stagione durante la quale si mettono in secca le barche per effettuare il controllo, la pulizia e pitturazione, delle carene delle nostre barche, ma è anche l’occasione per controllare la condizione degli anodi sacrificali posti a difesa della corrosione galvanica.

Foto 3-3bis. Gli scafi in acciaio sono quelli maggiormente attaccati dalle correnti galvaniche, da qui nasce l’obbligo di una efficiente protezione catodica.
Foto 4-5. In uno scafo d’acciaio, la corrente galvanica è particolarmente aggressiva, notare l’usura rilevante dell’anodo sacrificale, sicuramente da sostituire.
Foto 6. Nella foto l’anodo di sinistra ha protetto la nostra carena per un anno intero, quello di destra e pronto a farlo per il prossimo anno.
Foto 7. Anodo sacrificale la cui usura ha superato il limite massimo del 75{2e3577d2bd6aebaa150c85c33fcd353783f1aa6c690283591e00ef60b3336fc8}, va sostituito immediatamente.
Foto 8. Anodo sacrificale la cui usura ha raggiunto il 40{2e3577d2bd6aebaa150c85c33fcd353783f1aa6c690283591e00ef60b3336fc8}, potrebbe ancora essere utile per qualche mese, ma quali rischi correrebbero l’asse dell’elica, ma soprattutto la stessa elica in bronzo? Sarà bene sostituirlo con uno nuovo, vista la spesa irrilevante, circa 10 euro.
Foto 9. Tre anodi con una storia diversa, il primo a sinistra ancora utilizzabile, il secondo a destra è consigliabile la sostituzione, il terzo in basso è già stata decisa la sostituzione.
Foto 10. Questa linea d’asse era poco protetta, si nota dalla corrosione del supporto dell’asse, a sinistra, si sono installati due anodi al posto di uno.
Foto 11. Installazione di nuovo anodo sacrificale, sulla poppa, in prossimità delle eliche e dei timoni, zona soggetta ad acqua emulsionata e ricca di ossigeno, fattore che aumenta l’effetto corrosivo della corrente galvanica.
Foto 12. Doppia protezione galvanica di un piede sail drive.
Foto 13-15. Vigorosa protezione galvanica di un sistema poppiero; in questa zona, l’acqua emulsionata con particelle di ossigeno, risultante dall’azione del timone e delle eliche, risulta particolarmente dannosa aumentando la corrosione galvanica. Ed ecco la necessità di numerosi anodi sacrificali.
Foto 14. Protezione separata con due anodi, uno per l’asse ed uno per l’elica a pale regolabili, la sicurezza della protezione galvanica è maggiore.
Foto 16. Anche un vecchio peschereccio, interamente in legno, ha necessità di protezione contro la corrosione galvanica, basta osservare il livello di erosione degli anodi.
Foto 17-18. Le barche in banchina, collegate elettricamente a essa, sono esposte a corrosione galvanica passiva da parte dei metalli delle altre imbarcazioni collegate, per evitare questa corrente galvanica, della quale non siamo responsabili, è sufficiente interporre un separatore galvanico sul nostro impianto.
Foto 19. Resti di una antica nave punica da guerra, esposta al Museo Archeologico di Marsala. Lo scafo, risalente al 241 a.C., era coperto da lastre di piombo per proteggerlo dalle aggressioni dei micro organismi marini, queste lastre nel tempo si corrodevano, erano i primi segnali per l’uomo della corrosione galvanica.
Foto 20. Scala della elettronegatività di alcuni metalli, il riferimento è all’idrogeno il cui valore è 0,00; l’oro è invece il metallo con maggiore elettro potenziale, 1,68 (il più nobile e a corrosione 0); mentre lo zinco è tra i meno nobili e ha, come da tabella, un elettro potenziale di 0,98.
Foto 21. Esempio della pila di A. Volta, lo studioso prese spunto per la sua scoperta dalle esperienze di L. Galvani.
Foto 22. Schema elementare di una cella galvanica.
Foto 23. Foto di Luigi Galvani (1737-1798), lo scopritore della corrente galvanica e dei suoi effetti.
Foto 24 Foto di Alessandro Volta, lo studioso riprendendo, nel 1799, gli studi di Galvani scoprì la sua pila con le conseguenze che noi tutti conosciamo.
Foto 25 Schema elementare di un impianto di protezione galvanica a corrente indotta.
Foto 26. Foto che riproduce l’esperimento di Galvani con le sue note rane.
Foto 27-28. Come già detto nell’articolo, la corrosione galvanica è direttamente proporzionale alla temperatura dell’acqua, alla salinità della stessa e al tempo di permanenza di uno scafo nell’acqua, in quanto a questi parametri i navigatori delle acque oceaniche son più fortunati, viste le maree, la scarsa salinità e la bassa temperatura delle acque rispetto a quelle del Mediterraneo.