Ovunque, persino nel bel mezzo di un oceano, possono pararsi davanti a noi, improvvisamente, ostacoli più o meno pericolosi. Come sempre, la migliore strategia per evitarli è la prevenzione. Ma qualche volta ce ne dimentichiamo.

Lo stupore di chi apprende la notizia di una collisione in mare aperto o l’urto contro un ostacolo invisibile appartiene a chi conosce poco il mare e la sua storia, poiché l’esperienza e la cultura – oltre che la statistica – indicano l’esistenza di un rischio oggettivo, reale, costante. Per non parlare di quello strano fenomeno per il quale, tra due “entità” che potrebbero non interferire neppur lontanamente, si genera una sorta di attrazione fatale che le spinge ad avvicinarsi pericolosamente, talvolta scontrandosi. Succede nella vastità degli oceani; succede persino in aria. Fatto sta che questa specifica tipologia di sinistro marittimo incide per circa il 10 per cento sul totale della casistica e, quasi sempre, il suo esito finale è pesante, visto che, fortunosamente che vada, segna la fine della vacanza.

pericoli

I pericoli oggettivi

Per entrare nel vivo del problema è innanzi tutto necessario dare forma e sostanza ai pericoli oggettivi, quelli cioè che riguardano ogni genere di navigante, compreso il marinaio più attento e scrupoloso.

Il più frequente è rappresentato dagli oggetti alla deriva, cioè, per esempio, tronchi d’albero, bombole del gas, persino container. Il fatto che essi siano quasi sempre semisommersi può nasconderli alla vista anche in pieno giorno, confondendone la sagoma emersa con le ombre generate dal moto ondoso. L’urto contro questo genere di ostacoli è particolarmente pericoloso non soltanto per la carena ma anche per le sue appendici (pinne antirollio, assi, braccetti, eliche, timoni).

Ciò significa che, paradossalmente, i danni possono essere anche più gravi, se non altro perché, oltre a potersi aprire vie d’acqua importanti, possono anche determinarsi gravi guasti al sistema propulsore e agli organi di governo. L’espressione più drammatica di questo sinistro è comunque quella che vede coinvolti, sotto forma di bersagli involontari, bagnanti e subacquei incoscienti: i primi perché si spingono al largo o si allontanano a nuoto dalla loro barca, entrando nel raggio d’azione delle altre unità; i secondi perché privi delle apposite boe di segnalazione.

pericoli

I pericoli prevedibili

Parliamo ora di quegli ostacoli la cui pericolosità è direttamente proporzionale al grado di disattenzione (leggasi di incoscienza, di incompetenza, di stupidità) di chi siede ai comandi. Dunque, uno scoglio affiorante e un basso fondale, ben segnalati sulle carte, non costituiscono alcun pericolo fin quando qualcuno ci passa sopra come un’oca giuliva.

La stessa cosa vale per le trappe da ormeggio, che non hanno affatto – come si usa dire – la cattiva abitudine di arrotolarsi nell’elica: piuttosto sono certi diportisti ad avere la pessima abitudine di ingranare la marcia senza essersi assicurati che esse si siano adagiate sul fondo dopo averle mollate. Anche il traffico, quindi, se tenuto sotto controllo, non costituisce di per sé un vero e proprio pericolo ma, piuttosto, un ulteriore stimolo a tenere gli occhi costantemente ben aperti.

pericoli

A questa categoria di pericoli vanno aggiunti i già nominati bagnanti e subacquei, anche se, stavolta, in condizioni ben diverse da quelle già prese in considerazione. Stavolta, infatti, ci riferiamo a quelle persone che stanno in acqua secondo tutte le regole, scritte e di buon senso: cioè bagnanti che restano all’interno delle aree segnalate e subacquei dotati dell’apposita boa di segnalazione. Pare impossibile – lo dicevamo all’inizio – ma soprattutto questi ultimi sembrano possedere uno speciale magnetismo, capace di attirare la curiosità delinquenziale di quei personaggi che, persino dopo aver scorto a prua il pallone rosso e bianco, proseguono imperterriti la loro folle corsa o – peggio – si avvicinano per capire cos’è quella cosa strana con una bandierina sopra.

pericoli

I fattori di rischio

Messa da parte l’incoscienza, esistono alcuni fattori di rischio che, da soli o in combinazione, possono creare le premesse per una situazione pericolosa.

Il primo possiamo chiamarlo – solo per brevità – distrazione. In realtà, infatti, si tratta di tutti quegli elementi che possono determinarla o favorirla, dunque musica ad alto volume, tv accesa, conversazione, radiotelefono, cellulare eccetera.
Un altro è quello della velocità. La banale conversione aritmetica delle unità di misura ci dice che i 30 nodi di un’imbarcazione corrispondano ai circa 58 chilometri orari di un’automobile. Ma non è così, per tutta una serie di motivi. Uno per tutti: la barca non ha i freni a disco. Dunque, l’abitudine di valutare distanze e tempi di reazione con la mentalità del guidatore è assolutamente pessima.

C’è poi l’assunzione di bevande alcooliche e, per estensione, di qualsiasi altra sostanza – medicinali compresi – capace di influire sulle percezioni. Per esempio, le semplici pastiglie contro il mal di mare hanno l’effetto collaterale di rallentare considerevolmente i riflessi.

Una classica situazione diportistica, soprattutto in crociera, è quella che vede l’affidamento del timone a una persona dell’equipaggio che non è particolarmente pratica. Se questo accade sotto la diretta assistenza di un esperto, è senz’altro una cosa utile, istruttiva e divertente. Diventa molto rischiosa, invece, se si tratta di uno stratagemma del comandante-armatore per ritirarsi anche solo per mezz’ora nella sua bella cabina. Dunque una cosa evitare sempre, ma soprattutto durante la navigazione notturna, quando le scarse condizioni di visibilità aumentano considerevolmente il rischio di urti e collisioni. In tal senso, il pericolo di gran lunga maggiore è costituito dalla nebbia, che rende insostituibile il ricorso al radar e che, perciò, richiede obbligatoriamente la presenza costante in plancia di una persona davvero esperta di questo meraviglioso strumento.

Un discorso a parte a proposito dell’autopilota, apparecchio sul quale tutto è stato detto in termini di utilità ma che può anche trasformarsi in un’arma micidiale. Tanto è vero che la maggior parte delle collisioni in mare aperto avviene proprio quando ad esso è affidato il controllo del timone.

pericoli

Le accortezze importanti

Una volta contenuti i fattori di rischio, ci sono alcune azioni che, dettate dall’esperienza, rappresentano il completamento di una condotta improntata alla giusta prudenza. Torniamo dunque alla velocità, che in molte circostanze e soprattutto di notte, su una barca planante, deve essere opportunamente ridotta (08). Ciò è tanto più necessario sottocosta e in prossimità dei porti, laddove è più probabile che qualche piccola barca mal segnalata stazioni in pesca.

Un altro genere di vicinanza che deve aumentare il grado di allerta è quello che riguarda la foce dei fiumi, soprattutto dopo temporali e piogge abbondanti che, scuotendo la vegetazione e gonfiando i corsi d’acqua, portano spesso al largo tronchi d’albero e detriti di ogni genere.

pericoli

Quando è perfettamente calmo, in totale assenza di vento, il mare è visto come una benedizione dalla maggior parte dei diportisti (ahinoi, persino da parecchi velisti). Durante il giorno, l’effetto-specchio prodotto dalla sua superficie mette in grande risalto qualsiasi oggetto galleggiante, che appare scuro e ben stagliato. Di notte, invece, l’assenza del benché minimo moto ondoso fa sì che quello stesso oggetto resti davvero inghiottito dal buio, non essendo denunciato neppure dalla schiuma che altrimenti potrebbe formarglisi attorno.

Il consiglio di tenere costantemente sotto osservazione la superficie del mare, tanto di giorno quanto di notte, può apparire scontato. Tuttavia, nella maggior parte dei casi, quasi tutta l’attenzione viene istintivamente concentrata in avanti, cioè verso quella porzione di superficie che ci si appresta ad attraversare. Il che è positivo per quanto concerne gli ostacoli galleggianti, ma è assolutamente negativo nei confronti del traffico sopraggiungente (quello proveniente da poppa), che costituisce un pericolo costante particolarmente per le unità lente, come le barche a vela e i dislocanti a motore. Il buio tende a facilitare questo genere di controllo a 360 gradi, in quanto i fanali di via sono visibili anche a notevole distanza.

È importante però che i propri occhi siano ben abituati all’oscurità e, a tal fine, è bene che tutte le luci chiare – persino le più piccole – siano spente e che l’illuminazione degli ambienti e degli strumenti sia affidata unicamente alle luci rosse, che non provocano l’abbagliamento.

pericoli

L’ostacolo improvviso a motore

Soprattutto se si decide di non osservare qualche regola di prudenza, può succedere che un ostacolo si presenti improvvisamente davanti alla prua. In tale situazione, bisogna decidere istantaneamente quale azione intraprendere, tra il frenare energicamente mantenendo la direzione, nel tentativo di fermarsi prima di urtare, e l’accostare il più rapidamente possibile, nel tentativo di scansare l’ostacolo. È quindi chiaro quanto sia importante conoscere il comportamento della propria imbarcazione in condizioni estreme. Basti pensare a quei grossi cabinati che, a velocità di crociera, accostano con una lentezza esasperante. Ma andiamo per ordine.

La frenata senza alcun cambio di direzione può imporsi quando è ragionevolmente probabile che si riesca a fermare la barca prima dell’urto oppure quando si valuta che l’accostata “evasiva” non sia sufficiente a evitare l’ostacolo. Nel primo caso, il pericolo viene evitato per definizione; nel secondo, invece, si accetta implicitamente la possibilità che la collisione avvenga comunque, ma con conseguenze accettabili. Vale infatti la pena di ricordare che la prua (la ruota e il dritto dello scafo) è una parte molto solida, mentre la fiancata, oltre a essere meno resistente, può esporre all’impatto anche le appendici, per esempio le pinne antirollio. Per questo motivo, fatte le doverose distinzioni, la frenata può essere preferibile persino nel caso di un malcapitato bagnante. Vediamo perché.

Figura 1 – Scadimento della poppa

Diversamente da un’automobile che, nel curvare, viene guidata dalle ruote anteriori sterzanti, una barca – qualsiasi barca, indipendentemente dal tipo di trasmissione – modifica la sua direzione spostando lateralmente la poppa.

Per ciò che riguarda il nostro argomento, questa è una differenza assolutamente fondamentale che, una volta di più, dimostra quanto sia bene dimenticare del tutto la propria esperienza automobilistica quando si è ai comandi della propria barca. Infatti, se con l’automobile, per essere sicuri di evitare un ostacolo vicino, basta scartarlo con il muso, con la barca è assai probabile che allo scarto della prua segua l’urto della poppa (figura 1).
Fin qui le traiettorie. Consideriamo ora le stesse manovre dal punto di vista dell’azione sulle leve degli invertitori.

Come appena accennato, esistono barche che hanno una modestissima capacità evolutiva. I venditori poco onesti la presentano come “spiccata stabilità di rotta” ma, in realtà, si tratta di un difetto imperdonabile. È chiaro che, con questo genere di unità, l’opzione della manovra evasiva (l’accostata) è da considerare con molte riserve e solo a condizione di essere capaci di accompagnare l’azione del timone con un’immediata e coordinata azione sulle leve degli invertitori, cioè annullando o addirittura scontrando la spinta dell’elica interna, quella dalla stessa parte verso la quale si intende accostare.

pericoli
Figura 2 – Manovra evasiva a “S”

È invece molto più semplice – e può essere anche molto più produttivo – non toccare affatto il timone, ma inserire rapidamente e fino in fondo la marcia indietro, con buona pace degli invertitori che, notoriamente, non gradiscono questo genere di comportamento. Ma di tutti i possibili mali è certamente il minore.

Va pure notato, per completezza, che una siffatta manovra costituisce un pericolo per le persone a bordo che, in quel preciso momento, non sono correttamente sedute e che, a causa della frenata, possono perdere l’equilibrio e cadere. Perciò, un attimo prima dell’azione, è bene gridare con tutto il fiato di cui si dispone il classico “afferratevi!”, con la speranza che la reazione dei passeggeri sia pronta ed efficace.

Diverso, fin quasi ad essere opposto, è il discorso a proposito delle unità dotate di motore fuoribordo o con piede poppiero. Queste, infatti, possono risultare assai meno reattive alla marcia indietro ma sicuramente sono pronte a rispondere energicamente a qualsiasi sollecitazione del timone, purché, durante la manovra, non venga a mancare la spinta delle eliche che, a ben vedere, sono le vere attrici dell’accostata. Piuttosto, questa particolare agilità rende ancor più marcato il già descritto rischio connesso con lo scadimento della poppa. Motivo per il quale, soprattutto con questo genere di trasmissioni, la più corretta e sicura manovra evasiva non consiste in una semplice accostata ma, piuttosto, in una “S” (figura 2).

Figura 3 – Cappa da Bolina

L’ostacolo improvviso a vela

Le forme di carena di una barca a vela di concezione moderna le conferiscono una spiccata manovrabilità, anche quando procede a motore. Ai fini del nostro argomento questa è una caratteristica molto positiva, in quanto rende lo scafo agile a tutte le velocità, rendendolo assimilabile a un motoscafo dotato di piede poppiero.
Il problema degli ostacoli improvvisi si complica – ma solo apparentemente – quando la barca a vela naviga nel modo ad essa più congeniale, cioè quando è spinta dal vento. Infatti, in questa circostanza, molti velisti reagiscono in maniera scomposta, accostando violentemente a caso o, peggio, mollando tutte le scotte. Quest’ultima manovra, in particolare, è sbagliata sia perché non è affatto detto che consenta a tutte le vele di sventare (pensiamo per esempio alla randa in un’andatura di poppa), sia perché non genera una vera e propria frenata, essendo l’abbrivo di una barca a vela particolarmente lento a esaurirsi.

Figura 4 – Cappa da Lasco 1

Esistono invece alcune procedure rapide e precise che permettono di frenare l’avanzamento e, al contempo, di mantenere il pieno controllo di tutta la tela.

Il principio di base è quello di mettersi alla cappa filante – o in panna – nel più breve tempo possibile.
Dall’andatura di bolina o dal traverso basta semplicemente virare, senza toccare il fiocco (che prende a collo), ponendo lo scafo in posizione normale rispetto al vento (cioè a 90 gradi) e, subito dopo, dare tutto timone opposto filando la scotta della randa.
Sintetizziamo con l’esempio della figura 3.
Fase I: la barca procede con mure a sinistra, timone al centro. “Ostacolo a prua!”
Fase II: diamo timone a sinistra, come per eseguire una virata rapida. Prendiamo in mano la scotta della randa, lasciandola strozzata.
Fase III: la velatura cambia mure e il fiocco, ora bordato sopravento, prende a collo accelerando la virata. Liberiamo la scotta della randa, lasciandola filare per alleggerire al massimo la pressione sulla tela. Contemporaneamente diamo tutto timone a dritta.
Fase IV: lo scafo si ferma, sbandato sottovento (in questo caso a sinistra). Per ripartire, basta riportare il timone al centro, liberare la scotta sopravvento del fiocco, recuperare quella sottovento e mettere a segno la randa.

Figura 5 – Cappa da Lasco 2

Dal lasco, la via più rapida per mettersi alla cappa sarebbe quella di abbattere, puggiando rapidamente e poi dando tutto timone contrario. Il condizionale è imposto dalla molto probabile strambata del boma che, per quanto possa essere pronta l’azione di richiamo sulla scotta della randa, passa pericolosamente sulle teste di chi si trova nel suo ampio raggio d’azione. Dunque, il rischio di farsi male è reale.

Figura 6 – Cappa da farfalla

Comunque, sintetizziamo con l’esempio della figura 4).
Fase I: la barca è stabilizzata, con le mure a sinistra. “Ostacolo a prua!”
Fase II: puggiamo rapidamente, cercando tuttavia di permettere il recupero della scotta di randa prima dell’abbattuta. Appena siamo sulle mure opposte (cioè appena superato il fil di ruota), portiamo il timone alla banda (sempre a dritta) e, contemporaneamente, lasciamo filare la scotta di randa fin quasi a lascare completamente. Il fiocco resta a collo.
Fase III: lo scafo si ferma, sbandato sottovento (in questo caso a sinistra). Per ripartire, basta riportare il timone al centro, liberare la scotta sopravvento del fiocco e recuperare quella sottovento.
L’alternativa a quest’ultima procedura si pone quando la situazione, per un insieme di rapide valutazioni, non consente un’abbattuta sicura. In tal caso non resta altro da fare che orzare. La manovra è certamente meno violenta rispetto a quella precedente – in termini di incolumità per le persone a bordo – ma risulta anche più lunga nel tempo e nello spazio. L’esempio della figura 5 lo spiega in maniera molto chiara.
Fase I: la barca è stabilizzata, con le mure a sinistra.
Fase II: orziamo rapidamente, seguendo l’ampia accostata anche soltanto cazzando la scotta della randa per non perdere tutto l’abbrivo.
Fase III: non appena il fiocco prende a collo, incominciamo a dare timone contrario (tutto a dritta) e a filare opportunamente la scotta della randa. Lo scafo si ferma, sbandato sottovento (in questo caso a sinistra). Per ripartire, basta riportare il timone al centro, liberare la scotta sopravvento del fiocco e recuperare quella sottovento.
Dal fil di ruota, con le vele a farfalla, la manovra di “frenata” risulta ancora più semplice, come dimostra l’esempio della figura 6.
Fase I: la barca è stabilizzata, mure a dritta (fa fede la posizione del boma).
Fase II: orziamo con decisione, lasciando che il fiocco prenda a collo e manteniamo il timone tutto a dritta.
Fase III: lo scafo si ferma, sbandato sottovento (in questo caso a sinistra). Come negli altri casi, per ripartire, basta riportare il timone al centro, liberare la scotta sopravvento del fiocco e recuperare quella sottovento.

pericoli

La collisione

Ipotizziamo che, nonostante tutti gli sforzi, la barca urti contro qualcosa. Se non si tratta di un’altra barca, la prima cosa da fare, dopo essersi fermati con i metodi che abbiamo descritto, è accertare urgentemente “che cosa”, appunto. Il fatto che il colpo non sia stato particolarmente energico o rumoroso non deve assolutamente portare a una sottovalutazione del caso: potrebbe trattarsi di un bagnante o di un gommone, per esempio. Verificato lo stato di salute delle persone e presi gli eventuali provvedimenti, si può passare all’analisi dei danni alla barca. Si deve incominciare ispezionando tutte le sentine, da prua a poppa, alla ricerca di possibili allagamenti. Se ve ne sono, devono essere subito attivate le pompe di esaurimento (se non sono partite automaticamente) e intraprese le opportune azioni di tamponamento. Successivamente è necessario concentrarsi sui timoni e sulla trasmissione. Un primo check può essere eseguito semplicemente verificando che la ruota giri liberamente da un estremo all’altro e che, reinseriti prudentemente gli invertitori (se il fondale lo consente) le eliche girino senza alcuna vibrazione. Ma il migliore – e diremmo insostituibile – controllo complessivo dell’opera viva e delle appendici è quello che può essere eseguito dall’esterno, cioè immergendosi in acqua con maschera, pinne e boccaglio.
In caso di danni gravi non risolvibili, in grado di mettere a repentaglio la vita delle persone, è necessario inviare immediatamente un messaggio di emergenza (Mayday) e prepararsi all’abbandono.
In caso di danni fronteggiabili e sotto controllo (per esempio, avarie parziali della trasmissione e modeste vie d’acqua) è necessario inviare invece un messaggio di urgenza (Pan-Pan) e dirigersi verso il porto più vicino.
Se, com’è augurabile, i danni derivanti dall’urto contro un oggetto semisommerso sono invece esclusivamente di ordine estetico, prima di riprendere la navigazione è doveroso inviare un messaggio di sicurezza (Securité) contenente tutte le indicazioni circa la sua natura e la sua posizione, in maniera tale che le altre unità in navigazione nella zona siano informate del pericolo e che le autorità preposte possano intervenire per la sua rimozione.
E’ comunque chiaro che dopo un urto di questo genere debba essere esercitato un continuo controllo generale al fine di prevenire le conseguenze dei sempre possibili danni occulti, invisibili alle ispezioni superficiali ma estremamente insidiosi nel momento in cui si manifestano.

Titanic
Titanic

L’URTO PIÙ FAMOSO DELLA STORIA

Sir Thomas Andrews, capo progettista della Harland & Wolff, era solito sbandierare in ogni circostanza l’assoluta inaffondabilità del più grande transatlantico che avesse mai disegnato e che stava per essere varato nei cantieri di Queen Island: il Titanic.
Come tutti sanno, i fatti gli dettero tragicamente torto: poco prima della mezzanotte del 14 aprile 1912, proprio durante il viaggio inaugurale, la nave urtò un iceberg e circa due ore e mezza più tardi affondò.

L’analisi dell’incidente dimostra che i danni più gravi furono determinati dalla disperata manovra evasiva che, ordinata dal comandante Smith, portò la nave a urtare l’ostacolo con gran parte della fiancata dritta, anziché con la prua. In altri termini, è assai probabile che, se il timone fosse stato lasciato al centro, la nave sarebbe sopravvissuta all’impatto, grazie alla tenuta della prima paratia stagna anticollisione.