Non di sole scotte e drizze si vive

Ci sono altre manovre, spesso ignorate o sottovalutate dai diportisti, capaci di esaltare le qualità della barca e il nostro piacere di condurla.

Prua al vento, su con la randa, si issa o si apre il fiocco e… e poi vai con le scotte per regolare le vele. In molti casi, la capacità di governo di randa e fiocco si limita all’uso delle due uniche manovre correnti appena citate, con una comparsata del vang che, essendo chiamato anche “ritenuta del boma”, sconta i limiti insiti in questa definizione, al punto che al massimo lo si punta una volta finita la manovra di issata.

Esistono invece, nella famiglia delle manovre correnti, altre protagoniste, la cui entrata in azione può migliorare in modo sostanziale l’assetto e le performance della nostra barca e che, in molti casi, riguardano entrambe le vele.

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Meolo

Il meolo

Partiamo dalla regina delle manovre dimenticate. Per entrambe le vele di uno sloop, si tratta di una sagola che passa all’interno di una piega di rinforzo della balumina chiamata vaina.

La parte terminale di questa manovra esce da una tasca ricavata sulla balumina stessa finendo in un piccolo strozzatore. Nel caso di vele grandi, il meolo può essere anche frazionato.

Spesso accade che la sua regolazione sia, per tutta la vita della vela, esattamente corrispondente a quella impostata dal velaio quando ce l’ha consegnata. La sua regolazione, invece, è utile sia per rendere più efficiente la vela sia per rimediare agli effetti della vetustà.

Soprattutto con venti molto leggeri, se lo si cazza leggermente, si ottiene una chiusura della balumina che ci permette di tenere la scotta della vela un po’ più lasca ricavandone un po’ di potenza in più.

Inoltre, la regolazione del meolo permette di eliminare il fileggiare del bordo di uscita della vela che tende ad aumentare man mano che la vela invecchia in ragione di un suo allungamento, soprattutto se la si è utilizzata – come spesso avviene – anche con venti superiori a quelli indicati nel range per cui è stata realizzata.

In questo caso, tesare il meolo ci permette di eliminare il rifiuto del bordo di uscita della vela guadagnando in velocità.

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Tesabase

Il tesabase

Manovra corrente nel cui nome c’è la funzione cui è destinata, ossia quella di regolare la tensione della base della randa. Frequentemente, invece, viene utilizzata
come un punto fisso, rinunciando alle possibilità di potenziare o depotenziare la vela maestra.

Il principale effetto che si ottiene regolando la tensione del tesabase, è proprio quello di fare aumentare o diminuire il “grasso” della vela, ossia la sua profondità: lascando la manovra, si avvicina il punto di scotta al punto di mura aumentando la profondità della vela, ovvero la si “ingrassa” soprattutto al centro, proprio nella parte più utile a ottenere maggiore potenza; al contrario, cazzando il tesabase si ottiene uno smagrimento della vela.

Quando si devono eseguire queste regolazioni? Certamente quando varia l’intensità del vento. In termini generali, si cerca di dare più grasso alla randa in condizioni di vento leggero, quindi lascando la manovra, e di ridurlo nei rinforzi, cazzando la base per appiattire la randa.

Seppure in crociera sia ben difficile che venga la voglia di farlo, anche al variare delle andature si otterrebbero migliori performance se si regolasse la tensione della base, che va cazzata quando si naviga di bolina e gradualmente lascata nelle andature via via più lasche.

Un riferimento visivo che indica una buona regolazione della base sono le pieghe orizzontali che compaiono sulla vela e che devono essere eliminate lascando la base, fermo restando il fatto che è proprio il rendimento della vela a dire se le regolazioni sono efficaci.

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Vang

Il vang

È una manovra che riguarda solo la randa (anche la mezzana nel caso di armi con due alberi), e deve il suo scarso utilizzo, probabilmente anche al fatto che – come detto all’inizio – viene indicato come “ritenuta del boma”.

Funzione che in effetti svolge egregiamente quando, lascando la scotta della randa, il boma tende ad alzarsi aumentando la svergolatura della vela; in questo caso il vang, correttamente cazzato, impedisce al boma di sollevarsi.

In realtà, le possibilità di regolazione sono diverse e dipendono dalle andature.

Di bolina, gran parte dell’azione sul boma viene svolta dalla scotta della randa che cazzata a “ferro” non consente un’ulteriore regolazione verso il basso. In teoria, ma anche in pratica, ad esempio sulle derive o su alberi piuttosto flessibili, anche di bolina si può cazzare il vang agendo sulla balumina che si tende riducendo lo svergolamento della vela e flettendo leggermente l’albero verso poppa.

Molto più impattate è la regolazione che si ottiene di bolina lascando il vang e la scotta, in quanto il boma si solleva lasciando aprire la balumina aumentando di conseguenza lo svergolamento con una conseguente riduzione della pressione del vento e dello sbandamento.

Via via che si assumono andature più lasche, il vang entra in gioco contribuendo in modo sostanziale, aumentando o diminuendo lo svergolamento, a modificare la forma della randa.

Anche in questo caso, il risultato delle nostre regolazioni è visibile sulla vela, dove si devono osservare gli indicatori di flusso cuciti sulla balumina sventolare distesi e paralleli, oltre che dalle maggiori o minori performance della barca.

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Trasto sopravento

Il trasto

Anche questa manovra riguarda esclusivamente la randa, pur avendo con il carrello della scotta del fiocco una stretta parentela. Sì, è vero, su molte
barche moderne il trasto è scomparso a favore di un punto fisso, e su quelle più orientate all’easy sailing, lo si trova spesso di lunghezza molto ridotta collocato sulla tuga e applicato al centro del boma invece che collocato in pozzetto e applicato alla varea.

Un’evoluzione che, purtroppo, riduce il range di messa a segno della vela maestra. Vediamo perché.

Una volta data la forma corretta alla randa, regolando lo svergolamento con scotta e vang, e il grasso con drizza e base, sarebbe proprio affidato al trasto della randa il compito di dare la giusta incidenza al vento della vela, spostando il boma sopra o sottovento senza modificarne l’altezza.

Nella realtà, anche quando il trasto è presente, normalmente viene tenuto al centro; nel migliore dei casi si utilizza esclusivamente per aumentare lo svergolamento in caso di vento in aumento, portandolo sotto vento e, viceversa, portandolo sopra vento con poca aria per ridurre lo svergolamento e avere più potenza.

Nei limiti di questa regolazione, si può generalizzare dicendo che si scarrella sotto vento quando si avverte la barca troppo orziera e si fa l’opposto quando la si sente troppo poggiera.

In realtà, usando questa manovra in modo combinato con la scotta, si può ottenere una regolazione molto più raffinata. Con vento leggero, per evitare di tendere troppo la balumina e non avere un corretto scorrimento laminare dell’aria sulla vela, si deve tenere la scotta non troppo cazzata.

In questo modo, però, il boma finisce sottovento e per riportarlo verso il centro, entra il gioco il trasto che viene portato sopravento quel tanto che basta.

All’aumentare del vento, la barca inizia a sbandare di più e ad avere anche un maggior scarroccio che si deve evitare. Per questo motivo, mantenendo la forma della randa, si porta il carrello al centro, diminuendo un po’ l’angolo di incidenza al vento e di conseguenza il momento sbandante, ottenendo meno scarroccio e più velocità.

Con vento più forte, si procede secondo lo stesso principio, portando sottovento, quel tanto che basta, il carrello del trasto e, se necessario, cazzando la scotta per tendere la balumina. Tutto questo vale di bolina, con la scotta della randa che, una volta regolata per darle la forma, non viene praticamente toccata.

Al traverso il trasto ci consentirà di portare ancora più sottovento il boma dando la giusta incidenza al vento. Oltre il traverso è preferibile tenete il trasto al centro e lavorare solo con scotta e vang, anche per una questione di sicurezza: nel caso di una strambata involontaria, oltra al boma che spazza il pozzetto, ci sarebbe anche il carrello del trasto che correrebbe violentemente da un lato all’altro.

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Carrello del fiocco

Il carrello del fiocco

Al pari del trasto della randa, il carrello del fiocco regola lo svergolamento della vela. Mentre con la scotta ne regoliamo la concavità. Spostando avanti il carrello, quindi il punto di scotta, si tende verso il basso la balumina, riducendo lo svergolamento e chiudendo nella parte alta la vela.

Viceversa, arretrando il carrello, si tende la base togliendo tensione alla balumina, con il conseguente aumento dello svergolamento. Anche in questo caso possiamo fissare una regola generale: all’aumentare del vento si arretra il punto di scotta del fiocco spostando indietro il carrello, ottenendo un aumento dello svergolamento e una vela più scarica; con vento leggero, si posta avanti il punto di scotta del fiocco, riducendo, fino quasi ad annullarlo, lo svergolamento, ottenendo così una vela più grassa e potente.

Come tutte le regole generali vale fino al confronto con i vari casi specifici.

Quindi rimane valida la necessità di guardare la vela e agire di conseguenza.

Se gli indicatori di flusso nella parte alta sono in turbolenza, mentre quelli centrali sono belli paralleli a indicare un corretto scorrimento dell’aria, il carrello va portato in avanti, in modo da chiudere la vela nella parte alta dove il vento è generalmente più forte con un apparente maggiore e con un angolo più stretto. In questo modo si riduce lo svergolamento della vela nella parte alta per orientare correttamente quella parte alla direzione del vento.

Viceversa, lo si porta indietro quando si ha la necessità di aprire la parte alta aumentandone lo svergolamento se gli indicatori di flusso pendono verso il basso in assenza di aria o se quello sottovento è in turbolenza, a segnalarci che in alto la vela è troppo chiusa.

Quindi: vento leggero e andature portanti, si porta avanti il carrello del fiocco per ridurre lo svergolamento; vento forte e andature risalenti, si porta tendenzialmente indietro.

Infine, altro caso su cui intervenire con il carrello, è quello relativo a una riduzione di superficie rollando la vela, quando il punto di scotta si sposta in alto e verso prua, con la conseguente necessità di portare avanti il carrello per evitare una eccessiva tensione alla base.

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Paterazzo

Il paterazzo

Il paterazzo rientra nella famiglia delle manovre fisse. Fino agli anni ’80 era costituito essenzialmente da un cavo di acciaio non regolabile, se non attraverso l’uso degli arridatoi, quei tornichetti collocati alla base che permettono di dare la giusta tensione come si fa con le sartie.

Ragione per cui, ancora oggi, in presenza di un paterazzo fisso, la regolazione è un’operazione di rigging che viene effettuata al momento della posa dell’albero senza la concreta possibilità di intervenire in manovra.

Oggi le cose sono cambiate e con l’avvento e la sempre maggiore diffusione di sistemi in tessile o idraulici, il paterazzo è diventato una vera e propria manovra regolabile con precisione e immediatezza.

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Paterazzo cazzato

In questa configurazione, la sua funzione principale è quella di modificare la forma sia della randa sia del fiocco, smagrendole quando lo si cazza e dando loro grasso quando lo si lasca.

Premesso che gli effetti di un’azione sul paterazzo dipendono dal tipo di armo, dalla qualità dell’albero, da quanto sono acquartierate le crocette, in termini generali si può dire che quando lo si cazza si appoppa la parte alta dell’albero mettendo in tensione lo strallo di prua.

La parte centrale dell’albero, invece, si flette in avanti dando una curvatura all’albero che smagrisce entrambe le vele spostando il grasso in avanti e riducendolo. Gli effetti sulla navigazione sono identici a quelli che si ottengono ogni qual volta che si smagriscono le vele, ossia la barca riduce il suo sbandamento e diventa meno ardente.

Quando si lasca accade il contrario, ovvero lo strallo di prua aumenta la sua curvatura, ossia la catenaria, dando al fiocco una maggiore profondità. Anche la randa ne risente, in quanto l’albero, perdendo la sua curvatura in avanti, non “tende” più la vela maestra restituendole grasso che si sposta verso poppa. Ne consegue che con vento leggero, di bolina, il paterazzo non deve essere troppo cazzato, cosa che invece si fa all’aumentare del vento.

Se le crocette sono molto angolate verso poppa, molto acquartierate quindi, lo si deve solo appuntare se non tenere quasi in bando. In poppa, sempre con crocette angolate, la tensione del paterazzo deve diminuire.

Anche in questa andatura, molto dipende da quanto sono angolate verso poppa le crocette: se sono ortogonali, quindi al paterazzo è affidato tutto il compito di sostenere l’albero, deve essere tenuto cazzato un minimo fino a cazzarlo al massimo quando il vento aumenta.

Al contrario, quando le crocette acquartierate assorbono gran parte del carico dell’albero, con venti leggeri lo si può tenere quasi in bando aumentando la tensione all’incrementare del vento.