In una rivista di nautica del 1969 ho trovato un redazionale che mi ha colpito, in cui un noto come il cantiere di allora aveva diffuso la notizia che riporto, riferendosi a cabinati a motore in vetroresina: “Gli scafi, che di serie vengono venduti nel consueto color bianco possono essere, a richiesta del cliente, vivacemente colorati. Il colore viene direttamente mescolato alle resine all’atto della costruzione dello scafo, in modo tale che rimane assolutamente inalterabile e non richiede periodici ritocchi”.

Inalterabile? Mica tanto: il tempo passa e ha dimostrato, al contrario, che il gel-coat di colore bianco è il meno alterabile – al massimo ingiallisce – mentre altri colori del gel-coat, come il blu, il nero, il celeste, il rosso e il verde scoloriscono in modo evidente e sgradevole.

Questo è dimostrato anche dal fatto che ormai molte barche di oggi non vengono più protette da gel-coat colorato, ma verniciate con ottimi smalti in commercio, che restano lucidi a lungo e non virano di colore facilmente.

Nella foto in alto appare chiaro che sotto allo scudo d’acciaio dell’ancora è stato fatto un ritocco con smalto blu ed è ben evidente la differenza di colore con il gel-coat blu precedente, col quale la barca è nata. Il gel-coat si era scolorito a festoni verticali chiari col passare del tempo ed era stato probabilmente lucidato per ritrovare il tono originale, mentre il ritocco all’estremità prodiera dello scafo è stato fatto con lo smalto ma, dopo qualche tempo, il gel-coat è nuovamente scolorito ed ora è ben visibile la macchia blu del ritocco a smalto.

E’ facile capire che, se si vuole uno scafo di colore diverso dal bianco, oggi forse è meglio sperare che il gel-coat scuro sia di eccellente qualità o farlo verniciare all’origine con gli smalti colorati in commercio, molto resistenti.

Come si vede i toni trionfali degli inizi dell’utilizzo della vetroresina vengono smorzati con il passare del tempo: solo la pratica ci insegna la verità.

Sempre a proposito di notizie sulla vetroresina ho trovato un altro gioiellino pubblicato in una rivista francese dello stesso anno: “Viva il controstampo! La vetroresina è il più magnifico dei materiali e l’aspetto dello scafo all’interno ne è la prova. Viva il controstampo, grazie al quale le superfici degli interni sono brillanti lucide e facili da mantenere”. Quest’ultima affermazione pubblicitaria è esatta, anche se gli interni in vetroresina vengono arricchiti nei cantieri di costruzione in grande serie, con paratie e arredi in compensato di varie specie di legno, come il frassino, il teck, il mogano, il ciliegio, l’afrormosia o altre. Va però detto che non sempre il controstampo nelle barche a vela è accettato dalla clientela, perché, in caso di urto con il bulbo, la riparazione è più complessa e costosa di quanto avvenga invece in uno scafo non controstampato.

Va detto che se uno scafo non è controstampato, tutta la carena è ben ispezionabile e riparabile alzando i paglioli. Ma una barca può essere controstampata totalmente, per cui in caso di urto ci troviamo di fronte a due gusci, uno interno a l’altro esterno, oppure può essere controstampata solo in parte (foto 2), per cui le zone dello scafo intorno al bulbo e alle sue strutture di rinforzo sono ben accessibili e si può intervenire un po’ più facilmente. Ma se il controstampo è totale è chiaro che in caso di urto con il bulbo può accadere che non si rilevino danni all’interno, che però si scopriranno solo mettendo la barca a terra a fine stagione, quando si vede che tutto intorno al bulbo il gel-coat è saltato o ci sono fratture, come nella foto 3. Ecco perché una barca con il controstampo a volte non è gradita all’acquirente.

In quanto poi all’affermazione che la vetroresina sia il più magnifico dei materiali, c’è parecchio da ridire: è certamente pratico, richiede ben poca manutenzione, ma la sua bellezza è ancor oggi piuttosto fredda. O no?