Nell’epoca attuale, in cui la maggior parte delle barche è fatta di vetroresina, la coperta in teak, anche quando è un optional, è giustamente considerata un abbellimento di valore, oltre che essere l’unico sistema per mettere un pò di legno all’esterno di una barca in vetroresina, un ottimo materiale, ma freddino ed esteticamente poco accattivante.

Quando una barca ha il ponte in teak costa più di una dello stesso modello senza questo nobile rivestimento. Ciò avviene perché rivestire una coperta è molto oneroso, sia a causa del costo del teak e dei sigillanti, sia soprattutto per l’enorme quantità di ore di lavoro necessarie per applicare un ponte in teak massello a filarotti longitudinali su un ponte preesistente in vetroresina, in acciaio o in altro materiale.

Se il valore di una barca risente anche della presenza della coperta in teak, deve risentire anche delle condizioni in cui questa si trova: è inutile e furbesco vantare il ponte in teak come un elemento di maggior valore, quando è macchiato, sporco in modo indelebile, consumato in più punti, con la gomma saltata per decimetri e decimetri, con le viti che affiorano un pò ovunque e con crepe nei filarotti.

C’è poco da vantarsi di una coperta da rifare, considerando che per una barca a vela di 10 metri, il rifacimento del teak del pozzetto e della coperta comporta una spesa non inferiore a una quindicina di milioni, che diventano venticinque-trenta se la barca è appena più grande. Quello che veniva presentato come un elemento di valore, si dimostra in realtà spesso un elemento negativo, proprio perché, a causa delle condizioni della coperta si sarà obbligati a sostituirla, sostenendo così una spesa percentualmente importante rispetto al costo della barca.

Prima di entrare nel dettaglio delle condizioni in cui si può trovare con il passare degli anni una coperta, analizziamo i vari sistemi costruttivi.

Una coperta può essere realizzata in teak massello, ma anche in iroko o in altri legni (e non è la stessa cosa) in compensato marino a comenti longitudinali disegnati, in tredmaster, in linoleum o in tela verniciata. Il miglior materiale per rivestire una coperta è il teak, un legno asiatico di colore marrone chiaro quando è appena tagliato, che diventa gradevolmente grigio con il passare del tempo, facilmente lavorabile e incollabile, poco soggetto a torsioni e fessure, e, se ben stagionato, tra i legni più durevoli e più gradevoli al tatto, perché leggermente untuoso.

Questa essenza ha infatti la caratteristica di essere durevole perché è ricca di oli propri, che la impermeabilizzano dall’acqua e, dunque, tendono a mantenere abbastanza uniforme il grado di umidità contenuta nel legno. Questo fa sì che l’alternarsi di sole e acqua non abbia grosse conseguenze sulla durata del teak, durata che sarà massima soltanto quando gli oli del legno non verranno estratti e quando il tenore di umidità contenuto sarà abbastanza costante.

Ma non si usa solo questa essenza per le coperte, perché nelle costruzioni più economiche, si può trovare il rivestimento del ponte fatto in iroko, anche se spacciato per teak, più o meno in buona fede. L’iroko è una pianta non asiatica come il teak, ma africana, che ha caratteristiche simili al teak ma ha il difetto di scurire molto col passare del tempo fino a diventare di colore caffè, e ha il non trascurabile difetto di essere sempre soggetto a fessurazioni abbastanza profonde e trasversali alla fibra, o almeno angolate, mentre le eventuali fessure nel teak sono sempre longitudinali, più superficiali, molto più sottili e meno appariscenti e sgradevoli.

Nelle barche da pesca o da lavoro tradizionali la coperta, il più delle volte, era in tavole di pino o di larice larghe almeno 20 centimetri, calafatate e stuccate nei comenti (i giunti tra tavola e tavola) e verniciate di smalto chiaro, sopra ad una base impregnante e protettiva di minio. Coperte del genere se ne trovano ancora su vecchie barche a motore e possono dare buone garanzie di durata; hanno lo svantaggio di essere meno quotate della coperta in teak, pur avendo il grande vantaggio di essere maltrattabili e di essere facilmente verniciabili.

Tornando alla coperta in teak, ricordiamo che sulle barche da diporto classiche i filarotti (cioè i corsi longitudinali che formano il piano di calpestio) venivano appoggiati direttamente sui bagli e di conseguenza il teak aveva uno spessore di almeno 2,5 centimetri, che arrivava a 5 centimetri nelle barche più grandi: col passare degli anni lo spessore di questo legno è stato ridotto al punto tale che oggi il teak utilizzato per rivestire una coperta in vetroresina o in altro materiale viene fornito al cantiere con uno spessore standard di circa 8-9 millimetri, che si riducono più o meno a 7 millimetri alla fine dell’applicazione.

Sette millimetri non sono tanti e si consumano abbastanza alla svelta. Bisogna infatti considerare che se una coperta in teak viene soltanto spazzolata e lavata, nel corso di un anno perderà circa un terzo di millimetro di spessore, che aumenterà a mezzo millimetro se prima dell’estate viene leggermente carteggiata per spianarla e per ritrovare il color teak fresco. Considerando che i comenti in una coperta di teak hanno una profondità normale al nuovo di circa 3 millimetri, appare evidente che dopo un periodo di sei- otto anni, una coperta, pur trattata bene, comincia a mostrare evidenti i segni dell’età, dato che la gomma, ormai troppo sottile, salta via dai comenti, facendone vedere l’antiestetica giunta sottostante. Morale: anche una bella coperta in teak oggi non può durare molti anni.

Oltre allo spessore, che non può essere aumentato se non su richiesta e molto raramente, in una coperta è importante la larghezza dei filarotti: questi tradizionalmente sono larghi circa 5 centimetri. Se sono molto più stretti, come talora usava sulle barche da regata, aumenterà il numero dei comenti e di conseguenza le possibilità di infiltrazioni, mentre comenti più larghi si possono trovare sulle barche a motore o sulle navi da diporto, dove i filarotti vengono montati longitudinalmente paralleli alla chiglia e di conseguenza assolutamente rettilinei.

Salvo che nelle barche più piccole, cioè fino a circa 6 metri, i corsi di teak non sono di un unico pezzo da prua a poppa, ma costituiti da più filarotti, montati uno dopo l’altro: le teste possono essere a squadro, come tradizionale, mentre attualmente, per qualche motivo estetico che non riesco a individuare, talora i corsi vengono giuntati tra loro non in squadro ma tagliati a parella, cioè a becco di flauto, con un lungo taglio diagonale.

In questo caso non c’è gomma tra una giunta e l’altra perché i filarotti vengono incollati, pur restando evidentemente la gomma nei comenti longitudinali. I filarotti possono essere montati diritti o curvi: sono diritti quando i corsi sono rettilinei e paralleli alla chiglia, per cui i filarotti si incastrano sul trincarino perimetrale che fa da cornice alla coperta, mentre saranno curvi quando, come nel caso delle barche a vela, verranno piegati per seguire il più possibile la curvatura dell’orlo della coperta stessa.

Questo sistema è utilizzabile soltanto quando la coperta ha una curvatura regolare e quando sarà possibile spendere molto di più perché i filarotti in questo caso, dovendo essere curvati, richiederanno maggior lavoro perché ci saranno da fare incastri sia sul trincarino laterale della coperta, sia sui trincarini che fanno da cornice alla tuga e al pozzetto, sia al trincarino centrale.

Talora, in costruzioni di minor pregio, tradizionali o eseguite da personale poco marinizzato, si potranno trovare forme miste di filarotti o addirittura filarotti che si incrociano al centro della coperta a spina di pesce come in un parquet. Questa è una soluzione poco diffusa, poco tradizionale ed esteticamente non apprezzata.

Fissaggio dei filarotti
Se la barca è in legno i filarotti possono essere montati direttamente sui bagli, se il teak è di forte spessore, oppure possono essere montati sopra ad un foglio di compensato che dovrebbe garantire l’impermeabilità della coperta. Quando il teak viene riportato invece su una coperta in vetroresina, tra il teak e la vetroresina ci sarà soltanto un adesivo (epossidico o gommoso) e non si troverà mai il compensato.

Tornando al caso di una coperta su una barca in legno, il fissaggio potrà essere fatto con chiodi messi alla traditora, cioè di sbieco, con le teste annegate nei comenti longitudinali, oppure con chiodi verticali, con chiodi orizzontali che cuciono un filarotto all’altro, oppure con viti con la testa tappata da una caviglia di teak.

Ognuno di questi sistemi è valido, però col passare del tempo i chiodi possono affiorare in modo diverso e diversamente sgradevole: in una vecchia coperta fissata con chiodi verticali o alla traditora si noteranno nei commenti gommati dei segni più o meno tondi e rugginosi, mentre nelle coperte cucite con chiodi orizzontali – sistema fortunatamente non più impiegato – apparirà improvvisamente, per consumo del teak, il chiodo rugginoso in tutta la sua lunghezza.

Nelle barche in vetroresina, invece, i filarotti vengono semplicemente incollati alla vetroresina sottostante, oppure incollati ed avvitati. In questo caso si noteranno sulla coperta delle file a intervalli regolari di tappi in teak che coprono le teste delle viti, pur sempre gradevoli a vedersi. Da evitare come la peste il fissaggio dei filarotti di teak alla coperta in vetroresina con rivetti, anche se coperti da tappi.

Questo sistema è stato impiegato – per fortuna raramente – da qualche cantiere, dimentico del fatto che quando la coperta si consuma i tappi saltano, i rivetti appaiono e, essendo forati in centro, fanno passare acqua nello spessore della coperta o nello spazio tra coperta e controstampo. Il fissaggio con rivetti deve essere invece sostituito con un incollaggio o con viti a testa tappata.

Dopo aver concluso questo esame dei sistemi costruttivi delle coperta in teak massello, proseguiamo parlando di altri materiali, meno utilizzati nelle barche da diporto.

Il primo è il rivestimento con fogli di compensato di mogano, con la faccia superiore di teak. In questo caso si vede subito che la coperta è realizzata con fogli di compensato ad imitazione del teak perché le giunte dei filarotti sono tutte sulla stessa linea trasversale, che è soltanto la giunta tra due fogli contigui.

Questa non è definibile una coperta in teak perché lo spessore varia da 1 a 3 millimetri, col risultato che dopo pochissimi anni la parte superficiale del teak si consuma e appare in trasparenza il sottostante strato di mogano rossiccio, con la venatura a 90 gradi rispetto alla venatura longitudinale del teak. Inoltre, siccome è molto facile imitare dei comenti, qualche costruttore si sbizzarisce stupidamente nell’inventare cornici, mastre e stondature che però continuano a presentare una vena longitudinale, mentre le stesse parti, se fossero fatte in teak massello, avrebbero curvature diverse secondo il pezzo.

Una coperta in compensato con faccia a vista in teak costa infinitamente meno della stessa in massello, dura molto meno, è più brutta e non è mai apprezzata perché è la classica soluzione «vorrei il teak ma non posso». In questi casi, se fortunatamente la coperta è da rifare, sarà meglio togliere tutto il compensato e dare alla coperta in vetroresina qualche mano di ottima pittura antisdrucciolo: bella, gradevole, economica, utile e pratica. Se non si apprezza l’aspra rugosità degli antisdruccioli tradizionali (che sono smalti caricati con microsfere), si potrà rendere antiscivolo la coperta con uno smalto gommoso antisdrucciolo come ad esempio il Decolay della Cecchi.

Ripetiamo: non si cerchi mai di contrabbandare una coperta rivestita di compensato con una di teak. Un altro sistema usato una volta nelle barche a motore era quello di rivestire una coperta in compensato con del linoleum che imitava o i filarotti di teak o il legno chiaro. La soluzione, economica, era quella tipica dei Supercatalina 28 della Chris Craft che molti ricordano: attualmente non viene più utilizzata se non per alcuni paglioli interni dei gavoni di poppa o della sala macchine.