Il fenomeno delle specie “aliene” nel Mediterraneo è noto ed è in atto da tempo. Si tratta di animali e vegetali prima non presenti nel bacino e successivamente introdotte per cause attribuibili all’agire umano.

A partire dalle navi in ingresso da Gibilterra o da Suez, la cui gestione delle acque di sentina e le incrostazioni presenti sullo scafo fungono da vettori improvvisati di specie provenienti da altri mari, che finiscono per insediarsi con profitto nei nostri. Allo stesso modo accade per esemplari liberati in mare o nei fiumi per svariati motivi, non ultimo quello costituito dai maldestri tentativi di inserimento a scopo commerciale o ricreativo.

Si stima che, tra Mediterraneo e Mar Nero, vi sia un migliaio di specie aliene o “alloctone”, ovvero non tipiche e provenienti da oltre Mediterraneo. Ma quella di cui maggiormente si parla oggigiorno è il granchio blu, vero dominatore degli ambienti costieri salati e salmastri.

 

granchio reale blu

 

Due le specie registrate: Callinectes sapidus (granchio reale blu o granchio azzurro) e Portunus segnis (granchio nuotatore blu), che stanno diffusamente colonizzando i mari italiani (la prima segnalazione di granchio blu in Italia risale al 1949), dall’alto Adriatico fino alla coste sarde. Originarie rispettivamente delle coste atlantiche del Nord America e di quelle africane dell’Oceano Indiano, la loro principale fonte di nutrimento è costituita da molluschi bivalvi, come mitili e vongole, di cui sono insaziabili predatori. Ma non disdegnano pesci e crostacei, compresi i propri simili. In pratica, sono onnivori e il problema si pone per il “vuoto biologico” che esercitano nell’habitat in cui vivono.

Le dimensioni (sono stati pescati in Italia esemplari superiori al chilogrammo, come nella laguna del Calich ad Alghero, utilizzando pollo come esca), la forza delle possenti chele (in grado di tagliare anche le maglie delle reti), la voracità, la capacità riproduttiva (una femmina può deporre oltre 2 milioni di uova) e pochi predatori naturali, ne fanno una specie decisamente invasiva e deleteria per gli equilibri biologici delle zone in cui si sono insediati.

Un problema crescente è quello riscontrato dai pescatori lagunari e dagli allevatori di bivalvi, di cui i granchi si nutrono, che hanno denunciato gravi danni alle proprie attività chiedendo quantomeno rimborsi per il danno subito. Ad agosto, il Governo italiano ha stanziato quasi 3 milioni di euro per incentivare chi si occupa di catturare e smaltire i granchi e il Ministero dell’Agricoltura ha poi messo sul piatto altri 10 milioni di euro, oltre alla possibilità di pescarlo a strascico entro le 3 miglia dalla costa, in deroga alle norme.

 

granchio reale blu

 

L’altra soluzione è catturare in massa i granchi per mangiarli, essendo specie commestibile e per molti ottima da cucinare. Non a caso, è già entrato nel menu di molti ristoranti, con tanto
di pizza dedicata. È possibile trovarlo nelle pescherie e nei market, con brand della grande distribuzione organizzata che ne propongono l’acquisto rimarcandone il consumo sostenibile e rispettoso dell’ambiente. Un fenomeno nascente, questo, che pare seguire i trend inflativi, visto che i prezzi di vendita, dagli iniziali 3-5 euro al chilo, si sono triplicati. Ma l’invasione di granchi alieni sembra non avere fine. Recentemente, in Adriatico (coste di Senigallia), è stata segnalata un’altra specie di granchio non mediterranea.

Si tratta del cosiddetto granchio crocifisso (Charybdis feriata), originario dell’indopaficico e probabilmente, come accaduto per gli altri, introdotto accidentalmente da navi di passaggio. Le minacce costituite dalla presenza di queste specie possono riguardare anche altri aspetti, che vanno valutati.

Come ha ricordato Giovanni Di Guardo, già professore di Patologia generale e Fisiopatologia veterinaria all’Università di Teramo, “la presenza di una o più specie aliene, oltre a caratterizzarsi per l’impatto esercitato sulle catene trofiche di una determinata area geografica, può altresì associarsi all’ingresso di agenti patogeni potenzialmente costituenti un’ulteriore minaccia per il già precario stato di salute e di conservazione degli ecosistemi marini ed oceanici”.