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Quella trascorsa, anche per le alte temperature che l’hanno caratterizzata fino a settembre, è stata un’estate record per la nidificazione di tartarughe marine in Italia. Non solo per la l’alto numero, ma anche per l’ubicazione, lasciando supporre come l’areale riproduttivo e la frequentazione di acque costiere della specie Caretta caretta sia in espansione, soprattutto verso Nord.

tartarughe marine

A tracciare un quadro aggiornato del fenomeno è il sito web Tartapedia.it, dove vengono raccolte le segnalazioni italiane. A metà ottobre, sono stati censiti almeno 245 nidi, la maggior parte dei quali in Calabria (77), seguita da Campania e Sicilia (57 ciascuna) e Puglia (21). Di rilievo i siti più a Nord mai rilevati nel Mediterraneo (Jesolo, nel mar Adriatico, e Finale Ligure, nel mar Ligure), senza considerare i tanti arenili scelti per la prima volta dai rettili per la deposizione.

Una stagione record anche per la Sardegna, nelle cui spiagge sono stati segnalati ben 11 nidi, con quasi un migliaio di uova rinvenute. Come noto ai ricercatori, la percentuale di lieti eventi dipende da fattori naturali, quali il calore e l’umidità del nido, per cui molte uova possono non schiudersi, oltre a decidersi il sesso in base alla temperatura in cui si sviluppa la covata. Per questi motivi, i nidi individuati sono stati seguiti con scrupolo da volontari, associazioni, ricercatori ed istituzioni, evitando che la schiusa potesse essere compromessa dal disturbo umano e da elementi ambientali sfavorevoli (ad esempio cali termici, piogge e mareggiate), salvando intere nidiate da un probabile insuccesso.

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Uno degli ultimi interventi è avvenuto a fine ottobre nella località salentina di Salve, dove gli operatori del CRTM del Museo di Storia Naturale del Salento di Calimera, hanno salvato una cinquantina di neonati (hatchlings) rimasti bloccati nel nido, in presenza di condimeteo avverse.

A volte capita che i nidi passino inosservati e se ne riveli la presenza dalle tracce della schiusa. Ma le tartarughe marine caretta, balzano alle cronache anche per gli spiaggiamenti di esemplari morti o feriti. La casistica è varia e riguarda principalmente l’incontro con attrezzature da pesca (reti, lenze ed ami) o l’impatto con barche a motore (eliche), ma anche la ben nota ingestione di rifiuti, di materie plastiche in particolare, che ne ostruiscono l’apparato digerente. Se l’animale trovato è ancora vivo, viene portato nel centro di recupero più vicino per essere curato e riabilitato, con l’obiettivo finale del rilascio in mare aperto.

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Uno degli appuntamenti di maggior successo, c’è stato il 9 ottobre a San Giovanni di Sinis, nel golfo di Oristano, con madrina Licia Colò. Organizzato dal locale centro di recupero CreS con l’Area Marina Protetta Penisola del Sinis – Isola di Mal di Ventre, l’evento ha visto la liberazione di Genoveffa, Gavino, Elettra e Azzurra, quattro tartarughe caretta ospitate nel centro, alle quali sono stati applicati tag satellitari di ultima generazione, per monitorarne spostamenti e parametri salienti delle acque frequentate.

Una storia unica è quella di Genoveffa e Gavino, vissute in cattività per ben 35 anni, 25 dei quali trascorsi nell’acquario di Alghero ed il resto presso il CreS. Lo spartiacque ci fu nel 2011 e nel 2013, quando gli esemplari vennero trasferiti definitivamente al centro di recupero su disposizione dell’Autorità Giudiziaria del Tribunale di Sassari, a causa delle precarie condizioni di salute in acquario. “È stato un evento senza precedenti, unico al mondo – ha detto il direttore dell’AMP Massimo Marras – in quanto non risultano altre liberazioni di esemplari di Caretta caretta dopo tanti anni di cattività. Solamente Jacques Cousteau fece un esperimento simile, con una tartaruga verde, e gli studi di allora dimostrarono che l’animale proseguì la sua vita senza difficoltà, essendo creature note per la loro longevità”.

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