È ormai a tutti noto che il 17 giugno 1998 è entrata pienamente in vigore la Direttiva 94/25/CE (approvata con D.Lvo 436/96 modificato dal D.Lvo 205/97 e dalla legge 413/98) con la quale sono state introdotte nella normativa sulla nautica le unità da diporto con “Marcatura CE” aventi una lunghezza compresa tra m 2,50 e m 24.

A partire da tale data, le unità da diporto di nuova costruzione, per poter essere commercializzate nell’ambito del territorio comunitario, indipendentemente dal Paese in cui è avvenuta la costruzione, devono riportare la Marcatura CE. Non è importante il Paese (comunitario o terzo) in cui è avvenuta la costruzione ma è rilevante possedere i requisiti previsti dalla Direttiva ed attestati con la sigla CE.

La filosofia del nuovo approccio alle direttive comunitarie è basato sulla libera circolazione dei beni, oltre che delle persone e dei servizi. Per tale motivo, oggi, nessuno Stato dell’Unione Europea può impedire l’ingresso sul proprio territorio di un prodotto marcato CE né può rifiutare la sua commercializzazione, a meno che non si voglia far ricorso alla clausola di salvaguardia (unica arma di difesa per gli Stati membri), qualora nasca il sospetto che tale prodotto non sia effettivamente realizzato in modo da non mettere in pericolo la sicurezza e la salute delle persone o dell’ambiente, principi questi ultimi validi per tutti i prodotti che riportano il marchio CE.

Per le unità da diporto il marchio è attestato da una targhetta fissata sullo scafo che riporta anche il codice del costruttore, la categoria di progettazione (A, B, C o D), di particolare importanza per l’impiego dell’unità nelle diverse condizioni meteo-marine, la portata massima consigliata dal costruttore (pesi a bordo) nonché il numero delle persone per il cui trasporto l’unità è stata concepita.

Nulla è cambiato, invece, per le imbarcazioni da diporto sprovviste di marchio CE costruite secondo i criteri e i requisiti tecnici di cui alla legge 11.2.1971, n. 50 e successive modificazioni, che alla data del 17 giugno 1998, erano già iscritte nei registri.

Ma non è questo l’argomento di cui vogliamo parlare anche perché sulla questione, “Nautica” è intervenuta più volte con numerosi articoli e fornito in più occasioni risposte e chiarimenti ai dubbi dei diportisti.

Ora, invece, vogliamo affrontare, a distanza di due anni dalla sua entrata in vigore, la concreta applicazione della Direttiva. Proviamo, come si suol dire, a fare il “punto nave” della situazione alla luce delle esperienze nel frattempo acquisite, sia con riferimento alle unità per le quali la Direttiva non si applica, secondo le previsioni dall’art. 1 – comma 3 della Direttiva, sia a quelle unità di bandiera extra-comunitaria che, pur essendo sprovviste del Marchio CE, possono continuare a rientrare nel mercato comune per essere iscritte nei registri delle imbarcazioni da diporto, alla luce delle precisazioni interpretative fornite sulla Direttiva 94/25/CE dalla Commissione Europea.

Esaminiamo, quindi, il campo delle esclusioni della Direttiva 94/25/CE, con il commento per ciascuna delle tipologie di unità escluse. La normativa non si applica:

a) alle navi da diporto (unità superiori a m 24 fuori tutto). Tali unità in attesa di una normativa specifica continuano a essere costruite secondo le norme tecniche in vigore nei singoli Paesi dell’Unione.

La materia è piuttosto complessa, perché il numero delle navi da diporto (sia di bandiera nazionale che comunitaria) utilizzate direttamente dal proprietario/armatore è molto esiguo. Secondo dati disponibili, le navi da diporto di bandiera dell’U.K. (inglesi) sono circa 900 e solo il 10{2e3577d2bd6aebaa150c85c33fcd353783f1aa6c690283591e00ef60b3336fc8} viene utilizzato direttamente dal proprietario, mentre il resto viene impiegato nel charter mondiale e cioè destinate a trasportare i passeggeri a bordo, nel quadro delle attività ricreative e sportive di cui all’art. 10 – comma 11 della legge 23.12.1996, n. 647.

Per i motivi accennati sono in corso studi e approfondimenti anche a livello europeo, affinché le navi da diporto vengano costruite secondo i criteri e le modalità stabiliti dalle norme internazionali (convenzione di Londra Solas ’74 (83) sulla sicurezza della navigazione e la salvaguardia della vita umana in mare, ovvero la Convenzione del 1966 sul bordo libero e la linea di massimo carico, qualora il numero dei passeggeri a bordo non sia superiore a 12 persone, escluso l’equipaggio).

b) alle unità inferiori a m 2,50;

c) alle unità da diporto destinate a regate, comprese quelle a remi e per l’addestramento al canottaggio, qualificate tali dal costruttore: queste comprendono le canoe da gara e le altre barche progettate esclusivamente per gare e competizioni.

Da sottolineare che l’esclusione dalla Direttiva di tali unità è stata ideata tenendo conto che taluni progetti di costruzione sono estremamente spinti. Per tale motivo sarebbe molto difficile adottare parametri tecnici di costruzione comune (si pensi agli offshore);

c) canoe, kayak, gondole, pedalò, sommergibili, tavole a vela, veicoli a cuscino d’aria e aliscafi. Tutte queste unità, per la loro natura, sono incompatibili con taluni dei requisiti fondamentali della Direttiva. In particolare le canoe, i kayak, le gondole, i pedalò sono state escluse dalla Direttiva in quanto considerate come unità progettate per essere spinte dalla forza dell’uomo senza remi, pagaie o altri mezzi di propulsione.

Una nota curiosa della Direttiva: “per remare” si intende l’uso di più di un remo;

d) le moto d’acqua, le tavole a motore e unità similari. Le moto d’acqua sono definite dalla norma ISO 13590 come “natanti inferiori a 4 metri di lunghezza che utilizzano un motore a combustione interna che alimenta una pompa a idrogetto quale fonte primaria di propulsione e che sono progettati per navigare con una o più persone a bordo in posizione seduta, in piedi o in ginocchio e al di sopra, piuttosto che non entro la delimitazione dello scafo”. Secondo le direttive, le tavole a motore sono considerate natanti per trasportare un massimo di due persone, dotate di galleggiamento e di comandi per l’autoeliminazione dei guasti.

e) originali e singole riproduzioni di unità storiche, progettate prima del 1950, ricostruite principalmente con i materiali originali e classificate in tale senso dal costruttore. Secondo le disposizioni comunitarie tali unità si considerano storiche quando hanno le connotazioni specifiche di un’epoca, sono conformi al progetto originale e conservano le loro caratteristiche tecniche e il fascino estetico. Il materiale usato deve essere quello originale ma per la costruzione dello scafo può essere impiegato il compensato, in luogo del legno massiccio, i telai in laminato, gli adesivi, le pitture, i sigillanti e i componenti per il fissaggio dell’ultima generazione. Non è consentita la riproduzione mediante stampi. Tra le barche storiche si possono annoverare: le gondole, il bragozzo, la tartana ecc., ampiamente conosciute dall’arte marinaresca e risalenti a epoche remote.

La ricerca di progetti delle barche storiche può essere effettuata presso il Museo navale della Marina Militare con sede a La Spezia.

f) le unità da diporto sperimentali, sempreché non vi sia una successiva immissione sul mercato comunitario. Tali unità per essere commercializzate devono rispondere ai requisiti della Direttiva 94/25/CE;

g) le unità costruite per uso proprio e non immesse sul mercato comunitario per un periodo di cinque anni dalla loro messa in servizio. Chi intende realizzare la propria barca deve acquistare i materiali direttamente dal libero mercato. Non è escluso tuttavia che nel corso dell’allestimento ci si possa avvalere dell’opera di personale specializzato per gli impianti elettrici ed elettronici di bordo. Deve essere comunque chiaro che in presenza di un accordo contrattuale con un cantiere o singolo costruttore, per realizzare una singola unità o anche una sola parte di essa, l’unità ricade nella Direttiva e quindi deve soddisfare i relativi requisiti di valutazione di conformità (es. acquistare un guscio per poi procedere al suo allestimento non è ammesso).

Passiamo ora all’esame del secondo argomento, cioè alla possibilità di poter ancora commercializzare, nell’ambito del territorio comunitario, le imbarcazioni da diporto – senza il Marchio CE – sia che provengano da bandiera dei Paesi dell’Unione Europea sia da Paesi terzi. Per le navi da diporto il discorso non vale in quanto unità superiori ai 24 metri per le quali la direttiva comunitaria non trova applicazione.

Per le imbarcazioni sprovviste di Marcatura CE, da iscrivere per la prima volta nei registri dopo il 16 giugno 1998, la Commissione Europea ha fornito le direttive di indirizzo, valide per tutti i Paesi dell’Area Economica Europea, che di seguito andremo a esaminare.

Fanno parte dei Paesi dell’Unione Europea: Austria, Belgio, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Irlanda, Italia, Lussemburgo, Paesi Bassi, Portogallo, Regno Unito, Spagna e Svezia. Dell’Area Economica Europea invece fanno parte oltre ai 15 dell’U.E. anche Norvegia, Islanda e Liechtenstein.

La questione dei Paesi comunitari non è così semplice come sembra a prima vista; ciò in quanto vi sono alcuni territori di Paesi che pur facenti parte dell’Unione Europea sono considerati dal Trattato dell’Unione, come territorio non comunitario. Ciò sia per ragioni commerciali come ad esempio la Gran Bretagna con gli Stati Uniti sia per mantenere i collegamenti politici ed economici con le ex colonie, come per la Francia e la Spagna per i territori d’oltremare.

Nell’Allegato della Direttiva sugli “orientamenti comunitari per gli aiuti allo Stato in materia di trasporti marittimi” sono citati i Registri Navali degli Stati membri considerati a tutti gli effetti come “Registri” dello Stato facente parte della Comunità Europea.

Inoltre, la legge 29 ottobre 1993, n. 427 “sull’armonizzazione provvisoria delle disposizioni comunitarie in materia di IVA… ecc.” prevede che fanno parte del territorio comunitario il Principato di Monaco, Jungholz e Mittelberg (Keines Walsertal) l’isola di Man e la Repubblica di San Marino; sono invece esclusi i dipartimenti d’oltre mare della Repubblica francese il territorio di Busingen, l’isola di Helgoland, Ceuta, Melilla e le Isole Canarie. Sono inoltre escluse le Isole del Canale: Jersey, Guernsey e Sark. Delicata appare invece la posizione di Gibilterra che, sebbene non sia considerata parte del Regno Unito, per alcune transazioni commerciali è stata riconosciuta dall’Amministrazione finanziaria come territorio facente parte dell’Unione Europea (circolare esplicativa n. 13 del 25.2.1994 Dipartimento Entrate).

Sulla base di queste premesse, le imbarcazioni usate – senza marchio CE – già iscritte nei registri in un Paese dell’U.E. alla data del 16 giugno 1998, possono continuare a essere commercializzate nell’ambito del territorio comunitario e trasferite in Italia per essere iscritte nei registri delle imbarcazioni da diporto.

Da notare che ai fini della idoneità alla navigazione, il nuovo regolamento di sicurezza sul diporto prevede che la documentazione tecnica rilasciata dal Paese dell’Unione di provenienza è valida se equivalente a quella nazionale. In tal caso l’iscrizione viene effettuata sulla base della documentazione posseduta, senza l’intervento dell’organismo tecnico.

Dopo quanto detto per i territori non facenti parte dell’U.E., sorge spontanea la domanda: come fare a riconoscere se un’unità – non CE – benché con bandiera comunitaria possa essere regolarmente acquistata per iscriverla nei registri delle imbarcazioni da diporto? In tal caso basta fare riferimento all’ufficio del Paese comunitario ove l’unità risulta iscritta.

Ove questi avesse sede in un territorio escluso dalla Comunità Europea l’unità è considerata come proveniente da un Paese terzo e quindi può rientrare nel mercato comune solo nei casi e alle condizioni di seguito indicate. Nei casi dubbi o comunque se non si vogliono correre rischi, maggiori informazioni possono essere assunte dal Ministero degli Affari Esteri – Direzione Generale Affari Economici – Ufficio I.

Vediamo ora la situazione delle imbarcazioni provenienti dai Paesi Terzi (Paesi fuori dall’Area Economica Europea) che, benché sprovviste del marchio CE, possono anch’esse rientrare nel territorio comunitario ed essere commercializzate. Sulla questione si richiamano anche le due sintetiche circolari emanate dall’ex Direzione Generale del Naviglio (ora Unità di Gestione della Navigazione Marittima e Interna) n. 266512 del 15.6.1998 e n. 267661 del 14.7.1998 dirette agli uffici marittimi e a quelli della navigazione interna.

Le imbarcazioni da diporto costruite, immesse sul mercato o messe in servizio in uno degli Stati membri dell’Area A.E.E., anteriormente alla data del 16 giugno 1998, non ricadono nella Direttiva 94/25/CE e di conseguenza possono continuare a rientrare nel mercato comune ed essere iscritte nei registri. Basta che si verifichi una delle tre condizioni indicate; non è importante infatti dove l’unità si trovava il 16 giugno 1998, essendo invece rilevante la data in cui essa è stata per la prima volta messa in commercio.

L’avvenuta costruzione nell’Area A.E.E. può essere comprovata dall’estratto del registro ove l’unità era iscritta o dalla dichiarazione di costruzione oppure dalla bolletta doganale di esportazione.

Il concetto di immissione nel mercato determina il momento in cui il prodotto è disponibile sul mercato dell’Area A.E.E., per la prima volta, per essere distribuito o usato nell’ambito della Comunità. In breve, per introduzione sul mercato va inteso come la disponibilità fisica del prodotto, senza tener conto dell’aspetto legale (vendita, donazione, comodato, noleggio).

Per messa in servizio si intende che il prodotto è pronto all’uso, non richiede cioè alcun montaggio e quindi è considerato come messo in servizio non appena introdotto sul mercato.

Per le unità in questione, i requisiti di costruzione, commercializzazione o la messa in servizio devono essere sempre comprovati da documenti probatori. Quale mezzo di prova si ricorda che l’art. 2704 del codice civile prevede che “la data dalla scrittura che contiene dichiarazioni unilaterali non destinate a persona determinata può essere accertata con qualsiasi mezzo di prova”.

Le imbarcazioni di bandiera extracomunitaria senza marchio CE, che non siano state costruite, immesse sul mercato o messe in servizio, prima del 16 giugno 1998, in uno dei Paesi dell’Unione Europea, non possono più rientrare nell’ambito del mercato comune per essere commercializzate e iscritte nei registri.

Il fatto che l’unità sia rimasta lungamente nel territorio comunitario, per diporto, turismo o altro scopo, non ha alcuna rilevanza ai fini di quanto dispone la Direttiva 94/25/CE. In sintesi, l’unità non può essere acquistata ai fini dell’iscrizione nei registri non avendo i requisiti per rientrare nel mercato comune.

La permanenza nelle acque italiane (e comunitarie) delle unità di bandiera extracomunitaria è disciplinata dalla Convenzione di Ginevra del 18 maggio 1956 nonché dall’art. 723 del regolamento CE n. 245/93 sul regime dell’ammissione temporanea nel territorio comunitario.

Da notare che le acque marine comunitarie sono costituite dalle acque territoriali e dalle acque marittime e interne degli Stati dell’Unione Europea, escluse quelle appartenenti ai territori che non sono parte del territorio doganale della Comunità.

Tali unità quando si trovano nelle acque territoriali o nei porti nazionali:

a) devono essere munite del c.d. “Costituto d’arrivo” (documento non ancora abrogato), che viene rilasciato dall’Autorità marittima del porto di primo approdo in Italia; al momento della partenza per un porto estero, il documento va restituito all’Autorità Marittima di ultimo approdo.

b) devono essere munite della polizza assicurativa sulla responsabilità civile in conto terzi (carta verde);

c) Secondo le previsioni dell’art. 717 del regolamento CE 2454/93, le unità non possono essere prestate, affittate, impegnate, cedute o messe a disposizione di una persona stabilita nella Comunità;

d) durante la loro permanenza nelle acque territoriali sono considerate, dal punto di vista fiscale e doganale, in regime di temporanea importazione. In tale posizione la loro permanenza nel territorio nazionale (e comunitario) è consentita per un periodo massimo di sei mesi. Al termine di tale periodo, l’unità deve lasciare il territorio per evitare l’obbligo della definitiva importazione, con il pagamento dei relativi tributi doganali e le sanzioni previste per il “contrabbando”.

Per le unità ricoverate in un cantiere o un capannone di rimessaggio la legislazione doganale prevede deroghe al periodo di sei mesi di permanenza nel territorio comunitario, alle seguenti condizioni:

a) deve essere comunicato alla locale autorità doganale il luogo in cui l’unità verrà custodita in rimessaggio, allegando i documenti di bordo con la richiesta di apposizione di sigilli al timone;

b) il periodo di custodia in rimessaggio interrompe il regime di temporanea importazione, che inizia ex-novo decorso tale periodo, sempreché l’unità sia rimasta custodita per una durata di almeno tre mesi continuativi;

c) alla fine del periodo la Dogana provvederà alla restituzione dei documenti di bordo, previa rimozione dei sigilli.

Il procedimento può essere ripetuto alla scadenza dei successivi sei mesi.

Anche dopo la riforma delle disposizioni doganali, tutte le unità da diporto di qualsiasi bandiera quando sono dirette in un porto fuori dal territorio doganale della Comunità possono imbarcare le provviste di bordo in franchigia doganale; per ottenere il beneficio basta richiedere a qualsiasi Ufficio marittimo il rilascio del “Giornale partenze e arrivi”. Dopo l’imbarco delle provviste, però, l’unità deve lasciare il porto entro le successive 8 ore.

All’inizio del commento è stato evidenziato che le unità da diporto (natanti compresi) per poter entrare nel territorio comunitario devono riportare il marchio CE.

Sorge ora il problema dei natanti (unità non iscritte nei registri) che vengono portati all’estero in occasione delle vacanze, nei Paesi non comunitari.

Tali unità, diversamente dalle imbarcazioni (unità targate e munite della licenza di navigazione) non hanno alcun documento che costituisca un collegamento con lo Stato di appartenenza. Il fatto di avere il certificato d’uso del motore non è sufficiente a dimostrare la nazionalità del natante.

In tal caso, allo scopo di evitare problemi al momento del rientro in Italia, è opportuno che all’atto dell’uscita dal varco doganale comunitario, venga fatta una dichiarazione scritta, vistata dall’autorità doganale, contenente la descrizione delle caratteristiche tecniche dell’unità. Tale documento dovrà essere conservato per presentarlo al momento del rientro nell’area doganale della Comunità.

Enrico Troiani
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