In un mondo che corre e si trasforma incessantemente occorre adeguarsi, per cui anche il Codice della nautica, come concepito nel già lontano 2005, appare ormai come uno sbiadito ricordo. Ad oggi, il testo che a suo tempo diede la sospirata autonomia alla nostra materia dal diritto della navigazione “classico” e che fu considerato innovativo se non ardito - e come tale avversato da buona parte della dottrina - è già in gran parte cambiato e superato. In tre lustri si sono successe diverse modifiche di vario livello e importanza. Alcune sono state legate al doveroso recepimento di direttive europee (vedi il d. leg.vo 5/2016) a carattere eminente tecnico che hanno inciso su aspetti legati al sistema costruttivo connesso con il “MARCHIO CE” e altre hanno un’impronta decisamente italiana e si muovono nell’ambito dei consueti assestamenti sistematico/ commerciali connessi con la nautica nostrana. Il movimento riformistico sugli aspetti del codice che interessano più da vicino l’utenza e gli operatori del settore - e di riflesso lo sviluppo economico dello shipping - muove dall’esigenza di adeguare l’offerta alle nuove istanze del commercio relativo alle unità, alla formazione e allo sviluppo del diporto commerciale che potrebbe rivelarsi quale volano economico per molte delle nostre località turistiche balneari.

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