Che cosa succede quando la buona volontà mette a rischio la Nautica?

Analisi ragionata di tutte le iniziative intraprese in queste settimane di lockdown rispetto alla efficace rappresentanza degli interessi di tutto il settore. Utenza inclusa.

ULTIM’ORA
Il DPCM 26 aprile, ha consentito la riapertura delle attività manifatturiere della nautica a partire dal 27 aprile 2020. Confindustria Nautica prosegue il confronto per la riapertura di servizi e charter.

I provvedimenti di chiusura adottati dal governo per contrastare l’epidemia da Covid-19, in particolare i DPCM 22 marzo 2020 e 10 aprile 2020, hanno bloccato la maggior parte delle attività imprenditoriali, artigianali e professionali e fortemente limitato la mobilità personale degli italiani. Quali sono state le azioni messe in campo per contenere il danno nella nautica? Qual è il reale impatto sulle diverse tipologie della filiera, quali le previsioni per il 2020 e per il 2021? Fra le tante reazioni alla situazione emergenziale c’è stata una varietà di iniziative eterogenee di associazioni nazionali, locali, enti di promozione, singole marine turistiche, comitati di diportisti. Sono state utili o hanno rischiato di affossare il settore?

Rapporto INAIL

Mentre al momento di andare in stampa attendiamo notizie sulla possibile riapertura delle attività della nautica, abbiamo provato a valutate su una base da 0 a 5 il “rischio” di ritardarla per tutti e il “vantaggio” di ottenere quanto richiesto rispetto a ciascuna tipologia ti intervento. La crisi che stiamo attraversando ha cancellato dal dibattito pubblico molte argomentazioni correnti fino a qualche mese fa. I vaccini non servono, la competenza non è sempre necessaria, uno è uguale a qualsiasi altro, qualunque fonte di informazione ha pari dignità. Abbiamo invece riscoperto la differenza, il valore e più in generale la solidarietà. Il mondo nautico è più impermeabile di altri settori sociali a questa trasformazione? Forse si e forse non se ne rende neanche conto.

Raccolta firme

Buona parte della redazione di Nautica è fatta da diportisti prima ancora che giornalisti. Persone che, come chiunque, si sono trovate a lavorare da remoto, confinate nelle proprie case e – laddove proprietarie di una barca – senza neanche poter controllare lo stato degli ormeggi. Non ci dovrebbe essere bisogno di premettere che il disagio e la sofferenza di tutti sono anche quelle di chi scrive. Tuttavia, di fronte a tutto quello che è accaduto al Paese in questi mesi, ci appare abbastanza incomprensibile l’agitazione di quella parte di utenti che ha iniziato a reclamare a gran voce la possibilità di fare diportismo. Tra le altre iniziative, anche con la raccolta di firme online.

Al 1° aprile 2020 solo il 10{2e3577d2bd6aebaa150c85c33fcd353783f1aa6c690283591e00ef60b3336fc8} delle aziende del settore era aperto, grazie ai tre codici inseriti fra le attività consentite. Il 33{2e3577d2bd6aebaa150c85c33fcd353783f1aa6c690283591e00ef60b3336fc8} lavora in smart working, il 57{2e3577d2bd6aebaa150c85c33fcd353783f1aa6c690283591e00ef60b3336fc8} è completamente fermo.

Ora, qui non si tratta di una petizione per aprire un parco o non abbattere degli alberi. Quale giustificazione potrebbe assumere un governo che dicesse che tutti i cittadini hanno l’obbligo di rimanere a casa, ma se hanno una barca possono andarci a piacimento? La stessa cosa dovrebbe valere per la corsa (e infatti a leggere i social sembra che in queste settimane metà degli italiani vi si sia dedicata con passione), bicicletta, arrampicata, canoa, tennis (in fondo si è solo due e ben distanziati) e così via per una lista talmente lunga che alla fine si svuoterebbero le abitazioni. Ci si può domandare: ma in fondo che male fa? Moltissimo.
Nell’analisi messa a punto dal governo, le diverse tipologie di attività sono state classificate per un “rischio intrinseco” e per quello di “aggregazione sociale”. Le attività sono state classificate diversamente se la presenza di terzi esterni è limitata o nulla (come per esempio in un’azienda); la presenza di terzi è necessaria all’attività, ma comunque controllabile attraverso una specifica organizzazione aziendale/professionale; ci sono possibili aggregazioni e sono solo parzialmente controllabili con delle procedure verificate/verificabili; si tratta di attività libere, di un’utenza privata, che non sono preordinate, professionalmente organizzate e vincolabili.
Secondo questa distinzione si va da un valore 1 a un valore 4. Tutte le attività individuali, incluse quelle sociali e sportive, hanno indice 4. Se rapportarsi con il governo e le istituzioni in generale vuol dire capire quale sia il punto di equilibrio, è evidente che si può solo pensare di far partire tutte le attività imprenditoriali, artigianali, di servizio, in modo che appena il pubblico potrà muoversi troverà tutte le imprese pronte. Diversamente non si ottiene nulla. Rischio 3, vantaggio 0.

Circoli locali

È oggettivamente incontestabile che – al momento di scrivere questo articolo – le Regioni dove, nei limiti delle loro potestà regolatorie, si è ottenuta un’apertura almeno delle attività di consegna e movimentazione delle unità ultimate, sono state Liguria, Toscana, Marche, Lazio ed Emilia Romagna. Cioè quelle dove Confindustria Nautica è riuscita a lavorare in silenzio condividendo il “Piano per la riapertura coordinata e controllata della nautica”, presentato a Palazzo Chigi a inizio aprile. Altre, dove si sono moltiplicate azioni mediatiche di tutti i tipi ad opera di circoli e rappresentanze locali – ci sembra di poter dire sicuramente Campania, Veneto e Puglia – devono ancora rispondere all’appello, nonostante il peso della nautica da diporto per le rispettive economie. Rischio 4, vantaggio 0.

Associazioni e rappresentative

Abbiamo letto anche molte lettere aperte, soprattutto nell’etere dei canali social. Abbiamo notato che perlopiù si trattava di (legittime) grida di dolore. Piuttosto neutre nell’efficacia perché è evidente che tutto il Paese è in sofferenza. Il problema sorge laddove si è richiesto di consentire indistintamente attività molto diverse – la produzione (di barche, componenti, accessori, motori), le attività artigianali (assistenza, manutenzione, velerie ecc.), di servizio (agenzie, broker ecc.), con il coinvolgimento del pubblico (noleggio, scuole, circoli sportivi ecc.), il libero uso privato – ciascuna delle quali ha la sua classificazione. Questo ancora una volta vuol dire portarle tutte al livello di rischio più alto. Rischio 5, vantaggio 2.
In altri casi si si è dato corso a richieste molto settorializzate, ma senza un’analisi di fattibilità politica. Come per i raccomandatari che hanno richiesto di far ripartire solo il charter di grandi yacht. Come fa un governo a dire che chi ha la barchetta di proprietà deve stare a casa, mentre chi è in grado di noleggiare una nave da diporto può navigare? Peraltro fondando tale decisione sul presupposto, facilmente smontabile dalla Commissione tecnico scientifica (e a danno della credibilità di tutto il settore), che a bordo delle unità possono andare solo 12 passeggeri? Chiunque conosca il Codice della nautica sa che il limite riguarda solo i trasportati, ma non i membri di equipaggio, il cui numero è limitato solo dalla capienza.

Tutte queste iniziative si sono implementate negli ultimi giorni di aprile, mentre, con un lavoro concreto e silenzioso, Confindustria Nautica era già riuscita a far classificare la maggior parte delle attività imprenditoriali della nautica quali “a basso rischio”, facendo recepire le proprie osservazioni nel rapporto tecnico redatto dall’INAIL. Nella confusione generale si è inserito il messaggio di allarme lanciato dal suo presidente, Saverio Cecchi, che proprio nelle ore cruciali della scelta sui settori da riaprire ha invitato a cessare iniziative scoordinate ed estemporanee che potessero mettere a rischio un mese di trattative e incontri con Palazzo Chigi. Una riflessione che abbiamo condiviso e che ci ha spinto a fare un ragionamento più ampio.

È lampante, per chi lo vuol vedere, che la lobbying di settore si rivela molto più efficace quando è espressione di compagini nazionali, forti, coese, tecnicamente e professionalmente strutturate. In questo senso la riunificazione di UCINA e Nautica Italiana in Confindustria Nautica è – per la fortuna di tutta la filiera – avvenuta al momento giusto. Ed anche ciò dovrebbe farci tutti riflettere.

LA POSTA IN PALIO

Il piano per la riapertura della nautica si è concentrato non solo sulla crisi di liquidità per il 2020, ma anche sull’impatto del protrarsi della chiusura oltre il 15 aprile di quest’anno sul 2021. In questo caso, il ritardo nelle consegne di primavera non consentirebbe di costruire i modelli da presentare alla clientela in autunno e comprimerebbe il ciclo produttivo del prossimo anno non consentendo di evadere gli ordini di aprile/maggio 2021 anche rimanessero invariati.
In caso di prolungamento della chiusura è stato calcolato un massiccio ricorso alla CIG, con conseguente aggravio di costi pubblici.

Di seguito una delle tabelle di sintesi presentate a inizio aprile da Confindustria Nautica al governo mostra l’impatto della chiusura fino al 15 aprile sulla base dell’analisi dei bilanci 2019 e di tre rilevazioni effettuate a febbraio, marzo e aprile 2020.

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