Aggiornamento: Marzo 2010

Nel mercato comune, le unità di lunghezza compresa tra m. 2,50 e m. 24 per essere commercializzate devono riportare il marchio CE. Quelle senza marchio, che alla data del 17.6.1998 (data di entrata in vigore della Direttiva 9425CE) erano presenti nel territorio comunitario, possono continuare liberamente a navigare e a formare oggetto di compra-vendita. Le zone di frontiera sono state sempre oggetto di traffici, più o meno leciti. Figuriamoci cosa può accadere nelle acque dell’Adriatico in cui passa la linea (virtuale) che separa il mercato comune da quello extra-comunitario. Proviamo a giocare e vediamo come acquistare una barca in Croazia (anche non CE) e portarla in Italia, aggirando le norme comunitarie sull’IVA. Per fare questo basta che un cittadino croato porti un natante, in cui viene installato un motore (f.b), in alto mare con regolari documenti di un Paese comunitario, e il gioco è fatto. Se invece l’unità è di dimensioni maggiori, si richiede l’iscrizione nel registro di un Paese dell’Unione compiacente, o con burocrazia semplificata, ottenendo i relativi documenti senza, tuttavia, seguire l’iter dell’importazione nello Stato di bandiera, poiché la barca, nei periodi di non uso, viene lasciata in un approdo o rimessaggio dell’adriatico. Il gioco, cui possono partecipare tutti i cittadini comunitari, può essere ripetuto e diventare così un’impresa di import-export a costo zero. Per contrastare questo traffico è necessaria una rete di sorveglianza a maglie strette e, quando si ha il sospetto degli illeciti bisogna fare indagini approfondite che richiedono lungo tempo. La questione è molto delicata, perché il gioco appena accennato è un fatto vero. Basta ricordare che prima del 1993, numerose barche costruite in Italia, vendute a cittadini stranieri (quasi tutti tedeschi), in esenzione dell’IVA poiché destinate all’esportazione, sono rimaste, di fatto, negli approdi turistici veneti, senza raggiungere mai il Paese di bandiera. In tale condizione, quando sono entrate in vigore le norme comunitarie, dopo una lunga contesa, hanno ottenuto una sanatoria. Dall’esperienza del passato non vorremmo pensare che i controlli sulle unità da diporto di bandiera tedesca, non siano diretti al solo accertamento dei documenti di bordo ma siano da ricollegarsi a fatti del genere. Se così fosse la stampa tedesca ha da rallegrarsi di questa attività poiché il bene comune è di gran lunga superiore ai “fastidiosi” controlli volti a stroncare l’interesse dei furbi.Controlli doganali sul traffico di valuta

Per contrastare il traffico di valuta, la Guardia di Finanza, da qualche tempo, ha esteso i controlli in mare anche ai movimenti di capitali dal territorio nazionale verso l’estero e dall’estero in direzione del Paese costiero. Per trasportare, sulle unità da diporto, denaro d’importo superiore a Euro 10.000,00 per ogni persona a bordo, titoli e valori mobiliari in euro o in valuta estera, è necessario preventivamente dichiarare il controvalore all’Ufficio Italiano dei Cambi (U.I.C). Per somme inferiori non è necessaria alcuna autorizzazione. Le relative informazioni possono essere assunte presso le banche, gli uffici doganali e i Comandi della Guardia di Finanza. Le violazioni alle norme valutarie comportano pesanti sanzioni.