La nostra rassegna sulle novità del Codice della nautica prosegue per ordine: tratteremo quindi dell’art. 3 dedicato a un argomento di vasto interesse e cioè la classificazione delle unità da diporto. La norma in questione appare tra quelle oggetto di rilevante cambiamento con la riforma del 2017/2020 per cui la tradizionale tripartizione delle unità tra navi, imbarcazioni e natanti che accompagnava il diportista dall’ormai storica l. 50/71 et ultra attraverso la codificazione del 2005 appare ormai come uno sbiadito ricordo. Il criterio di distinzione fondamentale - seguito dopo l’introduzione del marchio CE - si basa sulla lunghezza fuori tutto (LFT) misurata secondo la norma armonizzata UNI/EN/lSO/8666. La stazza, un tempo misura di gran rilievo ed elemento di individuazione fondamentale della nave ex art. 137 del Codice della navigazione appare ormai lasciata in disparte. Lo stesso dicasi per la larghezza e la potenza del motore nonché la distinzione in base alla propulsione e conseguente discriminazione tra unità a vela, a vela con motore ausiliario, a motore e motovelieri. La suddivisione aveva tra l’altro rilievo fiscale per l’influenza sull’entità dell’ormai abrogata (l. di stabilità 2016) “tassa di possesso”, in cui era previsto un regime di sconti in relazione sia al tipo sia alla vetustà. Sta di fatto che ora come allora l’aspetto definitorio appare fondamentale per un testo legislativo e ciò con maggior valore qualora si tratti di un Codice che come tale deve possedere la caratteristica di unire nel suo corpo i concetti di base che poi gli ulteriori singoli interventi normativi di vario genere e grado andranno a delineare nei minuti particolari.

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