La pericolosità alla navigazione degli stretti di Suez e di Gubal è rimasta elevata ancora oggi nonostante la tecnologia sia ordini di grandezza superiore a quella della fine del 19° secolo; negli anni dal 1980 al 1999 numerosi sono state le collisioni con i reef e la perdita o il danneggiamento di altrettante navi.

Fino a quando continueremo ad affidare le navi mercantili di Sua Maestà a mocciosi di 27 anni, come potremo pretendere che simili sconcerìe cessino di avvenire!”
“Ma Vostra Eccellenza, le rammento è stato provato che il faro di Ashrafi sia andato in avaria, che il secondo ufficiale si sia già contraddetto due volte e che non è dimostrabile la responsabilità del comandante Care, persona, come è di pubblica certezza, di grande responsabilità!”
“Perfettamente! Una sospensione esemplare, rammenterà a tutti questi giovincelli che non ci si può cullare sugli allori dei meriti pregressi, ma che un comandante lo rimane in ogni momento!”

Con un pizzico di immaginazione, questo potrebbe essere stato il dibattito della commissione di inchiesta presieduta dal Magistrato Ordinario J.A.Yorke, nominata per esprimersi in merito alla perdita del piroveliero Dunraven, avvenuta nella notte tra il 24 ed il 25 di aprile 1876.

Del resto, nonostante i tempi fossero diversi da quelli di oggi, il capitano Edward Richard Care, al momento della perdita della nave, era appena ventisettenne e poteva già vantare quattro anni di esperienza dal momento in cui gli era stato conferito il “Master’s Cerificate” N° 88.154 a soli 23 anni.

La sentenza della commissione non fu clemente nei confronti del capitano Care riportando che egli “non fece alcun tentativo concreto di verificare l’esatta posizione del Dunraven a partire da mezzogiorno del 24 aprile fino alla 3.50 a.m. del 25, momento della collisione. Si attribuisce a questa negligenza la principale ragione della perdita della nave. Risulta inoltre chiaro, da un’attenta analisi della documentazione di bordo, che la terra avvistata dal secondo di bordo non poteva essere l’isola di Shadwan, né tantomeno il fanale avvistato non poteva essere quella di Ashrafi, come asserito; è probabile che si trattasse di un altro vascello.”

La ricostruzione dei fatti

Nel mese di gennaio del 1876 il Dunraven era ormeggiato alla foce del Mersey River, presso il porto di Liverpool, pronto ad essere caricato con legname e materiale ferroso, merci destinate al sostegno di una giovane ma fiorente industria pesante delle Indie Occidentali aventi come fulcro degli scambi il porto di Bombay.

La recente apertura del canale di Suez, avvenuta il 29 novembre 1869, aveva rivoluzionato il traffico mercantile dell’Europa con l’Asia, sostituendo con un’unica tratta di navigazione un percorso che fino ad allora prevedeva una linea di navigazione attraverso il Mediterraneo fino ad Alessandria, un percorso su ferrovia fino a Suez ed una seconda linea da qui fino al Medio ed Estremo Oriente.

Il viaggio si svolse regolarmente, ed il 6 aprile dello stesso anno la nave era pronta a salpare da Bombay, alla volta di Liverpool con un carico definito “di considerevole valore” di lana e cotone, ed un equipaggio di 25 persone.

Il viaggio attraverso l’Oceano Indiano andò per il meglio e dopo una breve sosta al porto di Aden per il rifornimento di carbone, il Dunraven iniziò la risalita del Mar Rosso con rotta NNW. Il 24 di Aprile, il giornale di bordo riportava “condizioni di tempo buono, vento debole, mare quasi calmo; navigazione a solo vapore con velocità di 6 nodi e mezzo”.

Alle ore 1.00 am del giorno successivo, il secondo di bordo rilevò una luce al dritto di prua che ritenne essere appartenente all’estremità meridionale dell’isola di Shadwan; cinquanta minuti più tardi, fu avvistata un’altra luce che ritenne essere quella del faro di Ashrafi, all’imbocco dell stretto di Gubal. Durante l’intero periodo anche il capitano Care si trovava sul ponte e in nessun caso obbiettò né l’avvistamento delle luci, né la loro identificazione.

Il secondo ufficiale descrisse questa luce come “bianca e fissa” sebbene, successivamente, contraddisse questa affermazione; stranamente, nonostante anche il capitano affermasse di aver avvistato questa luce, il timoniere riportò di non aver visto nulla.

Alle ore 2.15 am, il capitano Care lasciò il ponte lasciando disposizione di essere chiamato entro un’ora; stranamente, alle ore 2.40 am, la luce precedentemente osservata, sparì dalla visuale a causa, come si seppe soltanto dopo, di un’avaria al sistema elettrico.

A questo punto la testimonianza del secondo ufficiale, divenne confusa ed ulteriormente contraddittoria: in un primo momento egli affermò di avere richiamato sul ponte il Capitano Care non appena la suddetta luce fu persa di vista; successivamente cambiò la sua versione sostenendo di aver chiamato il Capitano fra le 3.30 e le 3.40 am sebbene in contravvenzione agli ordini impartiti.

Quando il Capitano Care arrivò sul ponte, la terra era ampiamente visibile in direzione Nord, a circa 6, 7 miglia dal lato di dritta; erano a questo punto le 3.40 am e fu immediatamente dato ordine di modificare la rotta di 2 gradi a dritta, accidentalmente dirigendo proprio verso terra.

Dieci minuti più tardi, il marinaio di vedetta, avvistò un oggetto grande e scuro in acqua e , credendo si trattasse di una boa o di una meda, riferì immediatamente agli ufficiali in coperta, senza tuttavia, avere risposta.

Contemporaneamente, il secondo ufficiale, avvistò un oggetto simile e ritenendolo una barca di pescatori locali, solo casualmente ne riferì al capitano.

Questi diede immediatamente ordine di fermare le macchine, ma prima che la manovra potesse essere ultimata, il Dunraven colpì violentemente il reef che scardinò completamente i compartimenti di prua.

Probabilmente nella sua rotta per circa 300°, il Dunraven aveva subìto un lasco indotto dalle correnti provenienti da NW, che ne aveva alterato la posizione di circa 10 miglia in direzione NW.

Il faro scambiato con quello dell’isola di Gubal (l’attuale Bluff Point) era probabilmente uno situato sulla costa occidentale della penisola del Sinai, ed il cambio di rotta di 2° a dritta non aveva fatto altro che portare la nave verso Beacon Rock all’estremità del reef “Shaab Mahmud”.

Le macchie nere avvistate dalla vedetta e dal secondo di bordo altro non erano che i reef semi affioranti del punto di immersione di Alternatives, ubicato tra Ras Mohammed e la stessa Beacon Rock.

Le pompe di esaurimento a vapore, furono immediatamente messe in azione, e, nel tentativo di mantenere la nave adiacente al reef corallino, fu dato fondo con una delle ancore di bordo.

Purtroppo alle ore 7.00 am il livello dell’acqua raggiunse le caldaie togliendo vapore alle macchine e condannando così la nave; a mezzogiorno circa, quando il lato di dritta era oramai sommerso dall’acqua, il capitano e l’equipaggio presero posto sulle lance di salvataggio rimanendo vicini alla nave in affondamento.

Alle 4.00 pm un sambuco arabo prese a bordo i naufraghi e, alle 5.00 pm il Dunraven scivolò dal reef ad una profondità di circa m 27; fu solo allora che il comandante prese coscienza che avevano fatto naufragio all’estremità meridionale della penisola del Sinai.

Per tre giorni il sambuco rimase ormeggiato in prossimità della nave affondata, fino a quando il Capitano Care ed il suo equipaggio fu trasbordato sulla motonave italiana Arabia e da essa trasportato fino a Suez; il definitivo rientro in patria avvenne a bordo del vapore Malwa.

Il ritrovamento

Nel 1977 un geologo tedesco di cui non si riporta il nome, durante una campagna di indagini geofisiche per una compagnia petrolifera, si dedicò alla ricerca di un relitto di cui ebbe notizia da un centro di immersione locale. Tuttavia le informazioni ricevute, risultarono così vaghe e in accurate, che ci vollero alcuni mesi prima che se ne riuscisse ad individuare l’esatta posizione. Fu appunto nei primi mesi del 1978 che, in maniera quasi accidentale, il geologo ed alcuni suoi compagni di ricerche, durante un’immersione in prossimità del fanale di segnalazione di Beacon rock, individuassero il relitto del Dunraven.

Tuttavia dovette passare quasi un anno prima che si riuscisse ad identificare il nome e la relativa storia del naufragio. Per parecchi mesi infatti, numerose ipotesi, di cui alcune, come da costume marinaresco, a dir poco rocambolesche e leggendarie, si intrecciarono al punto da far calare una fitta cortina di mistero sulla nave di recente ritrovata.

Alcune di queste leggende, riguardarono perfino la mitica figura di Lawrenche d’Arabia; parve infatti che nel corso della Prima Guerra Mondiale, l’ufficiale inglese in questione avesse utilizzato almeno tre navi civetta (il Dufferin, la M – 31 ed il Suva) per trasferire ingenti ricchezze da Suez ad Aqaba, in modo da finanziare la ribellione degli Arabi contro l’Impero Ottomano. Risultando queste navi di disegno simile al relitto appena ritrovato, è facile immaginare come più di una voce cominciò a circolare sull’immaginario ritrovamento di una nave carica di tesori ed altre ricchezze.

Solo nel mese di novembre del 1978 fu rinvenuta una porcellana con inciso il nome della motonave Dunraven e da essa, dirempte le ultime incertezze su quale Dunraven si fosse scoperto, si potè risalire alla storia dell’intero naufragio.

L’autore della guida “The Red Sea Diver’s guide” Shlomo Cohen, e l’operatore subacqueo Howard Rosenstein, parteciparono alla realizzazione del documentario “The World Around Us” prodotto dalla BBC, sul ritrovamento della nave; sfortunatamente, come testimoniano le foto, nel corso delle immersioni reperti quali stoviglie, bottiglie, ed altri utensili di bordo furono sottratti al relitto.

L’immersione

Il punto di ingresso in acqua è in corrispondenza di ciò che rimane del traliccio del vecchio fanale oramai abbattuto, a ridosso del reef; in questa maniera si può puntare direttamente verso la poppa del relitto giacente, capovolto su un fondale sabbioso a m 27. Imponente risulterà a prima vista l’elica, ed il grande timone, ricoperti di concrezioni madreporiche e da coloratissimi alcionari.

Oltrepassando l’opera viva del relitto, si raggiunge il lato di dritta ove, attraverso 3 aperture lungo la fiancata, è possibile penetrare all’interno dello scafo. In questa maniera si percorrere la nave per quasi tutta la sua lunghezza, riconoscendo al suo interno l’asse dell’elica, le caldaie, la scala che conduceva sottocoperta, gli ingranaggi della timoneria ed alcune valvole del generatore di vapore.

Caratteristica dello scafo di questo relitto è la presenza di un gran numero di glass fish, che, ritmicamente, seguono gli spostamenti dei subacquei.

La prua, giacente a circa 18 metri, risulta evidentemente danneggiata dall’impatto con il reef e consente ampie vie di uscita dallo scafo, è possibile individuare la catena dell’ancora, il suo alloggiamento ed i verricelli di manovra. In questa zona è opportuno muoversi con circospezione in quanto abitata da un branco di lion fish (Pterois Volitans).

L’immersione può completarsi con un passaggio lungo la chiglia del Dunraven in direzione opposta, completando il profilo dell’immersione multilivello seguendo il reef a bassa profondità. In questa zona oltre alle bellissime formazioni coralline caratteristiche del Mar Rosso, è frequente l’incontro con pesci napoleone, con branchi di pesci palla, e con altro pesce di reef corallino.

Epilogo

Come accennato precedentemente, la commissione d’inchiesta trovò il capitano Care responsabile della perdita del Dunraven per negligenza ed inadempienza, tuttavia riconoscendo l’effetto di due coincidenze particolarmente sfavorevoli, quali la forte corrente al traverso e l’avaria del faro di Ashrafi,

Conseguentemente,nonostante la severità della sentenza, la pena risultò relativamente mite, con revoca al capitano della licenza per un anno ma con mantenimento di quella di “secondo di bordo”.

Egli infatti, già vantando il primo imbarco come capitano nel 1872 sull’Etna e sull’Alvega, e dal 1874 sul Dunraven, tornò immediatamente in mare e fu ristabilito nei gradi di capitano nel 1877 nuovamente al comando dell’Etna, per continuare nella sua carriera di ufficiale di marina.