Un atollo nell’oceano Pacifico dove è passata una parte terribile dell’ultima guerra, un vero cimitero di aerei, di navi con il loro carico, che ha creato una sorta di museo sommerso della follia dell’uomo. Tuttavia immergersi in queste acque è di potente suggestione.

Sorvolando le isole della Micronesia mai si potrà avere l’impressione di trovarsi in un angolo di mondo che ha avuto per mesi l’apparenza dell’inferno, anziché quella del meraviglioso paradiso che appare sotto i nostri occhi. Eppure, nel corso della seconda guerra mondiale, gli atolli e le isole del grande Oceano Pacifico diventarono naturali teste di ponte utilizzate da Giapponesi ed Americani per portarsi reciprocamente offesa.

La laguna di Truk era uno di questi capisaldi. Un atollo apparentemente inespugnabile, uno specchio di acqua tranquilla difeso da una cintura di corallo di 140 miglia di circonferenza dalla furia delle tempeste, e protetto da cento postazioni contraeree e potenti forze aeree dagli attacchi americani. E così Truk divenne un atollo strategico, una base importantissima dove riunire e proteggere le grandi navi da trasporto indispensabili per il continuo approvvigionamento delle truppe e delle unità aeronavali. Alla fonda nella laguna di Truk si trovavano bastimenti carichi di munizioni, uniformi, medicinali, automezzi, armi, provviste, pezzi di ricambio e di tutto quello che permette alla macchina bellica di esprimere al massimo il suo distruttivo potenziale. Un potentissimo arsenale galleggiava, dunque, sulle placide acque della laguna, in attesa di venire utilizzato nella guerra del Pacifico. E attorno a questo luogo si concentra l’interesse dell’Intelligence americana, che lo individua, non a torto, come un obiettivo primario per infliggere un duro, forse risolutivo colpo all’armata nipponica.

Ma gettiamo in breve uno sguardo alla situazione generale, che consentirà di comprendere meglio la pagina di storia che è stata scritta nella laguna di Truk. La battaglia delle Midway ha segnato nel giugno del 1942, l’inizio della grande controffensiva americana nel Pacifico. Una controffensiva su grande scala combattuta per mezzo di unità aeronavali che in breve tempo portò gli americani alla riconquista di Guadalcanal, delle isole Salomon e di gran parte della Papua ad opera degli alleati australiani.

Un episodio molto importante nel corso di queste operazioni fu l’abbattimento, il 18 aprile 1943, del grande ammiraglio giapponese Yamamoto impegnato in una ricognizione aerea. Fu in questo contesto che, in gran segreto, venne preparata l’ “operazione Hailstorm”: l’attacco alla base giapponese di Truk, con il preciso obiettivo di giungere al suo completo annientamento.

Una serie di attacchi alle isole Marshall all’inizio del 1944 fu il preludio dell’operazione, mentre la potente flotta del contrammiraglio Spruance si avvicinava cautamente all’obiettivo.

L’attacco venne lanciato all’alba del 17 febbraio. La sorpresa riuscì in pieno, e quando vennero avvistati dalle postazioni difensive i primi ricognitori americani, era ormai troppo tardi. In breve 72 caccia americani “F6F Hellcat”, i “Gatti dell’inferno” piombarono sulla quarta flotta imperiale, prima che l’Ammiraglio Koga potesse trasferirla e metterla in salvo.

I velocissimi caccia volavano nei cieli dell’atollo a seicento chilometri all’ora, bersagliando gli obiettivi con le sei mitragliatrici che costituivano l’armamento di bordo, provocando ingenti danni. Nel frattempo la flotta americana pattugliava le acque attorno all’atollo, alla ricerca di eventuali navigli che avessero potuto sottrarsi all’imboscata e cercare rifugio in mare aperto.

Alle 6.30 del mattino una squadriglia di Zero riuscì a decollare, ma fu in breve annientata dai caccia americani che proseguirono l’incursione fino alle 9.30. Le ore successive furono solo il preludio ad un dramma ancora più grande per la flotta giapponese: dai ponti delle portaerei americane al largo dell’atollo stavano infatti decollando i bombardieri Dauntless e gli aerosiluranti Avenger.

In breve le calme acque dell’atollo si trasformarono in un inferno, sotto un violento bombardamento che si protrasse per tutta la notte e la giornata seguente ininterrotto. Il bilancio alla fine dell’attacco era drammatico: 500 le tonnellate di bombe sganciate dalle forze aeree americane, perduti dai giapponesi 265 aerei e 40 navi, oltre naturalmente all’assoluto annientamento del sistema difensivo di terra. La base di Truk era oramai distrutta, tuttavia i giapponesi iniziarono un’opera di febbrile ricostruzione che indusse gli americani ad un nuovo attacco: 800 tonnellate di bombe cancellarono definitivamente questa base nipponica dallo scacchiere bellico alla fine del mese di aprile. La storia militare dell’atollo di Truk terminò con un totale di 416 aerei distrutti, 60 navi affondate e 423 costruzioni ridotte in macerie, oltre naturalmente alle migliaia di vite umane perdute, tra civili e militari, giapponesi ed indigeni. Truk capitolò definitivamente il 15 agosto del 1945 e da allora venne dichiarata “off limits” dalle autorità americane.

Per 25 anni, dunque, la giungla tropicale ricoprì completamente i resti delle difese costiere, mentre le acque della laguna conservavano i navigli affondati nelle medesime condizioni in cui si trovavano nei tragici giorni dell’affondamento.

E quello scenario si presenta oggi di fronte ai nostri occhi. Le navi adagiate sul fondo, con la catena dell’ancora che esce dalla cubia e si perde nella sabbia, le stive ricolme di merci, di carichi accuratamente sistemati. Le suppellettili sparse un po’ ovunque. In alcune sale macchina troviamo l’armadietto degli utensili con le chiavi inglesi, il martello, le pinze, tutti al loro posto; oppure un tornio, un trapano a colonna, un generatore… Tutto come era quel giorno oltre cinquant’anni fa, tutto come alla fine della tragedia, quando la nave, lentamente, lasciava la superficie, l’atmosfera sconvolta dalle fiamme degli incendi, dai boati delle esplosioni, dalle urla degli uomini impazziti dal terrore, e si inabissava, appoggiandosi dolcemente sul sedimento del fondo in un mondo improvvisamente di silenzio e di quiete.

Tutto come allora, è vero, ma con una differenza: qui sembra che la natura si sia impegnata ad adornare questo che può essere a ragione considerato un vero e proprio sacrario, un monumento in ricordo di quegli uomini che in quei giorni di guerra persero la vita.

Inutile negarlo: lo spettacolo offerto dal relitto di una nave affondata è in genere uno spettacolo triste, angosciante. E questa è la prima sensazione che proviamo mentre pinneggiamo verso l’alto picco di carico della Fujikawa Maru. Ne scorgiamo il profilo, attraverso l’acqua carica di plancton. Appare tetro, lontano, adorno di alcionari che si lasciano penzolare, aggrappati alle strutture. Basta avvicinarsi un pochino, illuminare le lamiere da vicino, per lasciarsi andare alla meraviglia più totale all’incredibile spettacolo offerto dai brillanti colori delle creature marine. Sfumature di rosso, di giallo, di porpora che si sommano le une alle altre, che dipingono mirabilmente uno scenario altrimenti cupo e monocromatico. In breve ci abituiamo a questa strana contraddizione, a questi colori di gioia che convivono con queste testimonianze drammatiche. In breve il fascino dell’esplorazione, della scoperta ci conquista, e così ci insinuiamo nelle stive, negli alloggi, nelle sale macchine.

Osserviamo con attenzione il fango che ricopre il fondo degli interni. Scopriamo piatti di porcellana, tazze, utensili da cucina. E poi maschere antigas, stivali in gomma, pneumatici per automobili ed autocarri. Addirittura una pila di vecchi dischi in bachelite, antichi 75 giri, con tanto di spartiti in discreto stato di conservazione.

In un angolo, semisommerso dal fango, un teschio sembra osservarci, ammonirci di rispettare il teatro di un così grande dramma. Percorrendo un corridoio ci avviamo verso la luce. In breve ci troviamo in una grande stiva aperta. E’ piena di casse di munizioni, di proiettili per fucili, mitragliatrici, cannoni.

Un poco più lontano, lontano dalla luce che invade la stiva dalla grande apertura, troviamo la fusoliera di uno Zero. Ci affacciamo al cockpit, dove notiamo ancora tutti gli strumenti al loro posto. Ancora un corridoio, buio, angusto. Ancora una pallida luce lontana: in breve ci affacciamo all’ennesima sala macchina.

Nuotiamo lungo le rampe di scale metalliche fino ai piani più bassi dove scopriamo due grandi manometri di pressione al loro posto: “Martelli Brothers”, è scritto sul quadrante. Risaliamo verso il ponte, ancora un breve corridoio, ed eccoci nei locali della plancia di comando. Al centro, isolato, spicca il telegrafo di macchina, testimone della navigazione a motore di un’era, di un giorno ancora oggi non troppo lontano. Ci affacciamo alle grandi finestre della plancia.

E’ come affacciarci su di uno splendido giardino da una finestra incorniciata da grappoli di alcionari colorati. Da questa finestra usciamo dalla nave, sorvoliamo nell’acqua azzurra questo relitto che è ormai divenuto un reef corallino e lentamente ci avviamo verso la superficie.

NOTIZIE UTILI

Il modo migliore di visitare i relitti della laguna di Truk è quello di imbarcarsi in una crociera a bordo del Truk Aggressor, una barca appositamente realizzata per le immersioni. Non occorre essere subacquei di grande esperienza per godere della bellezza dei relitti di Truk: in generale le profondità sono piuttosto modeste, e le condizioni ambientali particolarmente favorevoli. Tutto infatti si svolge all’interno della laguna, in acque dunque generalmente tranquille e non interessate da fortissime correnti.

A bordo tutto è perfettamente organizzato, e si ha diritto ad effettuare fino a cinque immersioni al giorno. Tutte le attrezzature sono noleggiabili, comprese le sofisticate attrezzature fotografiche.

E’ possibile sviluppare a bordo le pellicole impressionate. Un consiglio: esperti o principianti, fotografi o semplici turisti, prima di partire acquistate un potente faro subacqueo, vi godrete le immersioni cento volte di più.

La laguna di Truk è lontana. Varrà dunque la pena programmare più di una settimana di vacanza per ammortizzare il costo e la fatica del lungo viaggio aereo. Sull’isola non c’è nulla di particolare da fare, a parte starsene un paio di giorni in completo relax. Un buon consiglio potrebbe essere quello di collegare una settimana nella relativamente vicina isola di Palau.

Il periodo migliore per vistare Truk va da settembre ad aprile-maggio. Il migliore contatto per organizzare una vacanza in Micronesia è l’Aquadiving Tours.