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Alcuni consigli per valutare lo stato di una barca durante la prova in mare. Cosa guardare, cosa chiedere e come rendere più utile la prova in acqua che il cantiere ci offre o ci concede, quando ci valuta potenziali clienti.

Abbiamo visto la barca esposta in un salone. Ci è piaciuta. Abbiamo lasciato il nostro nominativo e il cantiere ci ha invitato a un’uscita in mare. Quel giorno è arrivato. Siamo lì, in banchina pronti a salire a bordo. Che cosa dobbiamo fare per tenere a freno gli entusiasmi e rendere quell’esperienza il più produttiva possibile, ai fini della decisione se acquistare o no? Bene, incominciamo.

Telefonino impostato per le foto e bloc notes alla mano, valutiamo nuovamente l’estetica generale dello scafo e, molto meno poeticamente, stimiamo lo stato di pulizia dell’opera viva, fattore fondamentale per poter interpretare correttamente i dati prestazionali che rileveremo una volta in mare. Nella comprensibile impossibilità di ispezionare con i nostri occhi ciò che si trova sott’acqua, osserviamo il bagnasciuga, cioè la linea di galleggiamento, che spesso tradisce le reali condizioni della carena.

Ma poiché questa specifica parte dello scafo potrebbe anche essere stata smacchiata di recente (per farlo non c’è bisogno di mettere in secco la barca), avvaloriamo l’osservazione chiedendo a chi ci accompagna da quanto tempo la barca è in acqua: se lo scafo è stato varato (perfettamente pulito) da non più di 24 ore, possiamo supporre che sia in perfetto stato; all’opposto, se è in acqua salata da sei mesi, è sicuramente in condizioni non ideali. Presa nota di questo dato, che appunto utilizzeremo in seguito, possiamo salire a bordo prestando attenzione al grado di sicurezza e di praticità del sistema di accesso (passerella, plancetta di poppa, gradini, tientibene eccetera).

Pozzetto e coperta

Poiché, con molta probabilità, ci troviamo nel pozzetto, incominciamo proprio da qui. Partendo dall’osservazione dell’ormeggio in atto, valutiamo la quantità/qualità/razionalità delle relative attrezzature di coperta (verricelli da tonneggio, bitte e passacavi; gavoni per riporre cime e parabordi). Cerchiamo quindi l’alloggiamento della zattera autogonfiabile e, in sua mancanza (cosa purtroppo assai frequente), chiediamo lumi sul suo posizionamento.

Analogamente, valutiamo l’alloggiamento/posizionamento del tender e del relativo sistema di varo/alaggio. Andando verso prua, concentriamoci sui seguenti fattori: percorribilità dei passavanti, presenza di ostacoli e dislivelli, quantità e qualità dei tientibene, protezione dalle cadute fuoribordo (pensando anche alle persone non troppo atletiche e ai bambini) e valutazione del sistema antisdrucciolo.

A quest’ultimo proposito, teniamo presente che i rombi incavati nel gelcoat non sono particolarmente efficaci e trattengono lo sporco; le punte di diamante, se acuminate, sono invece molto efficaci; le tallonature poco rilevate e le forme affini non servono a nulla; i classici filarotti di teak massello fanno bene il loro dovere (anche dal punto di vista estetico) ma richiedono una certa manutenzione e, dopo anni, devono essere lamati; il cosiddetto teak sintetico è tecnicamente molto valido. Giunti a prua, valutiamo la qualità e la praticità del complesso di ancoraggio (verricello salpancora, passacatena, musone, ancora); la quantità/qualità/razionalità delle bitte e dei passacavi; la presenza di gavoni per l’attrezzatura ausiliaria (cavi e parabordi).

Flying-bridge

Molto spesso, il punto debole del ponte superiore è costituito dalla scala di accesso, disegnata più per limitarne l’ingombro che per garantire sicurezza a chi la percorre nei due sensi.

Nel provarla mentre la barca è ancora ormeggiata, teniamo conto che in mare la situazione risulta sempre più critica. Perciò sospendiamo il giudizio in attesa di ripetere il percorso salita-discesa durante la navigazione, quando anche gli elementi affini (tientibene, mancorrenti e passi d’uomo) saranno nel pieno delle loro funzioni.

Comunque, una volta sul fly, consideriamo la protezione dalle cadute al suo interno e anche di quelle fuoribordo (fortunatamente piuttosto rare). La visuale dalla stazione di guida deve essere soddisfacente in tutte le direzioni, possibilmente anche verso poppa, laddove la parte aggettante sul pozzetto impedisce quasi sempre di vedere che cosa succede nelle immediate vicinanze dello scafo. Se sul fly è prevista la collocazione del tender (soluzione che sta progressivamente cadendo in disuso), valutiamo la praticità del sistema di varo/alaggio e, in particolare, se questo può avvenire esclusivamente su un solo lato oppure su entrambi i lati o anche a poppa.

Sala macchine

Per motivi di comfort e di sicurezza, eseguiamo questa parte della visita quando i motori sono spenti e ancora freddi. Anche in questo caso, come per il fly, consideriamo attentamente il sistema di accesso, rimandando però il giudizio finale alla fase di navigazione.

All’interno, invece, valutiamo da subito la qualità generale dell’ambiente (dimensioni, volume, aerazione, illuminazione) e verifichiamo che i vari elementi (soprattutto quelli soggetti a manutenzione ordinaria) siano accessibili e ispezionabili in sicurezza anche durante la navigazione. Un occhio particolare al sistema antincendio. Non ultimo, accertiamo che sia possibile sbarcare i motori senza dover ricorrere a costosissimi interventi distruttivi.

Le cabine

Per quanto riguarda gli interni, un primo sguardo d’assieme è senz’altro utile per capire se c’è una sostanziale corrispondenza con il nostro gusto personale e, soprattutto, con le nostre esigenze “abitative”.

Dopodiché passiamo a un’analisi più approfondita che dia una risposta, per ciascun ambiente, alle seguenti voci: illuminazione naturale e illuminazione artificiale; aerazione; quantità e qualità dei vari ripostigli (ispezionando anche dentro gli armadi, laddove normalmente lo sguardo non va); esistenza e fruibilità dei tientibene; presenza di spondine antirollio sulle superfici d’appoggio; serrature antivibrazione e fermi delle porte; affidabilità delle scale e dei dislivelli; assenza di spigoli e sporgenze che possano causare ferite o contusioni, soprattutto pensando al fatto che, in navigazione, l’equilibrio negli spostamenti è quasi sempre meno sicuro.

Poniamo estrema attenzione alla coibentazione acustica: aspetto importantissimo spesso sottovalutato o valutato soltanto in rapporto alla rumorosità proveniente dalla sala macchine. Perciò chiediamo a qualcuno di camminare – magari anche un po’ pesantemente – sul ponte sovrastante, per capire se i passi rimbombano all’interno, e di parlare ad alta voce dalla cabina attigua per capire se il livello di privacy è accettabile o meno.
Ancora una speciale attenzione dedichiamola alla cucina e alle toilette che, oltre a dover possedere tutti i requisiti di comfort e di sicurezza, devono essere in linea con le nostre abitudini.

Plancia principale

Tenuto conto che – perdonate l’ennesima ripetizione – anche in questo caso faremo la nostra valutazione finale con la barca in movimento, incominciamo a osservare la postazione di comando principale prestando attenzione ai seguenti fattori: posizione di tutti i comandi; quantità, qualità e distribuzione degli strumenti; visuale in tutte le direzioni (questa si modificherà in navigazione, a causa dei movimenti oscillatori e dei diversi assetti dello scafo); comfort da seduti e in posizione eretta. Per quanto riguarda quest’ultima voce, che introduce l’importantissimo tema dell’ergonomia, verifichiamo che per entrambe le posture tutti i comandi più direttamente coinvolti nel governo (timone, leve dei motori, thruster, trim, flap, interceptor, joystick di manovra) siano raggiungibili senza obbligarci a compiere spostamenti.

Inoltre, che i display degli strumenti principali siano ben visibili, sia perché non occultati (per esempio dal volante/ruota o dalle leve dei motori) sia perché inclinati in maniera tale da non presentare fastidiosi riflessi. Un fattore che valuteremo molto positivamente è quello costituito dal collegamento diretto di questo ambiente con i passavanti, cosa che risulterà estremamente utile soprattutto durante le manovre in porto.

Uscita in mare

Poiché la quantità di persone e l’entità del carico liquido possono incidere – proprio come lo stato di pulizia dell’opera viva – sulle prestazioni dichiarate dal cantiere, prendiamo nota di questi dati al momento di lasciare la banchina. Molto probabilmente, ai comandi ci sarà un responsabile del cantiere: ebbene, attraverso l’osservazione dei suoi movimenti – per esempio, per ottenere la migliore visuale – e, ovviamente, delle sue azioni sui comandi durante la manovra, potremo ricavare molte utili indicazioni circa le qualità dell’allestimento. Una volta fuori dal porto e in acque poco trafficate, chiediamo di prendere i comandi.

Risposta dei trim/flap/interceptor

La risposta dei trim, sulle unità dotate di motore fuoribordo o con piede poppiero, è senz’altro la più semplice da valutare. Meno facile è quella che riguarda la risposta dei flap e degli interceptor nelle unità plananti con trasmissione in linea d’asse o con Ips.

In questo caso, oltre a verificare l’efficacia della regolazione nella fase critica di transizione (quella che caratterizza il passaggio dal dislocamento alla planata e che provoca il tipico appoppamento), è utile considerare l’effetto dell’estensione progressiva di un solo elemento (lasciando l’altro a zero) alla velocità minima di planata con i flap retratti. Si pensi, per esempio, che in questo modo potrebbe essere possibile governare con il timone in avaria.

Stabilità direzionale

Per valutare questo aspetto, teniamo a mente che nei monomotore con timone non servoassistito, la rotazione dell’elica (dunque la cosa non riguarda quei motori dotati di due eliche controrotanti sullo stesso asse) produce un effetto sul volante (che tira da una parte e che perciò deve essere mantenuto al centro con un certo sforzo) e un effetto collaterale meno evidente (al punto che lo si confonde sempre con il primo) sulla direzione stessa: una più o meno accentuata tendenza a deviare che deve essere compensata con qualche grado di timone opposto e che non deve assolutamente essere considerata come una instabilità direzionale, bensì come un comportamento del tutto fisiologico.

Nei bimotore, invece, questi effetti collaterali non devono comparire, poiché le due eliche devono essere in grado di compensarsi vicendevolmente con la loro semplice controrotazione.

Risposta del timone

Le imbarcazioni con motorizzazione fuoribordo o entrofuoribordo reagiscono sempre con estrema prontezza alle sollecitazioni del timone. Lo stesso vale, più o meno, per gli scafi dotati di trasmissioni azimutali – come per esempio le celebri Ips Volvo Penta – purché perfettamente calibrate.

Al contrario, quelle con la trasmissione in linea d’asse possono manifestare una pigrizia più o meno marcata che deve necessariamente essere messa in evidenza e valutata simulando l’improvviso presentarsi di un ostacolo. Se la manovra evasiva ha successo in entrambi i sensi, possiamo ritenere il test positivo e passare ad altro. Se invece notiamo che la barca è incapace di evitare quell’ostacolo immaginario, dobbiamo concludere che da qualche parte esiste un difetto grave sul quale non dobbiamo assolutamente sorvolare.

Raggio e stabilità di accostata

Sulla base della stessa premessa fatta nel paragrafo precedente, la valutazione del raggio minimo di accostata è alquanto superflua nelle imbarcazioni con motore fuoribordo o entrofuoribordo o Ips, mentre è molto importante in quelle dotate di trasmissione tradizionale. Anche in questo caso, un ragionevole empirismo può essere sufficiente a darci un’idea di questa capacità evolutiva, tenuto conto però che questa cambia a seconda della velocità e, molto spesso, anche del verso.

Parlando invece di stabilità (sempre riferita all’accostata), la premessa di cui sopra è, in un certo senso, da invertire. Cioè, mentre sugli scafi con trasmissione in linea d’asse la prova risulta quasi sempre positiva, su quelli con motore fuoribordo o entrofuoribordo o Ips potrebbe evidenziarsi qualche comportamento anomalo.
In sostanza, tutto va bene se in assenza di vento (la corrente è del tutto ininfluente sulla rilevazione) la barca ripassa sulla sua scia senza manifestare un evidente rollio ondulatorio o una marcata tendenza a derapare.

Le velocità

Tra i temi che più facilmente possono generare antipatiche controversie tra i cantieri e i loro clienti, c’è senz’altro quello della velocità. Qui bisogna intendersi subito sui diversi significati e sulle diverse implicazioni che questo termine – apparentemente inequivocabile – ha nelle sue sfaccettature. Incominciamo con la velocità massima, considerata – erroneamente, a nostro parere – come la regina delle prestazioni.

Ebbene, quella dichiarata dal cantiere nella scheda tecnica dell’imbarcazione è, giustamente, frutto di una o più rilevazioni condotte in condizioni assolutamente ottimali, cioè con mare calmo, in assenza di vento, con la carena e le appendici perfettamente pulite, con i motori a punto e con un carico minimo. Essendo assai probabile che in occasione della nostra prova esse non siano altrettanto favorevoli, dobbiamo tener conto di tutti quei fattori che possono incidere negativamente sulle nostre misurazioni. Non solo: dobbiamo pure ricordare che, particolarmente sulle barche molto veloci, incide in modo altrettanto vistoso la mano di chi pilota.

Tutto questo insieme di variabili ci porta a dire che una differenza fino al 7-8 per cento in meno, rispetto alla velocità massima dichiarata, possiamo tranquillamente accettarla; un decremento superiore deve farci sorgere sospetti circa la veridicità del dato di riferimento e, pertanto, ci impone una ferma richiesta di chiarimento.

Molto utile è verificare la velocità minima di planata (variabile soprattutto a seconda dell’entità e della distribuzione del carico) poiché, utilizzando il dato come divisore rispetto alla velocità massima misurata, ci consente di calcolare il cosiddetto fattore di planata, che indica sostanzialmente il range di velocità “in assetto” che abbiamo a disposizione durante la navigazione.

A questo punto, però, è per noi molto importante capire con ragionevole precisione quando lo scafo passi effettivamente dal dislocamento alla planata. I segnali di questo passaggio, in accelerazione, sono: il rapido appruamento, dopo l’iniziale appoppamento; l’onda di poppa trasversale che si “stacca” allontanandosi; il ginocchio di carena a poppa (lo spigolo più esterno) che non è più immerso; il più rapido aumento della velocità.

Sempre a proposito di variazioni della velocità, se la prova di accelerazione è di scarso valore pratico, quella contraria è invece molto importante. Per eseguirla correttamente, portiamo lo scafo alla velocità massima, poi, dopo aver chiesto alle persone presenti di tenersi a qualcosa di solido (o meglio, di restare sedute), mettiamo in folle le manette e voltiamo lo sguardo verso poppa: l’onda sopraggiungente non dovrà in alcun modo allagare il pozzetto.

Gli ambienti in navigazione

Terminate le prove tecniche in plancia, ripercorriamo la barca in tutti gli ambienti esterni e interni che avevamo già visitato agli ormeggi, in modo tale da poterne valutare la percorribilità/abitabilità/ergonomia anche sotto le sollecitazioni imposte dalla navigazione.

Soltanto in queste condizioni possiamo, per esempio, renderci perfettamente conto dell’efficacia dei tientibene; della sicurezza delle scale; della presenza di ostacoli e sporgenze che possano causare inciampi, cadute, contusioni. Senza contare la possibilità di valutare in modo più esauriente la rumorosità all’interno di ciascun ambiente: non soltanto quella generata dalla combustione, che spesso non è neppure la più fastidiosa, ma anche quella meccanica (basti pensare alle linee d’asse, che spesso rendono invivibili le cabine di poppa), quella generata dalle vibrazioni e dalle risonanze e, non ultima, quella provocata dallo sbattimento dell’acqua sullo scafo (che, invece, può rendere invivibili le cabine di prua).

IL FATTORE DI PLANATA

A differenza di uno scafo dislocante, che non vede mutare di molto le sue prestazioni al variare del carico e delle condizioni meteomarine, uno scafo planante si dimostra molto sensibile alle variazioni di peso e di onda.

Ciò significa che il pilota di un determinato scafo ha a sua disposizione uno specifico range di velocità “in assetto”, al di sotto del quale la barca perde molte delle sue prerogative. A definirne l’ampiezza è il cosiddetto fattore di planata, dato calcolabile dividendo la velocità massima misurata per la velocità minima di planata. Prendiamo, per esempio, una barca che in determinate condizioni raggiunga un massimo di 36 nodi e sia in grado di mantenersi in planata (con flap/trim/interceptor in posizione neutra) a una minima di 13:
36 : 13 = 2,77

Considerando che i valori fino a 1,95 sono bassi; quelli da 1,96 a 2,30 sono normali; quelli da 2,31 a 3,90 sono elevati e quelli oltre 3,90 sono molto elevati, possiamo affermare che la barca del nostro esempio gode di un fattore di planata elevato. In termini strettamente pratici, ciò significa che lo scafo planante è in grado di garantire il suo assetto ideale in un’ampia varietà di condizioni e senza troppe raffinatezze di set-up. Al contrario, uno scafo caratterizzato da un fattore di planata basso (paradossalmente lo sono anche alcuni offshore) può garantire il suo assetto ideale soltanto in determinate condizioni e con una precisa messa a punto.<p style=”text-align: center;”>Scarica pdf Nautica Ottobre 2021</p>