La lenza da traina o da drifting è generalmente composta da tre elementi. Partendo dal mulinello avremo:
  1. il cuscino di lenza costituito da filo robusto, destinato ad aumentare il diametro del tamburo (fino a 1/3 circa) e quindi la correlativa forza di leva; nonché ad offrirci una riserva della lunghezza complessiva da utilizzare in caso di necessità;
  2. la madrelenza che rappresenta la maggior parte del complesso;
  3. il terminale, lungo dai 3 ai 15 metri, che è la parte finale della lenza ed alla cui estremità va collocata l’esca artificiale o naturale.

Sono ora necessarie alcune puntualizzazioni. Secondo i regolamenti dell’IGFA (l’ente internazionale preposto all’omologazione dei records) l’unico elemento che conta è il libbraggio della madrelenza. In parole povere, secondo detti regolamenti IGFA – che, è bene dirlo, sono stati elaborati tenendo prevalentemente conto della pesca alturiera nelle acque oceaniche – il terminale può essere di qualunque materiale e spessore, assai più resistente della madrelenza. Ma noi pescheremo nelle nostre povere acque e, come abbiamo visto, soprattutto sottocosta: cioè in condizioni tali che, per i pesci che avremo a disposizione, il filo del terminale dovrà esser di solito molto più sottile di quello della madrelenza. Solo quando ci dedicheremo ai giganti, quasi sempre in drifting, il rapporto dovrà essere invertito.

I materiali con i quali vengono costruite le lenze impiegate nella pesca sportiva sono:

  • il nylon in monofilo utilizzabile per il cuscino e per la madre;
  • la treccia di dacron con anima piombata, moderatamente autoaffondante, che può essere impiegata per tutta la lenza madre o per una parte di essa;
  • la lega di metalli pesanti in monofilo (monel e simili) che serve per la madrelenza quando si vogliono raggiungere profondità considerevoli senza piombi o affondatori di altro tipo;
  • l’acciaio in monofilo (piano wire) che serve per i terminali quando si tratta di affrontare pesci che – con il rostro, o con i denti, o con altre parti anatomiche – potrebbero facilmente “rompere”;
  • la treccia metallica a più capi, scoperta o rivestita di guaina, che ha il suo campo di impiego specifico nei confronti degli squali;
  • la treccia metallica con guaina termosaldante che è prevalentemente impiegata in piccoli spezzoni per il montaggio di esche naturali soprattutto nella traina a pesci serra e a dentici;
  • le fibre di polietilene con cui vengono costruiti fili, da poco tempo reperibili sul mercato, che hanno lo stesso campo di impiego del dacron rispetto al quale però presentano, a parità di spessore, una resistenza doppia e un costo triplo; sono in corso sperimentazioni volte a testarne la validità in funzione anche di terminali.

Tutti questi fili hanno diametri e resistenze (carichi di rottura) diversi indicati in centesimi di millimetro e/o in libbre nelle rispettive confezioni contenitrici.

Nella scelta dei fili entrano in gioco numerosi fattori: morbidezza, resistenza all’usura, elasticità, visibilità in acqua, costo e chi più ne ha più ne metta. Fatte salve alcune soluzioni oggettivamente inderogabili, tali scelte sono in genere determinate da opinioni zonali, o addirittura personali, spesso profondamente radicate ed aprioristiche. In tale situazione, per non restare nel vago, posso solo riferire in sintesi quello che penso io dopo un trentennio di pesca sportiva intensamente vissuta in Mediterraneo; libero poi ciascuno di fare a modo suo ove ritenga, senza dubbio a ragione, di averne motivo.

Cuscino: fatta eccezione per i casi in cui la madre è in monel, può anche mancare; la resistenza non deve mai essere inferiore a quella della lenza madre.Madrelenza: è preferibile il dacron per la maggior durata, per la minor memoria meccanica, per la elasticità non eccessiva; non è peraltro da escludere, specie nella traina pelagica, il nylon che consente di pescare “a lenza unica”, ossia senza cuscino e senza terminale; può essere importante che il nylon sia vivamente colorato in modo che lo skipper sia in grado di seguire senza troppe incertezze le evoluzioni del pesce allamato; una madrelenza in monel ci consente di far navigare le nostre esche trainate a profondità ragguardevoli, anche oltre i 30 metri; molto meno affondante è la treccia di dacron con anima piombata che ha il suo settore di impiego preferenziale nella traina su fondali compresi fra i 5 e i 10 metri.

Terminale: quasi sempre vanno bene i terminali in nylon; solo per gli squali è tassativo l’impiego della treccia metallica o, quantomeno, del monofilo d’acciaio; per quanto attiene al colore del nylon, nella media sono vincenti il bianco trasparente e il celeste acquamarina; sono sempre da escludere colorazioni troppo vivaci.