Nautica 750 – Ottobre 2024

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LE PROVE


I FOCUS


Nautica Vintage


STORIA E CULTURA

  • Alla ricerca di nuove rotte – La via delle spezie (Stefano Navarrini) 110
  • Un’arte in estinzione
  • In mostra, la magia delle fòrcole veneziane (Giovanni Panella) 118

VIAGGI

  • Croazia, Riviera Dubrovnik – Le meraviglie del Sud (Patrizia Magi) 124

Le Rubriche di questo mese


Libri sul mare consigliati questo mese

(a cura di Bianca Gropallo)


Le ricette di CAMBUSAchef-cambusa


L’editoriale

Chi è senza peccato…

A ogni fine stagione ho l’abitudine di condividere con i lettori di Nautica alcune riflessioni in tema di sicurezza prendendo spunto dalle disavventure nautiche dell’estate trascorsa. Benché anche quest’anno ce ne siano state tante, troppe, stavolta non ho l’imbarazzo della scelta.

Il caso del Bayesan, il Perini di 56 metri affondato il 19 agosto mentre era alla fonda a poche centinaia di metri da Porticello, nei pressi di Palermo, ha tragicamente dominato la scena, persino conquistando per diversi giorni le aperture dei telegiornali.

Sui social, manco a dirlo, l’inferno. Poiché mentre sto scrivendo mancano ancora gli indizi e i rilievi oggettivi che consentiranno agli inquirenti di formulare le loro conclusioni e a noi giornalisti di scrivere qualcosa che vada oltre le semplici congetture, è proprio su quell’inferno che desidero meditare.

Come un apneista che sa che cosa l’aspetta prima ancora di mettere la testa sott’acqua, mi sono turato il naso e mi sono immerso – esclusivamente da osservatore professionale, non certo da partecipante attivo – in quella bolgia. E come in altre occasioni, per poter trarre qualche traccia utile dalla miriade di post, ho messo in atto una sorta di raccolta differenziata. Nel secchio dell’immondizia marrone ho infilato le offese degli odiatori; in quello grigio, le battute spiritose dei cretini; in quello giallo, le certezze assolute dei complottisti. E già solo così ho eliminato un buon 90 per cento del totale.

Video-Bayesan-web

Mi è rimasta quindi quella ristretta categoria di persone che, pur nell’ampia diversità dei loro punti di vista, hanno comunque argomentato i loro interventi. Ho subito notato che la quasi totalità di questa compagine era (ed è tuttora, visto che l’argomento è ben vivo) costituita da velisti, che, già tradizionalmente più attivi sui social, ho immaginato potessero essere mossi da una sorta di transfert nei confronti dell’equipaggio della sventurata barca e, più in particolare, del suo comandante, il neozelandese James Cutfield.

Più che altro, ho voluto sperare che, sulla base delle loro proprie esperienze, magari di quelle più brutte (quale diportista, soprattutto se nel ruolo di comandante, non ne ha di ben stampate nella memoria?), nel loro esprimersi potessero essere spinti da un istinto di immedesimazione, di empatia. Ebbene mi sbagliavo.

Ho cercato tanto tra quel 10 per cento di post selezionati, ma di questa forma di umanità ne ho trovato solo tracce sporadiche. Molto più spesso ho letto atti di accusa privi di qualsiasi dubbio e, perciò, sostanzialmente inutili a ipotizzare le dinamiche psicologiche sulle quale sempre si fonda l’errore umano.

Le quali dinamiche, proprio perché da non confondere con le questioni meramente tecniche che sicuramente ci sono, ma come conseguenza, non come causa, sono le uniche a permettere di trarre insegnamenti anche da una vicenda tragica come quella di Porticello e, magari, di prevenire il ripetersi di quegli stessi errori in altri soggetti.

A dimostrarlo ci sono tanti esempi. Il primo che mi viene in mente è quello del disastro di Tenerife, il più grave nell’intera storia dell’aviazione, avvenuto nel 1977 sulla pista dell’aeroporto di Los Rodeos. Due Boeing 747 carichi di passeggeri si scontrarono durante il rullaggio, facendo 583 vittime.

Ebbene, ancor più che per stabilire le colpe individuali, gli incredibili errori di comunicazione tra i piloti e la torre di controllo – dai quali certamente scaturì l’incidente – furono analizzati per stabilire nuove procedure che, di fatto, aumentarono sensibilmente la sicurezza del trasporto aereo.

Dunque, lo si sarà capito: sono portato a ritenere che anche dietro la tragedia del Bayesan ci sia l’errore umano, o meglio, come più spesso accade, una concatenazione di errori umani, forse addirittura banali come i tanti che abbiamo commesso – e che continueremo a commettere – nella nostra vita di appassionati naviganti. Solo che a noi è andata bene.
E ce ne siamo dimenticati.
Corradino Corbò