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Nell’articolo pubblicato sul numero di febbraio abbiamo scorso a volo d’uccello le principali innovazioni operate nel Codice della nautica dalla recente riforma che in effetti chiude una fase di importante restyling in corso dal 2011. Ciò detto, al fine di fare un po’ di chiarezza e fornire adeguata informazione ai lettori mi par necessario scorrere per ordine il codice con particolare attenzione ai luoghi che hanno conosciuto una modifica o innovazione più o meno rilevante.

Innanzi tutto, un chiarimento: non siamo di fronte a un “nuovo codice della nautica” come spesso asserito ma più semplicemente a interventi integrativi e modifiche del testo originale per cui il codice è e rimane quello del 2005 (d. legislativo n. 171/05) solo che nel tempo esso è – se così possiamo dire – cresciuto e ora copre aspetti quali quello della portualità turistica che alla sua uscita non aveva trattato, oltre ad avere ampliato decisamente l’attenzione dedicata alle figure professionali e al settore commerciale.

Ciò detto iniziamo con una rilettura dall’art. 1 che a partire dal 2011 e poi con il d. legislativo 229/17 ha subito alcuni ritocchi che a prima vista potrebbero sembrare di scarso rilievo ma poi, con uno sguardo più attento, debbono essere valutati e valorizzati in quanto ampliano nei fatti la portata del codice e chiariscono punti considerati oscuri o dubbi. L’inizio di una storia è importante per la comprensione del seguito ed il nostro vuole che le disposizioni del codice della nautica si applicano alla navigazione da diporto da esercitare però non solo per fini sportivi e ricreativi, come voleva la tradizione a lungo propugnata prima dalla legge 50/71 e poi dal codice stesso. L’originale descrizione della navigazione da diporto, ripresa dalla legge del 1971 era posta nel seguente modo: “Ai fini del presente codice si intende per navigazione da diporto quella effettuata in acque marittime ed interne a scopi sportivi o ricreativi e senza fine di lucro”. Per 40 anni, sia pur con sporadiche ed episodiche aperture il nostro Paese è rimasto fedele al concetto univoco di una navigazione speciale estranea al mondo dell’impresa in fase gestionale.

Nel 2011 a seguito di pungenti osservazioni sulla situazione contraddittoria e arretrata si sono avveduti della necessità, confermata nell’attuale testo consolidato, di riconoscere proprio nell’attacco del codice e in modo che non vi fossero dubbi che esiste ed è assolutamente coerente e legale per le unità da diporto oltre a un uso esclusivamente lusorio anche quello commerciale. In pratica si è voluto sanare un palese contrasto che il testo originario offriva porgendo il fianco a plausibili critiche e accuse di incoerenza dato che si leggeva un art. 1 che disegnava il diporto come scevro da aspetti lucrativi /commerciali mentre poi l’art. 2 prevede ed in modo chiaro ed esplicito l’uso commerciale. Con questa nuova dizione il Codice consacra quindi l’esistenza e la coabitazione del diporto ad uso proprio/personale e di quello esercitato quale attività lucrativa con organizzazione imprenditoriale. Di tale argomento si tratterà in modo più ampio con l’esame dell’art. 2. Per ciò che attiene i mezzi con cui si esercita la nostra navigazione, si specifica grazie all’introduzione del comma 1 bis che essa avviene mediante le unità di cui al successivo articolo 3 ed anche da navi di medio grandi dimensioni destinate alla navigazione internazionale o superyacht, iscritte nell’apposito Registro internazionale e regolate dall’articolo 3 della legge 172/2003 che tra l’altro contiene la delega al governo per la stesura del nostro codice.

Al proposito evidenziamo che il concetto di nave e di abilitazione alla navigazione rimangono uguali nella navigazione mercantile e in quella da diporto provenendo dagli art. 136 e 137 del codice della navigazione che resta comunque testo di riferimento per la materia marittima. Non si è infatti voluto creare per il diporto una autonoma categoria di nave: i marittimi professionali imbarcati sono sempre iscritti nelle matricole della gente di mare.

In effetti, il terzo comma del nostro art. 1 dopo aver solennemente affermato la sostanziale autonomia della materia visto che per quanto non previsto dal codice in materia di navigazione da diporto si applicano le leggi, i regolamenti e gli usi di riferimento specifico ammette però che, in mancanza di esse vigono pur sempre le disposizioni del codice della navigazione e le relative norme attuative.

Per avere cognizione adeguata e utile del vasto sistema normativo che riguarda la navigazione da diporto occorre quindi tener presente il codice della nautica e suo regolamento (D.M. 146/2008) ma anche il “vecchio” codice della navigazione, il suo regolamento di attuazione e le principali norme internazionali sulla navigazione tra cui la convenzione di Montego Bay, la Colreg e per gli inquinamenti la Marpol giusto per citare le principali. L’art. 1 conclude con una norma ripresa dalla l. 50/71 che ha vari risvolti pratici interessanti ai fini della “semplificazione” tanto voluta e decantata ma altrettanto e spesso trascurata nei nostri contraddittori tempi. Nel prosieguo della nostra trattazione metteremo in rilievo vari casi in cui l’assunto dell’art. 1 viene tradito.

Sta di fatto che ai fini dell’applicazione delle norme del codice della navigazione, le imbarcazioni da diporto sono equiparate alle navi e ai galleggianti di stazza lorda non superiore alle 10 tonnellate, se a propulsione meccanica, e alle 25 tonnellate in ogni altro caso, anche se l’imbarcazione supera detta stazza, fino al limite di 24 metri. Ciò comporta quindi che le imbarcazioni da diporto sono in ogni caso equiparate ai fini amministrativi e legali a unità considerate minime dal Codice della navigazione e come tali destinate a un regime amministrativo particolarmente alleggerito.

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