Tra gli obiettivi del vertical jigging non poteva mancare il gigante del Mediterraneo, ma se per gli altri predatori la strada è stata relativamente facile, per il tonno rosso le cose cambiano radicalmente.

Il jigging è bello anche perché dinamico, si pesca cercando il pesce con lo scandaglio oppure tentando varie calate in punti noti in cui si presuppone i predatori prima o poi passino. Lo strike è sempre una bella sorpresa, ma se dopo il blocco dell’esca si avverte un treno che tira dall’altra parte, senza nessuna possibilità di fermarlo, la sorpresa diventa amara, molto amara. L’attrezzatura inadeguata, e nonostante gli sforzi per cercare di averne ragione, il tonno gigante non lascia chance: rompe.

Questo accade quando si sta pescando senza avere il minimo sospetto dell’avversario che si può incontrare, spesso in situazioni in cui tutto ci si aspetta meno il tonno, ma la tecnica, le attrezzature e soprattutto l’esperienza sono andate avanti e questo nobile avversario è stato parzialmente domato.

Le prime esperienze si possono fare con i tonni di branco mentre si traina in altura. I pesci insidiati sono alla portata di tutti, anche se un tonno in canna è sempre un avversario di tutto rispetto. Attaccano preferibilmente jig corti sul blu o azzurro, meglio se con livree specchianti. Artificiali che in qualche modo per colore e dimensioni ricordino le sardine.

Prediligono il long jerk, ma non disdegnano qualsiasi altro recupero, anche con strattoni disordinati. Queste sono le situazioni ideali per prendere confidenza con questi pesci, stando comunque molto attenti ai collegamenti tra multifibre e nylon e tra nylon e assist. Anche se stiamo parlando di tonni che non hanno ancora raggiunto le caratteristiche performanti della specie, la loro potenza e la velocità nelle fughe non è comunque da sottovalutare.

È consigliabile usare canne di buona qualità, abbinate a mulinelli che contengano almeno 250 metri di multifibre da 50 libbre, con il freno regolato tra i 3 e i 5 chili. Passando ai tonni intermedi, il confronto a vertical jigging con un pesce tra i 40 e i 60 chili di peso, può già essere considerato un passo importante nell’evoluzione di questa tecnica, per noi che non abbiamo ancora superato la fase neofita. Dire di andare a vertical a tonni può essere considerato un eufemismo, ma ci sono alcune situazioni in cui è possibile tentare.

A parte alcuni corridoi o aree circoscritte (gabbie di allevamento per i tonni, piattaforme ecc.) in cui passano obbligatoriamente e nelle quali è possibile incontrarli con frequenza, la condizione migliore per tentare il colpaccio è durante la pesca in drifting. La prima fuga del tonno è quasi interminabile, parte in una direzione, ma senza il minimo preavviso la cambia passando sotto la barca. La cosa migliore da fare è quella di accendere la barca e cercare di seguire la lenza.

Appena fermatosi dalla prima fuga, o ne esegue una seconda oppure si pianta a 60-70 metri di profondità e nuota. In questa fase inizia il combattimento vero e proprio, caratterizzato da recuperi e brevi fughe, ma sempre con il peso granitico del pesce, tipico della specie.

Ovviamente stiamo parlando di una preda che è in grado di mettere a dura prova tutto il complesso pescante. Canna e mulinello devono essere adeguati. La canna idonea a poter pescare con la frizione tarata ad almeno 6-7 chili e con una riserva di potenza in grado di sollevare il grande peso verso la superficie. Il mulinello deve contenere almeno 300 metri di multifibre da 50 libbre e possedere una meccanica eccellente.

La scelta del libbraggio del multifibre, può tranquillamente orientarsi sulle 50 libbre, in quanto pescando con un freno tarato tra i 5 e gli 8 chilogrammi, avere un carico di rottura della lenza pari a 25 chilogrammiè più che sufficiente. Il terminale può essere compreso tra le 60 e le 100 libbre, obbligatoriamente di fluorcarbon.

Primi passi a vertical

Il primo problema da affrontare avvicinandosi a questa tecnica è sicuramente relativo all’attrezzatura. Molti negozianti non sono ancora abbastanza esperti da poter dare dei consigli e spesso ci si trova ad acquistare l’attrezzo sbagliato, con il risultato di dover ricominciare tutto da capo. Il consiglio migliore è sempre quello di rivolgersi a esperti del settore o ad amici già navigati in questa tecnica. Il primo scoglio da superare è relativo alla canna.

Le Canne da pesca per il vertical jigging

Possiamo dividere le canne in due categorie principali: da casting e da spinning. Anche se le due tipologie indicano due tecniche di pesca ben diverse dal vertical jigging, nel gergo comune stanno a indicare con quali mulinelli possono essere usate. Avremo le canne denominate da casting progettate per lavorate con mulinelli rotanti, mentre quelle che rientrano nella categoria spinning sono concepite per i mulinelli a tamburo fisso. Le prime lavorano con i passanti rivolti verso l’alto, mentre le seconde verso il basso.

Detto questo è evidente che a seconda dell’esperienza nel maneggiare l’uno o l’altro mulinello, ci si orienterà nella scelta dell’attrezzatura. C’è poi da aggiungere che mentre i mulinelli a tamburo fisso hanno la manovella che può essere spostata sia a destra che a sinistra, con l’intercambiabilità della mano che la gira, quelli a tamburo rotante per il 99{2e3577d2bd6aebaa150c85c33fcd353783f1aa6c690283591e00ef60b3336fc8} hanno la manovella a destra. Questo significa che con i rotanti sarà possibile pescare esclusivamente tenendo la canna con la mano sinistra e girando la manovella con la destra, mentre con i fissi si potrà scegliere.

Generalmente in Italia siamo più abituati a pescare a traina con i mulinelli rotanti e al lancio con i fissi, questo significa che per iniziare sarà sicuramente più versatile e gestibile un mulinello a bobina fissa abbinato a una canna della categoria spinning. Il ragionamento che dobbiamo fare in questo tipo di scelta è semplice per chi ha già provato, ma non chiaro per chi comincia.

Il vertical jigging è caratterizzato da continui colpi o strattoni verticali con la canna, durante il recupero. Questi colpi che nel gergo si chiamano jerk, vengono inferti con la canna sotto l’ascella o poggiata su una cintura da combattimento ventrale.

La mano e il braccio che reggono la canna dovranno essere in grado di sopportare un lavoro metodico, lungo e pesante, mentre la mano che gira la manovella del mulinello dovrà coordinare i movimenti in modo da garantire il recupero quando la canna scende dopo lo strattone. Detto così può sembrare anche semplice, ma le prime volte ci si troverà il braccio che regge la canna dolente dall’acido lattico e la mano che gira scoordinata nel recupero.

In linea di massima chi è destro è preferibile tenga la canna con la mano destra e giri la manovella con la sinistra, chi è mancino il contrario. Con queste premesse possiamo orientarci di prendere in esame la tipologia più usata nel nostro paese: ovvero mulinello a tamburo fisso e canna dedicata. Cominciando a parlare di attrezzatura bisogna fare dal principio una considerazione; l’attrezzatura quanto migliore è, tanto più costa e tanto più facilita l’azione di pesca.

Questo è difficilmente digeribile in quanto spesso avvicinandosi a una nuova tecnica si cerca di spendere il meno possibile nell’incertezza di verificare la reale funzionalità della nuova disciplina, ma mentre in altre tecniche l’attrezzatura è statica, in mano o in un portacanna, nel vertical jigging è partecipe dell’azione di pesca. Una canna troppo rigida e pesante andrà a gravare sul movimento e stancherà maggiormente le braccia, così come un mulinello con poca fluidità o con un rapporto di recupero sbagliato, appesantirà l’avvolgimento della lenza.

Tutte queste considerazioni generalmente vengono ignorate dal neofita, il quale, nella maggior parte dei casi, acquisterà un’attrezzatura “per cominciare” e poi se la tecnica viene apprezzata passerà a un’attrezzatura migliore, dettata anche da una maggior competenza in materia.

Le prede del vertical jigging

Il vertical jigging, nelle nostre acque, mira prevalentemente ai predatori classici di fondo, ma questa tecnica è talmente polivalente che riesce a sedurre prede diametralmente diverse tra loro, lasciandoci sempre a bocca aperta.

Il vertical jigging nella sua versione standard, prevede l’impiego di jig che più o meno dovrebbero simulare piccoli e medi pesci che salgono e scendono scompostamente dal fondo. Tale azione, come molti hanno evidenziato, potrebbe ingannare i predatori, pensando a un pesce ferito o addirittura in agonia e quindi facile preda.

Altre ipotesi sui motivi di attacco sono relativi alla territorialità, fatto sta che gran parte di coloro che si sono avvicinati a questa tecnica, compreso chi scrive, pensavano al jig come un qualsiasi artificiale, quindi destinato ai predatori classici delle nostre acque. In effetti gran parte delle prede catturate rientrano della fascia di quei pesci a cui la traina ci aveva abituato, come dentici e ricciole, ma con il tempo sono arrivate le sorprese.

Le prime prede inusuali che si sono interessate ai jig sono stati i pagelli e le tanute. Generalmente questi pesci si cibano di anellidi e piccoli molluschi, ma pur non essendo mai stati catturati con esche artificiali, risultano vittime di grandi jig, che in apparenza attaccano nel vero senso della parola, in quanto rimangono ferrati con l’amo nella bocca e non sul corpo come potrebbe accadere nel caso di una “smusata” per cacciare l’intruso dal territorio. Un altro pesce che rientra in questa categoria è il sarago maggiore. Non sono rare, infatti, le catture di questa specie con la tecnica in oggetto.

Generalmente pagelli, tanute e saraghi, attaccano l’esca al primo o al secondo strattone, difficilmente la seguono durante la risalita.Rimanendo tra i pesci di fondo più o meno predatori, il san pietro è una delle prede che risulta essere molto attratta dai jig.

Questo pesce è lento e difficilmente si lancia in inseguimenti di prede veloci, ma davanti a un jig guizzante sembra cambiare comportamento. Anche gronghi e murene non disdegnano i jig se li trovano a tiro, così come razze e trigoni, questi ultimi maledettamente tenaci e resistenti tanto che le prime volte danno l’idea di aver ferrato la ricciola della vita. Altre prede sempre ben accette per la gustosità delle loro carni sono lo scorfano e la gallinella. Entrambi bisogna quasi centrarli con il jig, ma alla luce dei fatti non sono affatto rari.

Nella fascia di mezzo fondo è possibile incontrare le più disparate specie di pesci predatori, che ovviamente, abituati a inseguimenti in acqua libera, non si lasciano scappare il jig. Palamite, lanzardi, tombarelli, alletterati e lampughe, rappresentano le classiche prede delle aree sabbiose e dei manufatti umani come piattaforme, mede e boe di segnalazione. Questi pesci sono voracissimi e rappresentano una delle alternative quando non si ha successo con i predatori classici di fondo.

Non di rado il jigging a questi pesci si pratica ingannando il tempo durante la pesca a light drifting, che con la sua azione di pasturazione porta il pesce azzurro sotto la barca. In un contesto del genere è possibile avere la graditissima sorpresa di allamare un altro dei predatori classici della traina con il vivo, ma poco consono alle tecniche di fondo del vertical: la leccia.

Uno dei limiti della traina di fondo con il vivo è sempre stato la profondità, con il vertical jigging tale limite è stato ampiamente infranto, andando a insidiare i predatori fino a 120 metri di profondità e oltre. Su questi fondali è possibile trovare prede che abitualmente non sono comuni con altre tecniche, oppure sono stagionali in quanto risalgono su fondali meno profondi durante la stagione dell’accoppiamento. Tra questi i pagri e i dentici corazzieri sono in pole position.

Predatori potenti e aggressivi, attaccano i jig sia abboccando senza indugi che colpendolo per allontanarlo dal proprio territorio. Il pagro (pagrus pagrus) diffuso soprattutto nel centro-sud e in Sardegna, è una preda invernale e attacca i jig sul fondo durante i primi strattoni. La sua difesa è sempre molto potente, ma non veloce e, se di grandi dimensioni, risulta difficile da staccare dal fondo. Il corazziere (dentex gibosus), specie ritenuta quasi estinta, ha ricominciato a comparire nelle acque della bassa Campania, della Calabria e della Sicilia. Può raggiungere dimensioni notevoli e la sua difesa non ha niente da invidiare a predoni più blasonati.

Segue anche il jig a distanza dal fondo e quando si sente allamato si difende con fughe incontrollabili e potentissime.Il fondale però, può riservare sorprese ben più insidiose tra cui il pesce sciabola.

Vertical jigging, il montaggio dell’esca

In tutte le tecniche di pesca con l’artificiale si devono affrontare problematiche inerenti al collegamento dell’esca al terminale, ma mai tale argomento è stato controverso e discusso come nel vertical jigging, vediamo i sistemi più usati in base alle nozioni giapponesi e mediterranee.

Le esche da vj generalmente presentano due anelli: uno anteriore e uno posteriore; in questa sede prenderemo in considerazione soltanto il primo e il montaggio con singolo assist, sistema più usato e meno impegnativo.

Oltre all’anello dell’esca utilizzeremo due tipi di anellino: il solid ring (anello circolare saldato) e lo split ring (anello a spirale nel quale è possibile far entrare un altro anello). Nella pratica quindi disponiamo di anelli chiusi che possono essere collegati tra loro mediante anelli aperti.

Nella scelta dei solid e degli split, bisogna considerare il carico di rottura dichiarato e le dimensioni, rapportando entrambi alla grandezza delle esche impiegate.

Le soluzioni più usate

Nella pesca pratica bisogna ottimizzare tempi, praticità e rendimento, a tale scopo analizzeremo le soluzioni più usate da chi ormai pratica il vj da tempo, lasciando spazio all’immaginazione e a eventuali varianti.

Il concetto di base è che l’assist, essendo la componente mobile dell’esca, deve essere quanto meno vincolato e più basculante possibile. La prima analisi da fare è quella di poter avere l’amo collegato direttamente al terminale con la possibilità di sostituire l’esca senza smontare il collegamento tra terminale e assist. Il sistema più semplice è quello di collegare a uno split il solid dell’asist e un secondo solid al quale si lega il terminale.

L’esca s’inserisce nello stesso split in modo da risultare intercambiabile con una semplice e rapida apertura dell’anello. Il solid ring al quale si lega il terminale, può essere sostituito da una girella di buona marca e alta resistenza (almeno 100 libbre).

La girella come tramite tra esca e terminale è molto usata ed evita le torsioni sul terminale dovute all’eventuale rotazione dell’esca durante gli strattoni. Un altro sistema di collegamento prevede l’eliminazione del secondo solid o della girella e il nodo direttamente sul solid dell’assist.

In questo caso però, è preferibile realizzare un nodo a gassa che non vincoli eccessivamente il movimento dell’assist. Per concludere, montato l’assist sull’esca mediante uno split ring, si può realizzare il nodo di collegamento con il terminale direttamente sull’anello dell’esca. In questo modo per sostituire l’esca però, sarà necessario rifare il nodo con il terminale ogni volta.

Come in ogni complesso pescante. Anche nel vj c’è un punto debole. In questo caso è rappresentato dal nodo che collega il terminale all’esca. Il nodo deve essere di provata resistenza e realizzato con il massimo dell’attenzione.

Da prove effettuate, quello che garantisce la massima tenuta è il nodo del tubicino o nail knot, ma anche nodi come il palomar, l’uni o l’improved clinch possono andar bene, l’importante che vengano provati manualmente con forte trazione prima di essere usati in pesca.

Nel caso si realizzi su un solid ring, è necessario proteggerlo con uno scoobdoo, in quanto spesso la parte interna di questi anelli non è tondeggiante e quindi potrebbe recidere il filo.

Negli ultimi tempi sono stati provati dei nodi che prevedono un triplo passaggio del filo nel solid ring, ottenendo dei risultati considerevoli. Si tratta del solid knot e del trilene knot. Entrambi questi nodi impongono uno studio approfondito in internet per trovare le spiegazioni necessarie e chiare di come realizzarli e una buona dose di pratica per apprenderli.

Vertical jigging nel Mar Mediterraneo

Nello scoprire una nuova tecnica, di provenienza orientale, bisogna fare alcune precisazioni. Il vertical jigging nasce in acque leggermente diverse dalle nostre; seppur per certi versi più sfruttate, sicuramente con caratteristiche costiere ben lontane da quelle del Mediterraneo.

La prima precisazione da fare è proprio sulla fascia costiera. Le acque giapponesi, a fronte di una pesca intensiva alturiera, non presentano uno sfruttamento della fascia costiera capillare e senza scrupoli come il Mediterraneo che bagna l’Italia. Questo comporta che il vertical praticato nelle acque costiere orientali, può dare buoni risultati anche in acque poco profonde, mentre da noi no. Questa prima differenziazione impone l’impiego di attrezzature ed esche diverse da quelle usate prevalentemente nelle acque del Sol Levante. Nel nostro mare siamo costretti a cercare le prede per il jigging su secche isolate, cigliate rocciose o comunque aree poco disturbate dal turismo nautico e dalle reti di posta. Spesso spingendoci a profondità sensibili con conseguente appesantimento dell’attrezzatura e dell’impegno fisico.

Questo porta innanzi tutto a una conoscenza fondamentale e approfondita delle specie ittiche delle nostre acque, le loro abitudini e il loro habitat. Mai tecnica di pesca ha richiesto uno studio così approfondito sui pesci e le loro abitudini quanto il vertical jigging.

Al contrario della traina in cui, per quanto lenta essa sia, l’esca percorre un discreto tratto di mare trascinata dalla barca, nel vertical bisogna sapere o presupporre dove siano i pesci, per calarvi l’esca sopra in verticale. Per chi proviene dalla traina con il vivo o dal bolentino, il passo è abbastanza facile, ma per coloro che si avvicinano alla pesca iniziando con il vertical jigging, la strada non è semplice e si dovranno armare di santa pazienza.

Le prede che possono essere catturate con questa tecnica sono le più disparate. Dai predatori classici come dentici, ricciole e cernie, a pesci che generalmente esulano dall’essere aggressivi cacciatori, come i pagelli, passando per palamite, lanzardi e pesci di fondo come i san pietro e addirittura murene e gronghi. Alla conoscenza dei fondali e delle abitudini dei pesci, bisogna aggiungere l’abilità di utilizzo della strumentazione elettronica della barca, altra fedele alleata che, come vedremo in seguito, risulta indispensabile. Il primo approccio con il vertical jigging può essere affrontato cercando di capire la tecnica in generale.

A tale scopo, in rete si trovano filmati amatoriali più o meno validi, che comunque possono dare un’idea generale di cosa sia il jigging. Anche nei negozi specializzati e nelle edicole sono in vendita DVD più o meno validi ed esplicativi.

Affrontato il primo passo si deve necessariamente effettuare una capillare raccolta di informazioni, affidandosi ai consigli di esperti del settore e leggendo quanto ci sia a disposizione su questo argomento. Per i principianti è sconsigliabile attingere troppe nozioni da internet in quanto spesso molto elaborate e piene di chiacchiere poco leggibili. La tecnica, anche se da una prima analisi può sembrare minimalista, è piena di sfaccettature tecniche e di varianti, che andranno affrontate passo dopo passo per evitare nozionismo inutile e affrettato.