La spigola è una preda assai ambita da moltissimi trainisti costieri i quali, di solito, la preferiscono ai pur prestigiosi concorrenti litoranei ossia ai dentici combattivi, alle ricciole indiavolate e talvolta enormi, ai pesci serra astuti e scatenati. Si può pensare che il motivo principale di questa preferenza vada ricercato nella insuperabile squisitezza delle carni della Regina. Ma ciò è vero solo in parte, perché vi sono fondati motivi per ritenere che il fattore scatenante che spinge lo sportivo autentico a privilegiare le spigole vada ricercato nella loro imprevedibilità,nella loro capricciosità e quindi nella difficoltà obiettiva di catturarle. Oggi ci sono e mangiano a rotta di collo, domani ci sono ancora ma osservano la dieta più assoluta, ovvero “danno” solo a una determinata esca specifica, ovvero ancora si fanno vive esclusivamente nell’arco di un orario preciso che prescinde da qualsiasi elemento a noi cognito. Nella mia lunghissima carriera di trainista ho assai spesso sbattuto e continuo a sbattere la testa contro questa imperscrutabile capricciosità; ciò nonostante, e proprio per questo, continuo ad insistere con immutata perseveranza.Prima di andare avanti vorrei dire qualcosa sul contenuto di questo articolo.

Nel corso di detta “carriera” ho catturato quasi un migliaio di spigole: alcune, in verità molto poche, con i sistemi che si usavano nel passato: andatura lentissima, cucchiaini, piumette, gamberi vivi, piccole anguille anch’esse vive; altre, quasi la maggioranza totale, con pesci finti, ad andatura doppia o tripla rispetto a quella tradizionale. Di questa tecnica, che mi vanto di avere “inventato” all’inizio degli anni Settanta, ho scritto ripetutamente in libri e riviste rivoluzionando letteralmente il discorso sulla traina a spigole tanto che oggi non c’è pescatore sportivo appena evoluto che non l’adotti in via esclusiva. Non sarei perciò onesto se parlassi di metodologie diverse da quella sopraccennata; naturalmente con gli aggiornamenti scaturiti dalle più recenti esperienze e dalla evoluzione tecnologica delle attrezzature pescanti.

La spigola, denominata anche branzino o lupo, può raggiungere in Mediterraneo, ma solo in casi assolutamente eccezionali, il peso di ben 12 chili; tuttavia gli incontri più frequenti hanno come protagonisti esemplari di taglia assai minore. Diciamo che un pesce di due o tre chili (la stazza più combattiva anche rispetto ai “pesi massimi”) rappresenta già un buon trofeo. Come molti altri pesci il nostro serranide fa vita di branco sebbene l’istinto gregariovada attenuandosi man mano che aumentano le dimensioni.

I LUOGHI
La spigola è presente, dove più, dove meno, nelle acque costiere di quasi tutta l’Italia. I luoghi più frequentati sono i fondali compositi, meglio se non troppo distanti da pronunciate formazioni rocciose, le foci dei corsi d’acqua specie dopo le piogge, le praterie di posidonie, l’esterno dei manufatti marittimi come i moli e le scogliere frangiflutto, le adiacenze degli impianti per l’allevamento dei mitili, le scogliere sommerse soprattutto se caratterizzate da dislivelli notevoli, i bordi delle formazioni rocciose emergenti, le grandi boe di ormeggio. C’è però da precisare subito che, nell’ambito di tali tipologie, ci sono dei punti precisi, sempre gli stessi nel corso degli anni, nei quali la concentrazione delle Signore è assai più consistente che altrove.L’altezza dei fondali più proficui per la traina varia dai 2 ai 20 metri, con una fascia preferenziale compresa fra i 6 e i 12 metri.Ma anche qui occorre fare un distinguo: le spigole più grandi preferiscono soggiornare sotto la mezza acqua e, spesso, addirittura sul fondo.

La presenza delle spigole nelle zone sopraindicate e nei tempi di cui parleremo subito appresso ha, salve rare eccezioni, carattere ciclico nel senso che può risultare alternativamente abbondante o scarsa per periodi più o meno lunghi. Valga un semplice esempio. Le Secche di Mondragone, ai confini fra Lazio e Campania, erano una volta affollate dai nostri ambiti serranidi sia d’estate che d’inverno; ma sono rimaste pressoché desolatamente improduttive dal 1989 al 1994; poi, dal 1995 le Regine sono ricomparse in forze assicurando ai più assidui frequentatori della zona bottini di tutto rispetto: ulteriore dimostrazione della imprevedibilità della specie. Per completare il discorso sui luoghi c’è da aggiungere una cosa. Le spigole allo stato sogliono aggirarsi, certamente per avere una pronta via di scampo contro le incursioni di predatori di stazza maggiore, nelle acque basse a ridosso dei sopraccennati manufatti marittimi e delle coste rocciose litoranee a limitato gradiente di immersione. In tali siti è possibile, una volta individuato il posto giusto, fare parecchie catture. Ricordiamoci però che, anche a prescindere dalla misura minima legale (20 cm), la vera sportività della pesca è assolutamente incompatibile con le stragi degli innocenti.

I TEMPI E LE ALTRE CONDIZIONI
La spigola può essere catturata in ogni periodo dell’anno. Ma, generalizzando, le maggiori probabilità si riscontrano nei mesi invernali e in quelli iniziali della primavera e terminali dell’autunno. Quanto agli orari è indubbio che sono preferibili quelli del primo mattino e quelli del sole intorno allo zenit; da non trascurare peraltro neanche i momenti che precedono e seguono il tramonto. Può accadere che l’attività predatoria del serranide si concentri per diversi giorni consecutivi in spazi limitati e in tempi ristretti. Da ciò emerge l’utilità di poter disporre tempestivamente di notizie aggiornate che potremo procurarci direttamente con la frequentazione paziente e prolungata dei luoghi di pesca e, indirettamente, per mezzo delle confidenze ottenute da colleghi con mentalità non ottenebrate dalla purtroppo assai diffusa mania di segretezza.Per ogni singola cattura ho sempre diligentemente annotato la data, l’ora, le condizioni del mare, del vento e del cielo e tante altre cose ancora. In seguito ho selezionato un campione di 500 pezzi ed ho elaborato tutti i dati così ottenuti mettendoci di mezzo anche le effemeridi nautiche e le tavole di marea.

Le conclusioni di questa statistica sono state nel complesso assai deludenti circa le condizioni ambientali più vantaggiose. Ho appurato solo che può andare meglio:

  • quando le acque sono relativamente torbide;
  • nelle ore in cui la levata del sole è prossima alla levata della luna;
  • quando il mare è un po’ mosso con onda e vento da scirocco;
  • nelle due ore che precedono l’alta marea e nell’ora successiva.

PREPARIAMOCI PER LA TRAINA
La barca può essere anche di dimensioni assai modeste (4-5 metri) a condizione che il mare non minacci di fare brutti scherzi e che il teatro di pesca non sia troppo lontano dal porto. Essa deve comunque garantirci una velocità di almeno sei nodi ed essere munita di un ecoscandaglio e, quantomeno, di due portacanne laterali. E’ ovvio che, con scafi medio-grandi, tutto sarà più semplice e sicuro.

Quanto alle attrezzature, nel presupposto che la nostra azione avrà come obiettivo quello di prendere pesci e non di stabilire record ai limiti dell’impossibile, dirò solo quel che segue.Le canne. Le canne tipiche da spigola sono quelle da 6 a 12 libbre servite da mulinelli di pari potenza. Debbo però dire che questa equilibratura non mi sta bene. Monto mulinelli del 4/0 per le 6 libbre e del 6/0 per le 12 libbre. Ciò per non incorrere in inconvenienti (leggasi la perdita di un bel pesce allamato) che mi hanno più volte rovinato la giornata di pesca. Con detti libbraggi ci potremo però trovare in difficoltà di lavoro, se e quando dovremo aumentare di molto la profondità di lavoro delle nostre esche per mezzo di piombi o di fili autoaffondanti i quali, a causa della trazione delle esche stesse combinata con la velocità della barca, tendono a provocare una eccessiva flessione delle canne. Quindi – se penseremo di dover pescare su fondali relativamente elevati o di utilizzare la nostra attrezzatura anche per le ricciole, per i dentici ed i tonni di branco – niente potrà vietarci di salire alle 20 e, addirittura, alle 30 libbre.

La lenza madre. La lenza madre potrà essere in nylon o in dacron o in monel o in filo con anima piombata, in ogni caso con carico di rottura intorno alle 30 libbre. Il monel, reperibile più facilmente in bobine di 200 yards (183 metri) che andranno completamente avvolte nel tamburo del mulinello, richiede sempre un cuscino di lenza di nylon o di dacron.I terminali. I terminali, lunghi 10-15 metri, saranno sempre in nylon relativamente sottile: dallo 0,25 se le acque sono cristalline ed abbiamo motivo di ritenere (cosa un bel po’ difficile!) che le nostre antagoniste non raggiungono taglie superiori al chilo, allo 0,40 o addirittura allo 0,45.

Le esche. Le nostre esche saranno costituite da pesci finti di gran marca di lunghezza compresa fra i 5 ed i 14 centimetri. I simulacri più catturanti sono sicuramente quelli Rapala: in primis, per gli esemplari di una certa taglia, i Magnum con paletta metallica da 9, 11, 13 e 14 centimetri, nonché l’aguglietta di 13 centimetri. E’ solo una curiosità ma voglio dirla: non è affatto impossibile che anche pesci di proporzioni assai ridotte attacchino e restino agganciati a questi modelli piuttosto voluminosi. Se i fondali saranno molto bassi (2-3 metri) potremo usare i modelli con paletta di plastica ivi compresi quelli di dimensioni inferiori ai 9 cm che, rispetto ai Magnum, hanno coefficienti di affondamento segnatamente più limitati. Da tener comunque presente che, a velocità da spigole (4 nodi circa), si ha un affondamento di meno di un metro con i modelli più piccoli dotati di paletta di plastica e un affondamento di quasi 4 metri con il 14 Magnum munito di paletta metallica. Il colore più catturante in assoluto è il bianco rosso; seguono il makarel, il bianco-celeste e il bianco-nero. Però, certe volte, possono risultare più attiranti altre livree. Morale: bisogna provare e riprovare.

Le girelle. Le girelle con i pesci finti ben fatti, che navigano senza ruotare su loro stessi, non sono indispensabili. Chi le volesse utilizzare per collegare la lenza madre con il terminale dovrà accertarsi che scorrano agevolmente nelle carrucole passafilo della canna.

Gli affondatori di lenza. Gli affondatori sono indispensabili solo su fondali di oltre 6 metri. Essi saranno costituiti da piombi fusiformi a sgancio (da inserire almeno 15 metri a monte dell’esca) ovvero da lenze madri in monel o in filo con anima piombata. Come già accennato, la velocità ottimale per la traina a spigole si aggira intorno ai 4 nodi. Ed allora, a titolo orientativo, dovremo tener presente che a quella andatura:

  • un piombo amovibile di mezzo chilo portato a 50 metri da poppa affonda di circa 4 metri;
  • il monel affonda mediamente di 70 cm per ogni decametro immerso;
  • il filo con anima piombata affonda di 30-35 cm per ogni decametro immerso. Ai valori così ottenuti dovremo aggiungere l’autonomo coefficiente di affondamento dell’esca utilizzata. Per fare ancora un esempio dirò che un Magnum di 13 cm rimorchiato con 50 m di monel immerso scenderà si 6,50 m (3 m per il pesce finto e 3,50 m per il monel).

Comunque sarà sempre estremamente utile perdere qualche ora di tempo da fare, con l’ecoscandaglio e il contanodi, una serie di prove su fondali in piano e non accidentati di sabbia o di fango. La barca dovrà procedere in linea retta e l’inconfondibile vibrazione del cimino ci dirà che, in quel determinato momento, l’esca sta rasentando il fondo. Se avremo poi l’avvertenza di apporre sulla lenza madre deisegnalini di diverso colore (come fiocchetti di cotone resi non scorrevoli con una goccia di colla) avremo il vantaggio di conoscere la profondità di lavoro delle nostre esche anche in futuro.Quando, ovviamente sui bassi fondali, si usano le esche più piccole con paletta di plastica può accadere che alcuni modelli, per effetto della velocità, non riescano a scendere in via autonoma sotto la superficie; in tali casi potremo ridurre l’andatura a tre nodi ed inserire sulla madre lenza un mini piombo amovibile di una cinquantina di grammi.

L’AZIONE DI PESCA
Partiremo con due canne laterali, divaricate al massimo e filate una per 40 e l’altra per 50 m da poppa. Tali distanze dovranno essere aumentate nel caso in cui useremo fili autoaffondanti e avremo la necessità di scendere parecchio per far lavorare le nostre esche in prossimità del fondale. Se le dimensioni della barca ce lo consentiranno fileremo, più a corto delle laterali, una terza lenza centrale alla quale applicheremo l’esca che ha un maggior coefficiente di affondamento zavorrata con un piombo pesante (mezzo chilo, 1 chilo) collocato 5-6 metri a valle del punto di immersione della lenza madre che, in questo caso, sarà sempre di nylon o di dacron. Eviteremo così ogni possibilità di reciproco imbroglio in quanto tale esca centrale a corto navigherà molto al di sotto dei fili delle laterali. Se poi avremo un portacanne montato sul tuna o sul fly potremo accrescere ulteriormente le probabilità di cattura filando una quarta traina armata con un pesce finto con paletta di plastica il quale non ci darà alcun fastidio anche perché, in caso di arresto del movimento della barca, salirà a galla per conto suo. Va da sé che la terza e la quarta lenza potranno essere utilizzate senza rischi solo se disporremo di almeno un aiutante e il teatro di pesca sarà abbastanza vasto, tale cioè da non imporci virate frequenti.La regola base è quella di mandare a mare l’esca destinata a lavorare più a lungo e poi, mano mano, le altre; nel salpaggio va invece osservato l’ordine inverso.

Stabilita la profondità dell’esca che lavora più in basso regoleremo l’allarme acustico dell’ecoscandaglio ad una profondità superiore di un metro abbondante. Al suono dell’allarme aumenteremo di 1/2 nodi la velocità provocando così l’immediato sollevamento delle esche rimorchiate che, salvo imprevisti, riusciranno a superare indenni l’ostacolo. Teniamoci comunque sempre lontani dai segnali delle reti da posta e delle coffe.

Le frizioni dei mulinelli andranno regolate su un libbraggio corrispondente a un quarto circa di quello proprio dei terminali; così con un finale dello 0,40 (su per giù di resistenza pari a 15 libbre) la frizione dovrà essere tarata intorno alle 4 libbre.Se e quando partirà una lenza ridurremo la velocità, daremo una decisa strattonata alla canna impegnata e regoleremo la frizione in modo che il malcapitato pinnuto possa, nei suoi tentativi di fuga, prendere filo ma non troppo e, mantenendo una rotta rettilinea, tireremo a bordo l’altra e le altre esche. Passeremo quindi al recupero. Se il pesce è grosso alleggeriremo la trazione, facendo descrivere alla barca una larga curva senza però mai mandare la lenza in bando. In caso di ferrata plurima e contemporanea (può succedere anche questo!) daremo la precedenza al pesce allamato più a corto.

La spigola non è una grande combattente. Dopo una prima serie di tentativi di fuga, sia laterale sia verso il basso, che si verificano subito dopo la ferrata il pesce si fa più mansueto e naviga di solito in prossimità della superficie. Solo quando giunge in vista della barca ricomincia a lottare spendendo tutte le residue energie in sfuriatedecise e violente. E’ questa la fase più pericolosa perché, soprattutto gli esemplari di taglia, possono, con le repentine e disordinate “testate”, provocare la rottura del terminale. La reazione può essere contrastata sollevando la canna, in modo da far prendere alla signora una per lei non salutare “boccata d’aria”. E’ comunque sempre necessario disporre di un coppo con manico molto lungo (2 metri circa), con bocca ben capiente (50 cm) e con maglie assai larghe.Trainando nei tempi, nei luoghi e nei modi sopra descritti potremo imbatterci in pesci diversi dalla spigola: soprattutto palamite, ma anche dotti, grossi pesci serra, dentici e, come sempre in traina, in altre prede … a sorpresa.

Mi auguro di essere riuscito ad esplicitare quelle nozioni fondamentali che potranno essere di aiuto specialmente ai colleghi non iniziati.