Il pesce serra (Pomatomus saltator o Bluefish per gli anglosassoni) è un combattente formidabile, è forte ed intelligente, è avveduto e scaltro al punto tale che già una cattura su due ferrate rappresenta un risultato degno di rispetto.

Una volta ebbi occasione di scrivere che se il pesce serra non esistesse bisognerebbe inventarlo. Oggi, dopo anni e anni di ulteriore milizia trainistica, sono ancor più convinto della validità di quella remota asserzione.

E’ prevalentemente costiero quindi può essere insidiato con attrezzature e mezzi nautici minimi; lotta sempre con energia, con valore, con astuzia senza concedersi un respiro di tregua talora fino al momento del salpaggio.

Non mi è mai capitato – a differenza di quanto succede non di rado con prede di altissimo lignaggio come tonni enormi, ricciole grosse e scatenate, spigole ricercatissime, dentici cocciuti – di vedere un serra stremato dal combattimento giungere, inerte o quasi, a portata di raffio o di coppo.

Com’è fatto il Pesce Serra

L’aspetto del nostro Pesce Serra è, per certi versi, un po’ simile a quello della spigola, tant’è vero che non di rado ce lo vediamo offrire al ristorante sotto la fantasiosa denominazione di “spigola francese”.

La dentatura fitta ed acuminata, assistita da una eccezionale forza mandibolare, è micidiale non solo per le prede che aggredisce ma anche per le mani del pescatore poco accorto.

Vive sempre in branchi abbastanza numerosi costituiti da esemplari non necessariamente della stessa taglia. Peraltro, come avviene per tutti, pesci predatori e non, l’istinto gregario va gradualmente attenuandosi man mano che crescono le dimensioni. Può superare i dieci chili di peso, ma la maggioranza delle catture interessa soggetti compresi fra gli uno e i cinque chili. Le carni sono prelibate.

Dove pescare il Pesce Serra

A fronte di tutti i dati positivi appena elencati c’è il fatto che la specie, abbondantissima lungo le coste statunitensi nord-orientali, non è parimenti diffusa nei nostri mari.

La “madre” mediterranea dei serra ha la sua ubicazione nel Bosforo; da lì i branchi si sono portati nelle acque elleniche e, un po’ per volta a partire dagli anni ’40, in alcune, ma solo in alcune, zone della nostra penisola e delle nostre isole maggiori.

Presenze consistenti si riscontrano in diversi punti della Sicilia meridionale, della Campania, del Lazio, della Sardegna, qui però in prossimità di Alghero e delle coste sud orientali dell’isola.

Fino a qualche anno fa i serra si prendevano con discreta frequenza anche nel Mar Ligure ma, a quanto sembra, le catture in quelle acque sono ora in diminuzione, mentre sono invece aumentate quelle realizzate nella parte meridionale della Toscana.

Comunque i punti peninsulari di maggior concentrazione sono, allo stato attuale, stabilizzati nelle adiacenze del Circeo e in quelle di Anzio e Nettuno.

Circa gli stanziamenti futuri è difficile fare previsioni in quanto trattasi di specie imprevedibile come dimostra, ad esempio, il fatto che nel 1995 si è verificata una autentica invasione di serra nelle acque di Ischia ove, a memoria d’uomo, non se ne era mai visto uno.

Peraltro, sulla base di alcune indicazioni ricorrenti nel mondo della pesca sportiva, si può ipotizzare, ma solo ipotizzare, la eventualità che gli stock siano in aumento e tendano gradualmente ad insediarsi anche lungo i versanti nord occidentali della penisola.

Nelle anzidette zone “collaudate” i posti migliori sono di norma quelli con fondali dai 2 ai 25 metri di sabbia o di fango non troppo distanti dalle foci di fiumi o canali ovvero da formazioni subacquee rocciose. E’ da tener presente che una delle caratteristiche tipiche dei pesci serra è quella di frequentare, nei periodi in cui accostano, sempre gli stessi identici posti ben noti alla maggioranza dei trainisti che operano in zona.

Quando pescare il Pesce Serra

Le stagioni migliori sono la primavera inoltrata, l’estate e l’autunno. Può tuttavia accadere che, durante questi periodi buoni, i nostri intrepidi antagonisti scompaiano improvvisamente per giorni o settimane per poi ripresentarsi in forza altrettanto all’improvviso.

Ciò dipende probabilmente da esigenze alimentari che possono indurre i branchi a spostarsi temporaneamente in acque più profonde e lontane alla ricerca di migliori fonti di sostentamento.

Non credo invece che questo alternarsi di comparse possa ascriversi a fattori di ordine termico; fatto che, invece, è certamente alla base dei non rarissimi incontri invernali.

In altri termini vien da pensare che nei mesi freddi i serra si portino in acque molto profonde e quindi assai più temperate di quelle superficiali e che, casualmente, inseguendo il cibo vivente, siano indotti ad “accostare” sia pure per brevissime puntate.

Circa gli orari c’è da dire subito che i momenti migliori sono senza dubbio quelli che coincidono con il semibuio del primissimo mattino e del tardo pomeriggio; magici quasi sempre i brevi spazi di tempo che precedono, accompagnano e seguono il sorgere e il tramonto del sole.

Come si pesca il Pesce Serra

Il serra è un autentico assassino. Aggredisce talvolta, anche quando è sazio, ogni forma di vita marina che ha la sventura di trovarsi in loco: sarde, alici, occhiate, aguglie, cefali, sugarelli, sgombri, boghe, stelle e chi più ne ha più ne metta.

Allorché sopraggiunge il misterioso stimolo di questa momentanea frenesia distruttiva la furia del pesce serra è tanto incontenibile che non ingurgita le prede ma si limita ad azzannarle lasciandosi dietro una scia di corpi maciullati o sfregiati.

Purtroppo a tale rabbia frenetica e crudele che si scatena estemporaneamente a danno di ogni forma di vita marina corrisponde una accentuatissima sospettosità nei confronti delle esche trainate; ed è a questo punto che, per risolvere l’impasse, debbono entrare in gioco la capacità e la preparazione del trainista. Scendiamo nei dettagli.

Le barche e le attrezzature per pescare il Pesce Serra

Vista la vicinanza da terra ove si svolge la nostra azione, potremo avvalerci di mezzi nautici minimi.

L’attrezzatura tipo è composta da un paio di canne da traina da 12 libbre servite da mulinelli a tamburo rotante di potenza uguale o, data la inesauribile combattività e le possibili buone dimensioni delle prede insidiate, leggermente superiore.

Il filo in bobina potrà essere costituito da nylon (0,35-0,50) ovvero da dacron (meglio seautoaffondante) da 20 libbre, ovvero ancora, quando si pesca in acque relativamente profonde, dal monel che ci troviamo in bobina.

I terminali saranno sempre in nylon (0,30-0,45) lunghi una decina di metri. Se però pescheremo con esca viva e di giorno su fondali rocciosi relativamente alti (15-25 metri) è consigliabile aumentare la potenza dell’attrezzatura in quanto ci sarà la possibilità di “incocciare” qualche grossa ricciola indemoniata.

Le esche per il Pesce Serra

Sono sempre più valide le esche naturali vive con preferenza assoluta per l’aguglia, seguita a distanza dal cefaletto, dall’occhiata, dal maccarello, dalla leccia stella, dal sugarello e da qualunque altro pescetto (tracine e scorfani esclusi) disponibile.

E’ ovvio che nella pesca fatta alle prime luci del giorno sarà ben difficile poter utilizzare questi richiami viventi; ragion per cui, in tale fase, dovremo ripiegare sul “morto”.

Le esche naturali passate a miglior vita offrono ottime chance nei momenti di luce attenuata o minima; ma conservano un discreto potere attirante anche durante tutto il resto della giornata.

In verità, fino a pochi anni or sono, quando non si era ancora generalizzato l’impiego ben più proficuo del vivo, l’esca principe e ogni tempo per i serra era costituita proprio dall’aguglia morta.

Le esche artificiali, soprattutto le apposite piume semplici bianche o bianco giallo o bianco nere di 10-12 cm, munite di cavetto metallico interno ed armate con ami dell’1 o 2, funzionano discretamente nel semibuio; un po’ meno catturanti ma da non disprezzare affatto i cucchiaini fusiformi argentei di 8-10 cm.

Ho fatto e continuo a fare qualche rara cattura, sempre di esemplari di taglia, con i Rapala affondanti destinati alle spigole o ai dentici. Ma, come dice l’adagio, una rondine non fa primavera.

Come reperire le esche per il Pesce Serra

Il sistema più seguito è quello di mettersi in caccia di aguglie con le oramai famose matassine che non appena colpite dal rostro del pesce lo imprigionano indissolubilmente nel loro fitto composito di elementi tessili aggroviglianti.

Le matassine vanno montate su terminali dello 0,15-0,20 lunghi 7-8 metri e vanno rimorchiate a 40-60 metri da poppa alla velocità di tre nodi abbondanti; per aumentarne l’effetto catturante possono essere inserite in serie (due o tre) sullo stesso terminale a distanza di un metro l’una dall’altra.

Si pesca di solito con due o tre canne all’esterno delle opere portuali, sulle zone rocciose, in prossimità degli scarichi a mare delle acque depurate. Da tener sempre presenti le bollate in superficie, nonché il volo radente localizzato e le picchiate dei gabbiani.

Qualche volta, ma fortunatamente di rado, le matassine, da sole, non funzionano; è allora il caso di arricchirle con un verme (lombrico, coreano o altro) da innescare su un minuscolo amo piazzato a lambire l’estremità posteriore delle matassine stesse. Altre esche vive come occhiate, sugarelli, ecc. potremo procurarcele con piumette a galla e piccoli cucchiaini zavorrati con pochi grammi di piombo.

Naturalmente, per mantenere in vita queste esche, dovremo disporre di una vasca, meglio se di forma ovalizzata e capace di contenere almeno una trentina di litri di acqua di mare da rinnovare con una certa frequenza mediante un impianto idrico di circolazione in entrata e in uscita ovvero semplicemente utilizzando un secchio a mano.

L’approvvigionamento delle esche morte è assai più facile. In primo luogo potremo avvalerci di quelle catturate nei giorni o nei mesi precedenti che avremo surgelato dopo averle avvolte una per una in carta d’alluminio; e poi, iniziativa commerciale di origine napoletana recentissima, diversi negozi di articoli da pesca offrono, a prezzia ccessibili, confezioni ben fatte contenenti un certo numero di piccole aguglie congelate.

Al riguardo, va infine ricordato che un’aguglia congelata, anche se messa in pesca ripetutamente, può essere ricongelata più volte senza che, per questo, perda il suo potere attirante nei confronti dei bluefish.

Infine, per quanto attiene alle esche artificiali, non avremo difficoltà a procurarci in negozio le piumette e i cucchiaini della foggia e della misura sopra descritta. Dobbiamo ora parlare dell’argomento meno facile connesso alla traina in parola.

La montatura delle esche naturali

Come abbiamo visto la dentatura del serra non perdona né il nylon, né il dacron, né, tantomeno, il kewlar. E’ quindi giocoforza ricorrere alla treccia di acciaio che,nel nostro caso, dovrà essere ricoperta da una sottile guaina termosaldante. Ci orienteremo verso trecce da 12 a 30 libbre. Una confezione contiene di solito 10 metri di treccia e una dozzina di manicotti di serraggio.

Taglieremo degli spezzoncini di 50-70 cm o anche meno per pesci esca di dimensioni ridotte; alle due estremità dello spezzoncino creeremo, servendoci di un chiodo e di una pinza, due piccoli anelli al di sotto dei quali formeremo una serie di spire (sei o sette) oblique ed aderenti facendo ruotare il capo libero intorno al dormiente.

Dopodiché, tenendo il tutto fermo mediante il chiodo o la pinza, lambiremo con il fuoco di un accendino le spire che, per effetto del calore, si salderanno tra di loro. Una ulteriore sicurezza per la resistenza dei due nodi potranno fornircela i manicotti metallici che però, oltre a non essere tassativamente necessari per i serra di stazza corrente, rendono più visibile la montatura.

Nell’occhiello di prua inseriremo una piccola ma robusta girella (in prossimità della quale giungerà l’estremità anteriore del pesce esca) che sarà annodata al terminale di nylon.

L’amo anteriore (1/0-2/0) con funzione traente ma non di rado anche catturante potrà essere legato con un nodo di dacron o kewlar subito a tergo della girella. Alcuni preferiscono fissare detto amo traente con appropriata legatura lungo il corpo dello spezzone per modo che, se addentato, possa scorrere fino all’altezza dell’amo di coda in guisa di assicurare una doppia ferratura.

Sta però di fatto che gli ami scorrevoli sono vietati dai regolamenti IGFA e che, per di più, l’eventuale abboccata sul primo amo comporta di solito l’abrasione e l’arricciamento del filo portante provocata dalla formidabile dentatura del serra. Nell’occhiello posteriore introdurremo l’amo catturante, anche esso ad occhiello, del n° 2/0 – 3/0 preferibilmente storto e a gambo corto.

Riassumendo: collocheremo l’amo di testa all’estremità anteriore del pesce esca inserendolo dall’alto verso il basso e piazzeremo l’amo di coda appena di lato e appena sottopelle un po’ a valledel foro anale, con la punta rivolta in basso e verso l’avanti.

Ovviamente il tratto di treccia metallica che intercorre fra i due ami dovrà presentare un leggerissimo bando allo scopo di consentire al pesce esca il naturale movimento natatorio.

Diversi colleghi, quando si trovano alle prese con aguglie di stazza (50 cm in più), inseriscono a metà corpo un terzo amo destinato, secondo le intenzioni, a bloccare quelle prede che preferiscono attaccare l’esca al centro e di lato. Va ricordato infine il metodo usato per l’innesco di pescetti vivi di stazza ridotta (di solito cefali e occhiate sotto i 100 grammi) non adatti a “reggere” la montatura su due ami.

Queste mini-esche potranno essere montate inserendo un unico amo dell’1/0 (sempre supportato da una girella e da un breve tratto di cavetto termosaldante) che trafiggerà dal basso verso l’alto la estremità anteriore dell’apparato boccale.

Attenzione: le esche viventi molto piccole dovranno essere trainate a velocità ridottissima.Con le esche morte, e anche qui mi riferisco prevalentemente all’aguglia, la montatura va fatta all’incirca come per le esche vive.

Le uniche varianti possibili consistono nel far passare la treccia all’interno del corpo e, per gli esemplari molto piccoli (sotto i 20 cm di lunghezza), di rinunciare all’amo di testa che risulterebbe troppo visibile, sostituendolo con una stretta legatura del becco o del muso praticata con cotone, kewlar, nylon o sottilissimi filamenti di rame avvolti intorno alla treccia.

E’ chiaro che, per non perdere tempo prezioso al momento buono, dovremo sempre portarci appresso una serie di esche morte previamente bene armate e/o parecchie montature di tipo e grandezza diversi adatte cioè alle varie esche vive che riusciremo a procurarci.

L’azione di pesca per catturare il Pesce Serra

Non è consigliabile lavorare con più di due traine. Ciò per evitare che la difesa furibonda del pesce allamato – fatta di fughe incontrollabili in profondità e laterali nonché di imprevedibili assommate accompagnate da salti acrobatici con relative contorsioni – provochi l’imbroglio reciproco delle traine stesse.

Le esche naturali saranno sempre un po’ affondate usando piombi amovibili (da 30 a 200 grammi a seconda della profondità) ovvero fili autoaffondanti: dacron con anima piombata o monel e similari; e filate ad almeno una cinquantina di metri da poppa.

La velocità ideale è di uno/due nodi con esche vive, di tre nodi scarsi con esche morte, di tre nodi abbondanti con esche artificiali. Se la motorizzazione del nostro mezzo nautico non ci consente andature così contenute potremo sempre ricorrere al sistema dei secchi calati uno a babordo l’altro a tribordo a lambire lateralmente lo scafo un po’ più avanti della poppa.

E’ raro che i branchi di serra segnalino in modo certo la loro presenza: solo se saremo molto fortunati potremo imbatterci in vere e proprie mangianze a galla con salti, schiuma ecc.; altre volte potremo dar credito alle “bollate” provocate da piccoli pesci che assommano o al volo radente e concentrato dei gabbiani. Questi ultimi potranno fornirci indizi attendibili anche quando, in acque pulite, sosteranno a bagnomaria in superficie.

Ma, diciamo francamente, il più delle volte traineremo al buio. Con le esche artificiali serreremo le frizioni intorno ad un terzo del carico di rottura della lenza; lo stesso fanno in molti anche quando usano esche naturali.

Io, invece, assieme ad altri patiti della traina al serra, adotto un altro sistema: metto in folle le frizioni lasciando che l’esca sia trattenuta dal solo meccanismo della cicala; quando quest’ultima comincia a cantare lascio scorrere il filo per qualche secondo onde dar modo al predone di ingoiare l’esca che, per lui, rimane praticamente ferma o quasi; dopodiché aziono il freno e ferro energicamente.

Questa tecnica che, chiaramente, può essere usata soltanto con fili autoaffondanti o con piombi molto leggeri, è certamente la più proficua.

Ma, come sempre, c’è un però: se invece del serra abbocca una poderosa grande ricciola il pericolo di aggrovigliamento del filo in bobina cresce in modo esponenziale. Il recupero della preda dovrà avvenire quanto più rapidamente è possibile per ridurre al minimo il rischio che la stessa, a causa dei ripetuti e scomposti salti fuor d’acqua e di altre diavolerie, riesca a liberarsi dell’amo.

Come già accennato, il serra non arriva mai sottobordo vinto o quanto meno stremato; tutt’altro: è sempre una furia scatenata, ragion per cui la “coppata” o la “raffiata” dovranno essere prontissime e ben calibrate.

Gli esemplari che non superano il chilo saranno “volati” direttamente in barca. Forse non ci sarebbe il bisogno di dirlo ma, per completezza, aggiungeremo che la traina al serra viene praticata anche a mano impiegando fili (ad esclusione del monel) di resistenze un po’ superiori a quelle sopraindicate.

Chi usa questa tecnica tiene di solito a bordo quattro o cinque metri di lenza libera bene in chiaro e, se avverte che il pesce non è rimasto allamato al primo attacco, li cede immediatamente in vista della probabile eventualità che il predone, vedendo immobile l’esca o ciò che ne resta, la aggredisca una seconda volta.