L’incredibile ed esponenziale diffusione del vertical jigging ha sviluppato una forma di propensione e curiosità per tutte le tecniche di origine orientale, ampliando le conoscenze alla ricerca di nuove frontiere: l’inchiku è una di queste.

Alla luce dei fatti dobbiamo dare atto che il vertical jigging ha rivoluzionato anche le convinzioni più radicate e soprattutto ha sedotto anche i vecchi e irriducibili puristi della traina con il vivo. Questa tecnica è stata rivoluzionata dai giapponesi ed è proprio nella terra dei samurai che nascono molte altre varianti della pesca verticale, che funzionano anche nelle nostre acque.Più che un’esca, l’inchiku è un sistema di pesca vero e proprio. Conosciuto anche come bottom ship. La sua semplicità è quasi elementare.

Si tratta di un piombo di forma a ogiva con la parte anteriore a punta e quella posteriore piatta o tondeggiante. Lateralmente presenta un foro passante o un anellino dai quali parte un cavo con un octopus e due ami. La parte metallica può essere liscia, sfaccettata o sagomata, verniciata lucida, opaca o con screziature metalliche. La livrea e la colorazione dell’ogiva e dell’octopus variano con moltissime tonalità. Il peso può variare da 15-20 a 350 grammi, ma in oriente se ne trovano anche di molto più grandi. Per le nostre acque e per le nostre prede, dalle esperienze fatte, i pesi compresi tra i 50 e i 200 grammi sono sufficienti. Scendendo verso il fondo l’octopus si sovrappone alla parte metallica, mentre quando viene recuperato si stende dietro di essa. Il concetto è semplicissimo, quasi disarmante, eppure cattura.

Quest’esca non deve essere recuperata con i vari sistemi di jerk tipici del vertical jigging, ma prevede diverse intensità di recupero. Questo impone l’utilizzo di canne con cimini molto sensibili, in grado di “animare” l’esca anche se recuperata lentamente. A fronte di un cimino morbido, ma in grado di sostenere il peso dell’esca, la base del fusto deve poter offrire la potenza necessaria per contrastare pesci di buona taglia e di ammortizzare le testate del pesce. In definitiva, le canne ideali sono quelle da light jigging, di lunghezza compresa tra i 175 e i 220 centimetri, con cimino morbido e riserva di potenza alla base del fusto.

Il mulinello non deve avere particolari requisiti, anche se i giapponesi preferiscono piccoli rotanti per la migliore gestibilità del recupero e la maneggevolezza. In bobina si usa multifibre dalle 20 alle 35 libbre. In considerazione dell’attrito nell’acqua della lenza calata sul fondo, minore sarà il diametro, migliore sarà la resa con meno peso a maggior profondità. Al multifibre si collega il terminale di nylon o fluorocarbon di misura compresa tra i 5 e i 10 metri, con uno dei classici nodi di collegamento multifibre/nylon che non si incastri negli anelli e garantisca buona tenuta. Sulla scelta del terminale ci sono da fare alcune considerazioni importanti. Al contrario del vertical classico, in cui i recuperi sono veloci e frenetici, in questa tecnica spesso il recupero è lento e sinuoso. Questo significa che il terminale sarà molto più visibile. Questo in termini di diametri è determinante. Come regola di base possiamo orientarci su uno 0,30-0,35 per profondità entro i 25 metri, 0,40 tra i 30 e i 50 metri e 0,50 per profondità superiori. Questo sempre in considerazione delle prede che potremmo incontrare.