La grande maggioranza dei bolentisti preferisce la pesca cosiddetta classica o di mezza altura, quella cioè praticata generalmente a ridosso o nelle adiacenze delle formazioni rocciose subacquee o dei relitti di unità naufragate nella fascia batimetrica compresa tra i -30 e i -100 metri, a distanze variabili dalle due alle sei miglia dalla costa.

Ci occuperemo ora in termini di azione concreta di pesca, di questa forma di bolentino che, pur non postulando navigazioni troppo lunghe, è sempre potenzialmente in grado di fornire buone soddisfazioni sia per la taglia sia per il pregio delle catture.

La preparazione

Diamo per scontato che il tempo sia clemente (di regola altezza delle onde non superiore al metro e mezzo, assenza di frangenti in alto mare, velocità del vento contenuta entro un massimo di 7-8 nodi). Diamo pure per scontato che la provvista di esche (paguri, cannolicchi, moscardini, gamberi, vermi, ecc.) sia adeguata e sufficiente.

E’ da premettere, dando così corpo ad un concetto già implicitamente formulato, che nel 90{2e3577d2bd6aebaa150c85c33fcd353783f1aa6c690283591e00ef60b3336fc8} dei casi, il pesce pregiato del quale andremo in cerca sarà il roseo fragolino, protagonista abituale e frequente delle nostre battute; ma, insieme o talvolta al posto del fragolino, potremo incontrare belle tanute, argentei saraghi, tenacissime orate (queste due ultime specie su fondali non superiori ai -50 m), grossi scorfani, corpose e saporite gallinelle, e tanti tanti altri imprevedibili clienti più o meno grandi e più o meno apprezzati.

La pesca sull’ancora

Possibilmente di buon mattino mettiamoci in rotta verso la zona di pesca che avremo prescelto servendoci delle conoscenze nostre o forniteci da altri.

Raggiunta questa zona cominciamo a fare vari passaggi con l’occhio attento alle indicazioni dell’ecoscandaglio: ecco qui c’è una secca rocciosa che da un fondale in piano di -60 m sale fino a -35 m. Scegliamo una “caduta” della formazione (di solito la più ripida) ove avremo maggiori probabilità di incontrare i nostri amici pinnuti.

Caliamo subito un segnale ben visibile, come ad esempio un grosso galleggiante di polistirolo che, con lo srotolarsi della sagolina intorno alla quale è avvolto, poterà la zavorra (almeno mezzo chilo) sul fondo e ci indicherà il punto preciso; fermiamo quindi la barca per stabilire, tenendo sotto osservazione il segnale, da quale parte ci portano il vento e/o la corrente; appurata questa direzione partiamo dal segnale e risaliamola a motore per 70-80 metri, percorsi i quali caliamo l’ancora, mai quella da ormeggio in dotazione alla barca ma a marre pieghevoli per non rischiarne la perdita.

Quando la cima andrà in tensione ci troveremo in prossimità del segnale; mollando o salpando, se necessario, qualche metro di cima arriveremo sul punto prescelto. Filiamo quindi in mare le nostre lenze appesantite da un piombo terminale che, nel caso specifico, non dovrebbe superare i 100 grammi. Solo se l’inclinazione accentuata del filo immerso ci farà sapere se c’è una sensibile corrente subacquea, sarà giocoforza salire nella grammatura senza però andare oltre al valore di 200.

Di regola i braccioli applicati sul “corpo” del finale (nylon dello 0,40) saranno due, anche essi di nylon ma dello 0,35: uno in prossimità del piombo, l’altro 70-80 centimetri più in alto.

Gli ami, di norma dei numeri dal 12 al 15, saranno muniti di esche diverse: ad esempio uno con il cannolicchio e l’altro con un certo tipo di verme. Solo nel caso di recenti esperienze localizzate sulla validità di una determinata esca converrà lavorare fin dal principio esclusivamente con essa.

Il piombo dovrà essere tenuto “tocca e non tocca” sul fondale. Ogni tanto non sarà male sollevare la zavorra di un mezzo metro e riabbassarla velocemente sul fondo. Sembra infatti che, qualche volta, i pesci siano attratti dal rumore o da altro sconosciuto fattore provocato da tale impatto.
Le frizioni dei mulinelli saranno tarate su una resistenza di 2-4 libbre (1-2 chili); in caso di bisogno si farà sempre in tempo a stringere o allentare l’apposito comando.

E’ sconsigliabile mettere in pesca contemporaneamente troppe lenze; ciò onde evitare che, prima o poi, finiscano, in modo o nell’altro, con l’intricarsi fra di loro. In base a questo concetto ed a titolo di semplice esempio, diremo che il numero massimo di bolentisti operanti da una barca di 6 metri non dovrebbe essere superiore a tre.

Quando si percepirà una toccata dovremo subito dare una pronta e decisa strattonata volta a ferrare; peraltro se, fatti risalire di due o tre metri piombo ed ami non avvertiremo movimento o peso insoliti, rimanderemo giù il nostro attrezzo in quanto può darsi che un pesce si sia portato via una delle esche senza restare allamato, ma che l’altra esca sia ancora intonsa e funzionante; passato qualche minuto senza che sia successo niente di nuovo recupereremo il tutto, controlleremo e, se del caso, reinnescheremo di nuovo.

Un espediente che qualche volta ci riserva piacevoli sorprese è quello della cosiddetta “lenza morta” e che io uso sempre quando sono solo o ho un unico compagno di battuta. Si tratta in sostanza di dare molto filo (dai tre metri in su rispetto a quello necessario per toccare il fondo), di sistemare la canna in un qualunque alloggio adatto e di seguitare a pescare con un altro attrezzo. Avviene talora che la lenza morta, offrendo una minor resistenza, risulti più catturante di quelle attive.

Durante la nostra azione potranno verificarsi numerose diverse situazioni.

  1. Passa il tempo e i pesci non mangiano; proviamo a spostarci allungando o accorciando di qualche decina di metri la cima di ancoraggio e, se possibile, cambiamo esche e piombi.
  2. I pesci mangiano in continuazione ma non restano allamati; evidentemente abbiamo sotto di noi un branco di piccoli e voraci pinnuti (tipo mennole, sparaglioni, boghe, ecc.) per i quali gli ami sono troppo grandi. Il rimedio consiste nel ridurre le dimensioni degli ami o, molto meglio, nello spostare la barca operando sulla cima; ciò in quanto la presenza di questa minutaglia, che si porta via istantaneamente le esche, riduce drasticamente la possibilità di allamare pesci di un certo pregio.
  3. Catturiamo soltanto perchie; evidentemente stiamo pescando proprio sullo scoglio e, anche in questo caso, se non vogliamo accontentarci dei piccoli serranidi che ci assediano, converrà spostarci.
  4. Avvertiamo un certo movimento in fondo alla lenza e niente più: può essere che un bel pesce abbia preso fra le labbra la nostra esca ma che, giustamente diffidente, non si decida ad ingoiarla e resti fermo come un sasso. Cediamo subito uno o due palmi di filo (basta soltanto abbassare un po’ la canna) e facciamo passare una decina di secondi; ferriamo quindi risolutamente ed andiamo a vedere che cosa è successo.
  5. Dalla fase descritta sub B), passiamo improvvisamente alla stasi più assoluta. Attenzione: può darsi che la minutaglia abbia avvertito l’avvicinarsi di pesci più grandi i quali, da un momento all’altro, potrebbero prendere in seria considerazione le nostre esche.
  6. Nel sollevare la canna avvertiamo un peso insolito ma non sentiamo alcun guizzo sia pure smorzato: prepariamo il coppo perché sta per arrivare a bordo un arrabbiatissimo polpo.
  7. Le abbiamo provate tutte (cambio di esca, spostamenti sulla cima, alleggerimento o appesantimento dei piombi, ecc.) ma, dopo due e tre ore, non siamo riusciti a combinare niente. E’ arrivato il momento dei rimedi estremi: salpiamo l’ancora, mettiamo motore e andiamo a cercarci un’altra postazione. In questo caso, e in molti altri, possono risultare preziose le informazioni che durante la nostra forzata inazione, avremo potuto captare via radio (soprattutto con il CB sintonizzato sul canale usato dai dilettanti in quella determinata zona) da barche amiche e anche non amiche.

Il recupero dei pesci allamati non presenta di solito grosse difficoltà. In ogni caso, bisogna evitare di stringere a morte la frizione. Dopo un po’ di esperienze riusciremo anche a capire fin dall’inizio il tipo di pinnuto con il quale stiamo discorrendo: inconfondibili, ad esempio, le vigorose e percettibilissime testate dei fragolini, delle tanute e dei saraghi.

Di norma, con i pesci che si avvicinano o superano il chilo, la funzione ammortizzatrice della canna che si inclina ad arco per far fronte alle sfuriate della preda diventa assolutamente determinante.

Con gli esemplari extra non bisogna mai forzare troppo nel recupero; anzi, in alcuni casi, occorre, di tanto in tanto, agevolarne entro certi limiti le fughe allo scopo di stancarli e di ridurne così la combattività.

Mi è capitato una volta di dover fare i conti con una orata, imprevista quanto indiavolata, di ben cinque chili; e vi assicuro che, alla fine dell’operazione durata quasi 20 minuti e terminata fortunatamente con il pesce dentro il coppo, ero letteralmente “fradicio” di sudore; non tanto per la fatica quanto per la preoccupazione, che non mi aveva abbandonato neppure per un solo istante, di avvertire da un momento all’altro la rottura del nylon dello 0,35.

La pesca in deriva

Oltre che sull’ancora il bolentino di medio fondale può essere praticato con la barca in deriva. Occorre però che il fondo non presenti appigli pericolosi come scogliere con salti e buche profonde, vegetazione algacea tenace, tali cioè da imprigionare ripetutamente le nostre esche con conseguente inesorabile rottura totale o parziale dei finali.Occorre inoltre, assai più che nel bolentino sull’ancora, che il moto ondoso e il vento siano pressoché assenti o, comunque, di intensità assai modesta.

Non è detto che per questa pesca, il fondo debba essere pianeggiante in modo assoluto. Anzi i dislivelli sottomarini, anche di semplice fango, che presentano cadute e risalite di una certa entità, non sono affatto da disprezzarsi. Ma le zone migliori sono indubbiamente quelle non troppo lontane da scogli isolati o raggruppati, da secche, da relitti sommersi. Ciò perché i pesci grufolatori (in primis il fragolino), che rappresentano il punto di forza di questa forma di bolentino, preferiscono aggirarsi nei dintorni di detti elementi pur allontanandosene spesso di centinaia e centinaia di metri.

La tecnica è semplice. Una volta raggiunto il teatro di pesca, si calano le lenze dal bordo opposto alla direzione di movimento della barca e si opera nello stesso modo che abbiamo descritto per la pesca a fermo.

Certo, di regola e fatti salvi i casi di assoluta calma piatta, dovremo aumentare di un po’ il senso delle zavorre per consentir loro di raggiungere il fondale pur in presenza di un certo spostamento dell’imbarcazione.

Quando le ferrate ci avvertiranno che siamo arrivati sul posto buono potremo fare due cose. Tirare su tutto appena la sarabanda sarà finita e ripercorrere a ritroso un breve tratto della rotta di provenienza ricalando immediatamente le lenze per farle passare nuovamente sul punto fatato; ovvero ancorarci sul posto.

Questa seconda soluzione sarà facilitata di molto se, come molti fanno, avremo avuto l’accortezza di calare in partenza l’ancora a uno due metri dal fondale; al riguardo giova sottolineare che tale espediente serve anche a rallentare lo spostamento del mezzo nautico nel caso in cui ciò sia ritenuto opportuno o necessario per neutralizzare in parte la forza del vento o della corrente. Durante la pesca in deriva può risultare producente mettere in acqua in prossimità della superficie o un po’ sopra la mezza acqua un paio di lenze con terminali dello 0,50, armate con amo unico dei numeri da 8 a 11, innescato con tocchetti di sarda.

A una trentina di centimetri a monte dell’amo piazzeremo un piombo ad oliva di una cinquantina di grammi e quindi metteremo in pesca i due attrezzi collocandoli nei portacanne. Avremo così la speranza di catturare, mediante autoallamatura, qualche interessante predatore pelagico; c’è poi da precisare che questi attrezzi supplementari, lavorando in superficie o quasi, non saranno di alcun intralcio per le lenze calate a fondo.

I grufolatori del fondo sono in genere pesci combattivi, capaci di assicurare il divertimento. Raggiungere le secche al largo della costa, che nel caso del bolentino sono in assoluto le zone più pescose, è più confortevole con un’imbarcazione fornita di cabina. E’ raccomandabile anche una barca abbastanza veloce, che dia la possibilità di ridurre al massimo i tempi di spostamento, utilizzando al meglio tutte le opportunità di pesca.

Il posto di pilotaggio coperto è senz’altro da preferire, in quanto offre una zona riparata dal vento, dagli spruzzi o dal sole e, soprattutto, consente l’utilizzo della barca anche nella stagione più fredda.

Avere il posto di pilotaggio coperto allunga sicuramente la vita della strumentazione, elettronica e non, installata a bordo. Ciò vale anche per l’ecoscandaglio, apparato indispensabile anche nella pesca al bolentino. Grazie a esso è possibile scrutare sotto la propria barca ottenendo una serie di utili informazioni quali la profondità, il tipo di fondale, la presenza di pesce e a che profondità esso si trova, la velocità tenuta dalla barca, la temperatura dell’acqua ecc. Gli apparati più moderni, quelli interfacciabili con gps o loran, sono in grado di visualizzare anche rotta e punto nave.

Consigli da ricordare per la pesca a bolentino

  • Se l’ancora arerà sul fondo dovremo recuperarla e legare a 2-3 metri da essa o dalla catena un peso supplementare (di solito un barattolo metallico riempito con 4-5 chili di malta) il quale, tenendo basso il gambo del “ferro”, ne faciliterà la presa.
  • Se dovremo dar fondo su rocce, specie su quelle caratterizzate da dislivelli ed anfratti profondi ovvero su relitti di navi o aerei sommersi, sarà più prudente servirci di un “rampino” che è in sostanza un ancorotto leggero privo di gambo ma fornito di marre pieghevoli.
  • L’operazione del lancio del segnalino per constatare la direzione di spostamento della barca potrà essere evitata se saremo in grado di stabilire tale direzione leggendo le variazioni minute forniteci dagli strumenti elettronici di radioposizionamento.
  • Per evitare perdite di tempo, e anche di pesci, dovremo sapere aver pronta e bene ordinata, una abbondante serie di finali con relativi piombi (a pera, o troncocono o a piramide).
  • La pasturazione sul fondo realizzata mediante contenitori “a sfuggita” o con altri mezzi non è consigliabile nel bolentino di mezza altura in quanto essa, nella grande maggioranza dei casi, richiama in sito la cosiddetta minutaglia ittica che, ripulendo in continuazione gli ami, vanifica l’azione di pesca.
  • Quando mancano le abboccate e ci si è stancati di tenere in mano la canna si può inserire quest’ultima in un portacanne ad inclinazione quasi orizzontale e osservarne continuamente e attentamente la punta; in tal modo sarà facile percepire visivamente non solo le eventuali allamature ma anche le semplici toccate; al qual punto torneremo naturalmente all’azione manuale per essere pronti a ferrare con la necessaria tempestività.
  • Le esche buone, con il paguro in testa, sono moltissime; ma, nei vari bacini marittimi, ce ne è sempre qualcuna che funziona meglio delle altre. E’ perciò bene informarsi presso i pescatori locali.
  • Sono reperibili in commercio costosi ma funzionali fili multifibre adatti per la madrelenza. I relativi diametri, notevolmente ridotti rispetto a quelli del nylon e del dacron a parità di carichi di rottura, consentono l’impiego di piombature ridotte.