DERIVA E SCARROCCIO

Non è la prima volta che su queste pagine parliamo degli effetti meteomarini sulle imbarcazioni, ossia in pratica delle azioni delle correnti e del vento. Spesso peraltro ci vengono rivolte domande al riguardo e ci sembra logico e soprattutto utile tornare ancora sull’argomento. Il vento è, come noto, il movimento di una massa d’aria, che trascina con sé gli oggetti non vincolati, come per esempio le navi che col loro scafo emerso e le sovrastrutture offrono una superficie «velica» (pur non trattandosi di vele propriamente dette) anche notevole.

Dipende pertanto dalla superficie battuta dal vento, dalla sua orientazione rispetto ad esso e dalla resistenza che il galleggiante oppone al trascinamento l’entità del moto indotto dal vento, ciò che viene detto «scarroccio». Chi sta a pelo d’acqua, per esempio, come potrebbe essere un uomo che nuota, non risente praticamente del vento e quindi non scarroccia.

Ips - Traslazione Obliqua-scarroccioDiverso è l’effetto della corrente, ossia del movimento della massa d’acqua che trascina con sé, con la propria velocità e nella sua stessa direzione, qualunque oggetto galleggiante non vincolato al fondo. Le due cause provocano quindi effetti simili ma concettualmente e sostanzialmente diversi.

Per prima cosa, lo scarroccio è determinabile a vista, semplicemente osservando la scia della propria nave: se infatti questa diverge dall’orientazione della nave stessa, vuol dire che esiste scarroccio e addirittura si potrebbe misurare l’angolo di divergenza fra prora della nave e rotta (quest’ultima materializzata sull’acqua dalla scia) o perlomeno si può correggere l’effetto accostando verso il vento in modo che alla fine la scia si allunghi nelle direzioni della voluta rotta.

Ciò è possibile sempre con navi a motore, non sempre con navi a vela. Infatti per queste ultime lo scarroccio esiste sempre, a meno di andature molto larghe o in poppa, e siccome prevale in genere l’opportunità di sistemare la velatura al meglio, l’inevitabile angolo di scarroccio servirà a stabilire accuratamente la rotta con cui eseguire il carteggio e seguire la navigazione stimata.

Vento e CorrenteBen diversa è la deriva, che in genere non viene avvertita a meno di avere la possibilità di effettuare dei punti nave e ricavare quindi quale sia la effettiva rotta che la nave segue. I metodi per tenere conto della corrente in genere si basano sulla soluzione grafica del cosiddetto «triangolo della corrente», i cui lati sono i tre vettori del problema, ossia Rotta effettiva e Velocità effettiva, Prora e velocità di propulsione, Direzione e intensità della corrente.

Le soluzioni vengono di solito applicate in presenza di correnti sufficientemente costanti e note (per esempio nel caso delle correnti oceaniche) ma, quando gli effetti sono lievi e soprattutto variabili, come è il caso tipico mediterraneo, più che di soluzione col triangolo si preferisce puntare sulla destinazione a partire dai vari punti effettivi ricavati in successione.

Nel caso di accostamento a un oggetto in mezzo al mare, per esempio per ricuperare un naufrago o un oggetto qualsiasi, l’effetto di cui tenere conto è ovviamente solo lo scarroccio, dal momento che è il caso in cui l’effetto sulla nave è differente da quello sul naufrago, il quale non scarroccia; per quanto riguarda la deriva, invece, sia la nave che il naufrago si appostano nella stessa maniera, ossia non esiste moto relativo fra i due.

È quindi errato addestrare, come talora è capitato, a ricuperare un naufrago tenendo conto della corrente, per esempio in un canale, perché sia l’imbarcazione che l’innocuo salvagente gettato a mare si spostano entrambi nella stessa maniera, mentre il vento agisce su di loro in maniera differente, da tenere ben presente.

Per rendersi pienamente conto della cosa, se mai ce ne fosse bisogno, basta pensare a un ricupero in mezzo al mare, dove la corrente non viene apprezzata, mentre naturalmente l’imbarcazione manovra rispetto al vento, che viene certamente sentito e apprezzato.