Il termine di “medusa” che abbiamo sinora usato non è affatto esatto. I Celenterati erranti che nascono da colonie di Idrozoi sono oggi considerati “false meduse”; sono le Meduse craspedote, così chiamate dal velo (“Kraspédon”, in greco) che trattiene la loro ombrella. Le vere meduse non hanno questo “velo”, questo diaframma anulare. Così la loro “ombrella” – è la parola sinora usata ma è anche il termine scientifico – può maggiormente allargarsi. La loro delicata gelatina non ne risulta meno sostenuta, ma anzi ha dei setti disposti a raggi. Queste meduse acalefe (da “akalephe”, ortica, perché irritano la pelle) sono dunque Celenterati a cavità raggiata. Ma se è possibile confondere attraverso una loro descrizione o osservando dei disegni, certamente non si corre tale rischio nel mare: le Meduse gemmati degli Idrozoi si misurano in millimetri, mentre le vere Meduse (le sole che il profano conosce), si misurano in centimetri, in decimetri e possono anche superare i 2 metri di diametro.Chi ha visto delle Meduse spesso non ha visto che masse informi gelatinose, subito “liquefatte” una volta arenate su una spiaggia. Anche quando, da una barca, se ne scorgono nell’acqua limpida, non si può cogliere la grazia meravigliosa delle loro frange e dei filamenti, l’agilità delle contrazioni della loro ombrella che le fa muovere per “propulsione”. Non solo è difficile catturarle senza lacerarle, ma è perfino impossibile mantenerle vive anche un solo giorno in un acquario. Tuttavia le conosciamo abbastanza per riconoscervi lo schema tipico del Celenterato: una cavità, un’apertura e, attorno a questa, dei tentacoli.

Oggi fortunatamente l’immersione fatta per sport e per scopi scientifici permette di godere il meraviglioso spettacolo di questa vita cristallina, di vedere soprattutto contro luce le fluttuanti chiome dalle pallide tinte, ravvivate da tocchi di intenso colore. Sia prudente il nuotatore: guardare, ma non toccare! Le meduse, soprattutto coi loro filamenti, possono causare bruciore e dolore terribile, gravi avvelenamenti. E’ infatti con questi filamenti che esse catturano le loro prede. E’ sorprendente il fatto che certi pesci siano immuni da questi veleni; anzi si mettono al riparo dai nemici proprio sotto la campana di certe Meduse e depongono perfino le uova in questo inverosimile nido, per far sì che i loro piccoli sguscino sotto la protezione di questa “nutrice” velenosa; è il caso dei giovani di sugarello che nei nostri mari stanno sotto le grosse Rizostomee.

E’ chiaro che, nel quadro generale dell’evoluzione, si devono considerare le vere Meduse come derivate da quelle forme “speciali” di Idrozoi. Il fatto è che probabilmente alcune di queste “forme speciali” hanno cominciato a vivere una propria esistenza indipendente. Dall’Idra elementare agli Idrozoi, e da questi alle Meduse, una filiazione è evidente. Ma le vere Meduse, pur divenute decisamente erranti, non hanno tuttavia dimenticato la loro origine sedentaria; e ritrovano questa condizione a ciascuna generazione, perché il loro modo di riprodursi passa attraverso una forma immobile. Dall’uovo nasce una larva che si fissa, dando un polipo assai particolare. Immaginiamo un candeliere che verso l’alto formi degli anelli orizzontali, come se portasse una “pila” di padelline. Ogni tanto, la padellina più alta, l’ultima della “pila”, si stacca e se ne va nuotando: è nata una Medusa… La scoperta di questo sorprendente processo da parte di un giovane istitutore norvegese, Michele Sars, fu per sé stessa quasi un romanzo scientifico. Per il nostro modo di pensare, che esige la classificazione in categorie, la Medusa è errante, l’Idrozoo è immobile. Ma in realtà la Medusa si fissa transitoriamente al momento della riproduzione e l’Idrozoo libera alcuni suoi individui per una vita provvisoriamente errante. Non c’è alcuna differenza sostanziale tra i due gruppi zoologici che passano entrambi, e in ogni generazione, attraverso forme libere e forme immobili. Ma le Meduse non possono forse raggrupparsi in colonie? In colonie galleggianti, poiché le Meduse lo sono?… Tutto ciò che si può immaginare, l’oceano l’ha realizzato.