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A Fiumara, foce del Tevere, il pomeriggio di mercoledì 18 gennaio 2017 non si presenta nel migliore dei modi: la temperatura esterna è di circa 10 gradi; la Tramontana soffia tra i 20 e i 25 nodi, con raffiche fino a 30, e le onde al largo sono alte fra i 3 e i 4 metri.

Insomma ce ne sarebbe abbastanza per starsene tranquilli a casa, a leggere un buon libro. Ma se dentro brucia l’anima del velista “arrabbiato”, con parecchia esperienza e tanta voglia di cimentarsi, la tentazione di fare qualche planata sull’acqua con una barca nervosa come il Laser può essere irresistibile. E, infatti, il ventisettenne Lorenzo Garosi, regatante assai apprezzato anche in competizioni atlantiche, non ci pensa due volte: con l’aiuto del cognato arma rapidamente la deriva, indossa la muta da 3 millimetri e, alle 15.30, esce da solo in mare.

Mayday

Tutto sembra sotto controllo. La barca letteralmente vola nell’ampio ridosso sotto costa. Poco più fuori, però, le onde si sentono. Eccome se si sentono. Lorenzo decide quindi di rientrare, eseguendo un’abbattuta forse troppo disinvolta e scuffia. Poi scuffia ancora. Volano i pezzi: timone e deriva non ci sono più. In una frazione di secondo, i due elementi del gioco si sono trasformati: il Laser in relitto e Lorenzo in naufrago. Accertato che non c’è modo di riprendere il governo della barca, al velista non resta altro da fare che mettere in atto tutta la sua esperienza per sopravvivere in attesa dei soccorsi che non dovrebbero tardare. Peccato solo che non ci sia modo di sollecitarli direttamente: a bordo o indosso non c’è nulla che assomigli a un vhf o a un Epirb o a un razzo con paracadute.

Ma a terra c’è il cognato che lo aspetta e, inoltre, è prevista una cena per il compleanno della sorella. Ma non si vede nessuno e si fa buio. La prima regola dice che bisogna difendere il corpo dal freddo e dall’acqua. Non è facile, perché il mare è davvero grosso, il vento ne spazza le creste e lo scafo è talmente basso da non costituire alcuna protezione. Lorenzo raccoglie perciò la vela e cerca di farsene scudo, preparandosi a una durissima lotta con le onde, che infatti ogni tanto lo travolgono.
Il sole è calato e Lorenzo non è tornato. Questo basta a far crescere nel cognato la sensazione che qualcosa di grave debba essere successo. Non perde tempo e alle 18 dà l’allarme. A coordinare immediatamente le operazioni di ricerca e soccorso è la sala operativa del terzo MRSC – Maritime Rescue Sub Center – della Guardia Costiera di Civitavecchia.

Da Fiumicino partono le motovedette CP, presto affiancate dai mezzi della Guardia di Finanza, dell’Aeronautica Militare e della Polizia di Stato. Per tutta la notte e per la mattina seguente, i mezzi navali scandagliano un’area sempre più ampia, arrivando a coprire circa 2.200 miglia quadrate verso Sud – laddove il vento deve aver scarrocciato la barca – ma senza successo.

È solo alle 15.45 che un velivolo ATR 42 della Guardia Costiera di Pescara individua Lorenzo a 43 miglia dalla costa e, dopo aver trasmesso il punto nave alla sala operativa, incomincia a girargli intorno a bassa quota mentre la motovedetta CP 836 di Fiumicino, al comando del primo maresciallo Luigi Di Gennaro, converge a piena velocità e con il riscaldamento della cabina al massimo per poter accogliere il naufrago nel migliore dei modi. Circa mezz’ora dopo, il recupero. “Sono stati professionali, bravissimi, gentilissimi. Mi hanno addirittura viziato” ricorda Lorenzo. “Un uomo del mio equipaggio si è sfilato i calzini e glieli ha dati per aiutarlo a scaldarsi”, gli fa eco Di Gennaro. Poi, finalmente, a terra in quel di Ostia e una rapida visita al Pronto Soccorso per accertamenti: tutti sorprendentemente favorevoli.

GLI ERRORI PRINCIPALI

  • Insufficiente controllo pre-partenza dell’attrezzatura di bordo.
  • Uscita in mare con una piccola deriva con forte vento da terra.
  • Uscita in mare aperto in solitaria in condizioni meteomarine critiche.

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