Nautica 724 Agosto 2022

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L’editoriale

Acqua alla gola

La cosiddetta spensieratezza, stato mentale al quale si tende soprattutto nei periodi di svago, può non essere una buona compagna di viaggio, se ad essa si associa la repulsione per tutto ciò che rientra nell’ampio concetto di “regola”. Questo perché, se è perfettamente comprensibile e condivisibile che il relax possa comprendere il totale abbandono di certi orpelli, come può essere per la giacca e la cravatta indossati tutti i giorni in ufficio, non altrettanto si può accettare il fatto che, in nome dell’informalità, si rinunci – per esempio – a indossare la cintura di sicurezza nel tragitto in automobile tra la casa di vacanza e la spiaggia.

A ricordarci drammaticamente quanto la sconsideratezza e l’incoscienza siano pericolose, soprattutto in mare, è uno studio sui casi di annegamento presentato il giugno scorso dall’Istituto Superiore di Sanità all’EU Safety Conference di Vienna. I numeri sono impressionanti: nel quinquennio di riferimento si è registrata in Italia una costante di circa 400 casi l’anno, dei quali il 68% con esito infausto. Intendiamoci, l’allarme non è affatto nuovo: già nel 2014, nella sua prima e ultima informativa dedicata all’argomento specifico, l’Organizzazione Mondiale della Sanità indicava nell’annegamento la terza causa di morte nel mondo per “evento traumatico non intenzionale”.

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E poiché, a quanto pare, le cose non sono cambiate in modo significativo, è interessante considerare alcuni dati emersi da quello studio, pienamente validi ancora oggi.
A livello globale, i tassi più alti di annegamento riguardano i bambini di età compresa tra 1 e 4 anni, seguiti da quelli di età tra i 5 e i 9 anni. Si osserva come alla base ci sia una scarsa o assente sorveglianza da parte dei genitori.

Le persone di sesso maschile hanno un tasso di mortalità pressoché doppio rispetto a quelle di sesso femminile: lo studio suggerisce che ciò sia dovuto alla loro maggiore esposizione all’acqua e a comportamenti più a rischio, come il nuotare da soli o in avverse condizioni di mare.

Quando l’evento accade in luoghi lontani da quelli di origine, una delle cause è la non conoscenza delle caratteristiche e delle insidie delle acque locali.
Tra i fattori di rischio più diffusi c’è l’assunzione di alcol o droghe in prossimità dell’acqua o dentro l’acqua.
La lista dell’OMS prosegue ma noi possiamo fermarci qui, tanto la morale dovrebbe essere chiara a chiunque: quella che troppo spesso chiamiamo “fatalità” non esiste. È un’invenzione alla quale ricorriamo tutte le volte che intendiamo assolverci dalle nostre responsabilità.

Perciò, per favore, prima di tuffarci per un bagno rinfrescante, per un’immersione con autorespiratore, per una sommozzata in apnea, imponiamoci almeno un minuto per riflettere seriamente su quel che stiamo per fare. E se si tratta dei nostri bambini che, giustamente, vogliono giocare allegramente nell’acqua, non perdiamoli di vista neppure per un istante.

di Corradino Corbò


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