L’ITALIA CACCIATRICE DI SQUALI
– Centinaia di migliaia di squali vengono catturati ogni anno anche in Mediterraneo. Non espressamente per il commercio delle pinne di pescecane, ma per lo più accidentalmente. In Mediterraneo, l’Italia è il paese che cattura più squali: nel 2004 le catture registrate sono state di 1.061 tonnellate: un brusco calo rispetto a dieci anni prima, quando il pescato complessivo di squali e razze raggiunse il record di 16.500 tonnellate l’anno. Il calo non è buon segno: poiché lo sforzo di pesca è rimasto lo stesso, significa che, semplicemente, gli squali sono ormai troppo rari anche per finire negli ami e nelle reti. Ormai nessuno caccia di proposito gli squali: sono troppo pochi. Eppure finiscono accidentalmente nelle reti a strascico o sono catturati dai palangari d’altura per i pescespada e il tonno allunga, o dalle reti derivanti illegali. Nonostante il bando di queste reti decretato dall’UE e dalla Commissione Generale sulla Pesca per il Mediterraneo, le reti derivanti vengono ancora utilizzate, tanto che fra il 2005 e il 2006 la Guardia Costiera italiana ne ha sequestrato per una lunghezza totale di 1400 chilometri. www.fao.org/docrep/005/x3690e/x3690e00.HTM
LA LISTA ROSSA 2007: MOLTI SQUALI DEL MEDITERRANEO A RISCHIO D’ESTINZIONE
– Metà delle specie di squali e razze del Mediterraneo sono a rischio d’estinzione: è quanto emerge dalla Lista Rossa 2007, il punto di riferimento annuale sulla situazione della biodiversità nel mondo. I maggiori esperti internazionali interpellati dalla IUCN, l’Unione Mondiale per la Conservazione della Natura, hanno dato per il 2007 un quadro sconfortante della situazione di squali e razze nel nostro mare, che comprende circa 85 specie fra squali e razze. In una serie crescente di criticità, 13 specie fra cui il gattopardo e la chimera sono considerate “quasi a rischio”; 9 specie, fra cui lo squalo elefante e lo squalo martello, sono “vulnerabili”; 8 specie, fra cui il grande squalo bianco, lo squalo plumbeo e lo spinarolo, sono “in pericolo” e 13 specie ormai “criticamente in pericolo”: il pesce angelo, il pesce sega, il mako e lo smeriglio sono diminuiti di oltre il 90% e si teme fortemente per la loro sopravvivenza. E per altre 18 specie esiste solo un punto interrogativo: non esistono abbastanza dati per poter sapere come se la passano nel nostro mare. www.iucnredlist.org
PERCHÈ?
75 milioni di squali uccisi ogni anno in tutto il mondo, accidentalmente o volontariamente. Il più delle volte non per le loro carni, generalmente poco appetibili. Ma soprattutto per le loro pinne, ricercatissime sul mercato asiatico per la preparazione della zuppa di pinne di pescecane. Un commercio lucroso ma che sta devastando gli oceani. Gli squali, infatti, non possono sostenere una pesca così massiccia: per mantenere naturalmente basso il loro numero, coerentemente con la loro posizione al vertice della catena alimentare, la Natura li ha dotati di un tipo di riproduzione assai lento. Cominciano a riprodursi molto in là con gli anni (di solito a 10-15 anni) e al termine di gestazioni fra le più lunghe del mondo animale (di 1 o 2 anni) mettono al mondo solo pochi piccoli. Per questo la pesca eccessiva decima le loro popolazioni e le porta rapidamente sull’orlo del collasso: i pochi esemplari rimasti necessitano di tempi “biblici” per ripopolare il mare.
A COSA SERVONO GLI SQUALI?
Gli squali svolgono in mare lo stesso compito dei leoni nella savana o dei lupi nella foresta: limitano la crescita delle popolazioni degli altri organismi e contribuiscono a mantenere l’equilibrio fra le diverse forme di vita in mare. La loro scomparsa provoca uno squilibrio in mare che, a cascata, si propaga in tutto l’ecosistema, con risultati imprevedibili. Una interessante ricerca appena pubblicata sulla prestigiosa rivista Science mette in luce le conseguenze impensabili che la perdita dei grandi predatori può portare. Nel Nord Carolina, negli USA, la scomparsa dei grandi squali ha portato – indirettamente, certo, ma altrettanto chiaramente – alla rovina del mercato di molluschi. I grandi squali, infatti, si nutrono di piccoli squali e razze che, a loro volta, si cibano dei molluschi. Scomparsi i grandi predatori, i piccoli squali e le razze di cui si nutrivano sono aumentate a dismisura e, quasi come le cavallette, hanno ripulito i fondali dai molluschi, creando anche un grave danno economico ai pescatori locali. www.aaas.org/news/releases/2007/0330sharks.shtml
GLI SQUALI SULLA NOSTRA TAVOLA
– Asià, cagnetto, vitella di mare: sono solo alcuni dei nomi di fantasia con cui vengono commercializzati nei mercati del pesce gli squali, assai più comuni sulle nostre tavole di quanto si possa pensare. Si tratta soprattutto di piccoli squali: il palombo (specie classificata “vulnerabile” nella Lista Rossa), spinarolo (“in pericolo”), gattuccio (“a minor rischio”) e galeo (“vulnerabile”). Nell’UE vi è un notevole consumo e commercio di carne di squalo, soprattutto di spinaroli, palombi, gattucci, mako, smeriglio e razze. L’Italia è stata fino al 2000, secondo le statistiche della FAO, il maggior importatore del mondo di squali, seguita da Francia e Spagna. Le sue importazioni sono aumentate considerevolmente da 8.750 tonnellate nel 1976 a un massimo di 14.400 tonnellate nel 2000. Nel 2005 l’Italia è la quinta nazione al mondo per importazione di squali e prodotti di squali, dietro a Spagna (17.503 tonnellate), Corea del Sud (13.601 tonnellate), Cina (11.045 tonnellate) e Messico.
COSA FANNO LE ISTITUZIONI
– Poco, purtroppo. Nonostante l’evidenza scientifica di un declino allarmante e la richiesta, già nel 1999, della FAO ai paesi membri di definire misure di gestione e conservazione di questi animali, solo il 20% dei membri ha rispettato questo impegno. Il Parlamento Europeo, lo scorso settembre, ha richiesto alla Commissione Europea di produrre entro giugno 2007 un Piano di Azione per la conservazione degli squali, ma finora i segnali non sono incoraggianti. In Europa esistono poche limitazioni sulla pesca e le quote di prelievo sono eccessive rispetto alle potenzialità riproduttive di questi animali. Nel 2003 l’Unione Europea ha vietato lo “spinnamento” (in inglese “finning”, la pratica di asportare le pinne gettando in mare il corpo dell’animale), ma allo stesso tempo ha introdotto degli espedienti che hanno svuotato il divieto di ogni significato. Ai pescatori, ad esempio, è consentito sbarcare le pinne e le carcasse degli squali separatamente, rendendo del tutto impossibile verificare quanti siano stati lavorati a bordo e quanti invece siano stati “spinnati” e poi gettati a mare. Sono europee alcune delle flotte pescherecce più importanti al mondo, e l’inadeguata normativa europea sulla pesca degli squali mette a repentaglio non solo le popolazioni di questi animali nelle acque europee ma anche nel resto del mondo. Secondo l’ultimo rapporto FAO sullo stato della pesca nel mondo, pubblicato a marzo, “destano preoccupazione le condizioni di alcune specie che vengono pescate interamente o parzialmente in zone d’alto mare, fuori dalle giurisdizioni nazionali. In particolare i cosiddetti “stock transzonali”, che attraversano regolarmente i confini marittimi nazionali e le acque internazionali, così come gli squali oceanici grandi migratori”. www.fao.org/newsroom/it/news/2007/1000505/
COSA SI FA PER SALVARLI
– Dallo sforzo comune di molte organizzazioni internazionali è nata la Shark Alliance, una coalizione di organizzazioni non governative il cui scopo è il recupero e la conservazione delle popolazioni di squali attraverso un rafforzamento delle politiche europee sulla pesca. È questa, vista l’influenza mondiale dell’Europa nel settore pesca, la strada individuata per migliorare le condizioni degli squali in tutto il mondo. La missione della Shark Alliance è duplice: correggere le falle nella normativa europea sulla pratica dello “spinnamento” (finning) e ottenere quote di pesca basate su dati scientifici che garantiscano la sostenibilità nel lungo periodo e la salute dell’ecosistema marino. Membri italiani della Shark Alliance sono: CTS, Fondazione Cetaceo, Marevivo e MedSharks. www.sharkalliance.org
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